1989 Falzè: Dedicata una via agli alpini - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
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1989 Falzè: Dedicata una via agli alpini

Attività
GRUPPO FALZE' DI PIAVE
Nel 30° della costituzione il Gruppo di Falzè di Piave ricorda 70° anniversario del rientro dei profughi e rende omaggio alle Vittime Civili della Grande Guerra con una pubblicazione di inedite testimonianze
La Sezione manifesta il suo compiacimento. Dedicata una via agli Alpini.
Fiamme Verdi Giugno 1989

Gli ottimi intenti delle penne nere di Falzè di Piave di attuare una brillante ed ampia manifestazione, cui le ricorrenze, anche se dettate da ragioni diverse, esigevano, avevano acceso i loro animi, coinvolgendo l’intera comunità locale. Due avvenimenti hanno contraddistinto le molteplici iniziative: la celebrazione del 30° della costituzione del gruppo e il 70° anniversario del rientro dei profughi, con una doverosa testimonianza alle Vittime Civili.
In verità gli alpini hanno voluto particolarmente manifestare tutto il loro all’etto, senza l’elevazione di momenti retorici — a quelli che la prima grande guerra travolse inesorabilmente, e a quelli, che sopravvissuti, ancora ricordano l’invasione del 1917 dell’esercito tedesco ed austroungarico, l’allontanamento forzato dalle loro case, il triste ramingare, e il felice ritorno ai propri focolari.
Non solo: ma alcuni soci hanno maturato l’idea di raccogliere alcune memorie storiche, testimonianze inedite, in una pubblicazione, se vogliamo modesta, ma dal contenuto narrativo straordinariamente commovente, da suscitare sinceri consensi.
Questo opuscolo voluto quindi dagli alpini di Falzè, riporta brani storici del prof. Mario Altarui, provato scrittore di molte pubblicazioni, tra cui “Penne Nere Trevigiane nella guerra 1915/18” (con “La settimana decisiva” e “Un combattente ungherese torna a Falzè di Piave per riconsegnare un candelabro”); e dei maestri Lino Teofilo Gobbato (con “La Battaglia del Solstizio”) e Albino Capretta (con “Falzè di Piave e la sua gente nella bufera”); con gli interventi del presidente della sezione prof. Giacomo Vallomy, del sindaco Rolando Camilli, del parroco don Fortunato Candiago, del capogruppo Pierangelo Dal Negro e la presentazione del sottoscritto, il quale - montelliano puro sangue e conoscitore, fin dall’infanzia, di quei luoghi ove venivano diretti gli aspri combattimenti di difesa e di attacco — ha gradito l’invito di curarne il contenuto e l’impaginazione, anche se i tempi di una corretta stampa si sono dimostrati poi molto avari. Soprattutto mi è piaciuta l’ispirazione di riferire su carta diverse patetiche testimonianze dei sopravvissuti, raccolte, pazientemente e con tanto senso umano, agli alpini Pietro Breda e Luigi Zanco. Anche se le attestazioni di questi anziani tendono ad essere un po’ latenti e labili, evidenziano la concretezza del dramma vissuto da questa comunità, la quale ebbe dei momenti interminabili di sofferenza, di malattia, di fame, di violenza, e raramente compresi ed umanamente trattati, anzi venivano precettati ed utilizzati ai lavori, talvolta molto spiacevoli, crudeli.
Quanti bimbi, tragici fiori travolti tra le macerie insanguinate! Quante mamme che il tormento corrodeva il cuore per il figlio combattente! Quante spose languivano al pensiero dell’amato lontano a guerreggiare! Quanti vecchi che giunti vicino all’approdo della vita, speravano giungervi serenamente!
Non abbiamo forse valore se non per le nostre sofferenze! Ecco perchè dobbiamo essere riconoscenti a chi ha sofferto e soffre per un mondo migliore, e essere costantemente disponibili a contribuire ad alleviare le tribolazioni degli altri.
L’opuscolo vuole essere - dopo la realizzazione di un Cippo (1981) - un tributo, un messaggio di amore a quei Morti e all’intera Comunità di Falzè, e a quelle di tutta la terra, e l’invito i giovani a “Ricordare per non dimenticare”
Le cerimonie hanno avuto inizio al calar del sole di sabato 19 novembre, di fronte all’Ossario di Nervesa della Battaglia, che custodisce 9325 Caduti della prima guerra mondiale, raccolti in 120 cimiteri del Medio Piave.
Presenti numerosi alpini della destra e sinistra Piave; il Gonfalone del comune di Nervesa con il vice sindaco, il Vessillo di Treviso con il presidente comm. Francesco Cattai, e quello della sezione di Conegliano con il vice presidente Nino Geronazzo, l’assessore di Conegliano e capogruppo prof. Raimondo Piaia, i gagliardetti dei gruppi di Nervesa, di Bidasio e S. Croce del Montello, con i capigruppo, della sezione di Treviso, e quelli della sezione di Conegliano: Colfosco, Pieve di Soligo, Barbisano, Refrontolo, Conegliano-Città e M.O. Pietro Maset; e Falzè di Piave con il capogruppo Pierangelo Negro; inoltre le Bandiere delle associazioni Combattenti e Reduci di Falzè di Piave con il presidente cav. uff. Daniele Ferrari e dei Bersaglieri del Quartier di Piave, e l’amico ten. col. Alfio Frare.
Dopo l’accensione della fiaccola dal lume posto all’interno del Monumentale, sono state pronunciate brevi parole di circostanza dal Capogruppo Pierangelo Negro, dal presidente della sezione di Treviso Cattai, e dal vice sindaco di Nervesa.
Negro ha ricordato quali erano gli indirizzi significativi della manifestazione e cioè rendere onore ai resti mortali di quegli Eroi, che hanno contributo alla grande Vittoria e della quale non hanno potuto gioire, commemorare devotamente tutti quei Civili che nell’immane sofferenza ebbero distrutta la vita, e a quegli che dovettero affrontare una lunga e dolorosa odissea, e per alimentare e consolidare l’amicizia, la fraternità e la solidarietà tra la gente della destra e sinistra Piave.
Cattai ha elogiato la nobile iniziativa degli alpini di Falzè di Piave, e si è associato a quanto ha detto Negro, in particolare per aver significativamente reso omaggio ai Caduti e alle Vittime Civili del Montello e del Piave, di questi luoghi che sono state terre di battaglia, ma anche di onore e di vittoria.
Portando il saluto della città di Nervesa, il giovane vice sindaco ha espresso la più viva ammirazione alle penne nere per aver inserito nel contesto delle cerimonie del 70° della Vittoria della prima grande guerra, due importanti messaggi, rivolti in particolare ai giovani: non dimenticare il sacrificio di tutti i Caduti per la Patria e Quelli che la storia un po’ dimentica, i Civili, affinché questi avvenimenti ci facciano riflettere e siano un monito a tenere lontano l’odio, e l’egoismo e certe manifestazioni anomale, che poi sfociano nelle grandi guerre, anche fratricide.
Prima di lasciare l’Ossario — grande Monumento eretto all’estremo est del Montello — sono stati resi gli onori ai Caduti con il “silenzio” suonato dall’alpino Lino Fantinel.
Quindi gli alpini sono partiti, diretti a Falzè di Piave, alternandosi a portare la Fiaccola, attraverso Nervesa della Battaglia, il ponte sul fiume Piave, Ponte della Priula e Colfosco, dove, durante una breve sosta, é stato acceso un braciere posto di fronte al maestoso Cristo dell’Isonzo, dalle grandi braccia tese verso il cielo, in atteggiamento di supplica a Dio Padre, ad accogliere nell’infinita Sua bontà e misericordia tutte le anime e in particolare quelle delle vittime della guerra. Suonato nuovamente il “silenzio”, il parroco dopo una breve preghiera ha rivolto parole di plauso per la dignitosa iniziativa, che in quella circostanza assumeva un gesto di umana pietà, di umile preghiera a Cristo per tutti coloro che con il loro sangue hanno bagnato quel suolo, e quei luoghi dove aspre e cruente sono state le battaglie: che il loro sacrificio sia frutto di libertà e di pace.
Prima di giungere a Falzè, altri alpini con altre fiaccole si sono uniti all’alpino che portava la fiaccola accesa a Nervesa.
Giunti al grande Cippo delle Vittime Civili, accesa la lampada, e stato suonato il “silenzio”, mentre l’ex capogruppo Pietro Breda ha fatto leggere al consigliere sezionale Battista Bozzoli alcuni suoi pensieri.
Questa fiamma — è stato detto — portata dalle mani sicure e forti degli alpini ha certamente illuminato il nostro spirito, ha alimentato il nostro amore, ha riacceso il sentimento della riconoscenza a queste Vittime innocenti, i cui nomi sono segnati su questo Cippo, accompagnati dalle significative parole: Pietà volle raccolta su questo duro masso, memoria dei nostri avi, vittime umili ed anonime degli anni 1915 1918, che nella sofferenza e nel sangue misero le sementi di giustizia e pace per una società più giusta e prospera ".
La fiaccola — è stato concluso - che ha attraversato due terre tormentate e flagellate dalla grande guerra, e che il Piave divise amichevolmente e propiziamente, rendendosi ultimo baluardo della nostra difesa, oggi ci unisce più che mai, ci fa godere la libertà, e rinsalda l’amore fraterno delle genti delle due sponde.
La prima parte della cerimonia si è conclusa con l’ammaina bandiera.
La benedizione e l’inaugurazione — con taglio del  nastro inaugurale da parte della madrina signora Luigia Signorotto — della «Via degli Alpini»

Il capogruppo Pierangelo Negro e la madrina signora Signorotto depongono ai piedi del Cippo che ricorda le Vittime Civili, un mazzo di fiori.

La deposizione della corona al Monumento ai Caduti
La Fanfara della Brigata Alpina «Julia»

Una rappresentanza delle Scuole Elementari di Falzè
Alla sera ci siamo ritrovati nella bellissima, nuova palestra del luogo, gremita di tanta gente: ragazzi ed anziani, alpini e autorità, tra cui il sindaco Rolando Camilli, il direttore del settimanale diocesano don Giovanni Dan, l’ex parroco dan Fortunato Candiago, il parroco don Angelo Pavan, i maestri Lino Teofilo Gobbato e Albino Capretta, il ten. col. Alfio Frare, il presidente della sezione prof. Giacomo Vallomy e i due vice geom. Lino Chies e Nino Geronazzo.
Con l’indiscussa regia e la conveniente presentazione del vice presidente sezionale Nino Geronazzo sono state effettuate le premiazioni agli scolari delle scuole elementari della 5A e 5B e alla 2E della scuola media di Sernaglia per i bellissimi lavori di disegno cia loro eseguiti ed allestiti nella palestra; poi sono stati consegnati gli attestati di riconoscenza e di socio onorario ai gruppi alpini di Nervesa della Battaglia, di Bidasio, di S. Croce del Montello, di Susegana e di Colfosco, ed inoltre al concittadino ten. col. Alfio Frare, a Renato Brunello, al prof. Mario Altarui, al cav. uff. Daniele Ferrari e al prof. Giacomo Vallomy.
Quindi il prof. Vallomy ha presentato l’opuscolo, affermando che queste pagine rispondono ad una esigenza nuova, sentita in modo particolare dai moderni studiosi: che l’oggetto di studio della nuova generazione di storici, non è solo la vita dei potenti e delle classi dominanti, ma anche quella degli umili, del popolo, di un piccolo villaggio che non ha minore dignità della grande città.
Lo strazio — egli ha aggiunto — di tante madri, sorelle, fidanzate, spose, è un argomento che troppo spesso i libri di storia dimenticano.
Nobilissimo il desiderio di conservare il ricordo degli avvenimenti, delle testimonianze oculari di coloro che sono ancora in vita, che costituiscono il tessuto spirituale umano e civile della vita di questo martoriato paese: “verba volant, scripta manent” dicevano gli antichi romani; perciò questa pubblicazione risponde a questa esigenza:
è un monumento che ognuno di noi può conservare nella propria casa; sono letture sulle quali adulti e giovani possono meditare per capire il nostro passato, e ricchezza di insegnamento per la vita.
Questi racconti — egli ha concluso - mi hanno profondamente colpito e commosso, il tributo dato da questa gente è immenso, che non troverà riscontro nelle opere letterarie o meno.
Successivamente il maestro Gobbato si è richiamato al romanzo autobiografico di Lajos Zihay “Il disertore”, nel quale racconta la Battaglia del Solstizio che doveva segnare una svolta decisiva nella guerra che durava da quasi tre anni.
Dove l’offensiva austro-ungarica si infranse dopo cinque giorni di violenti combattimenti.
Il Piave sotto i colpi dei pezzi di grosso calibro, che facevano saltare i pontoni con il loro carico di uomini, sbavava furibondo sollevando colonne di schiuma come se volesse scrollarsi di dosso quei carichi inusitati.
Egli ringraziando gli alpini di Falzè per aver inserito nelle loro manifestazioni un argomento che era stato dimenticato, ha fatto cenno a quanto detto dal sindaco di Sernaglia Camilli e riportato nell’opuscolo: “Ciò che crea una Comunità e la sua Storia. Ciò che identifica una Comunità è il ricordo della sua storia.
Ciò che qualifica una Comunità è il rispetto della sua storia. “Bisogna prima di tutto conoscere la storia del proprio paese, la storia dei nostri padri. Fa storia, anche se triste, questi racconti, di cui credo far cosa gradita ai lettori, riportarne qualche frammento.
...Avevo circa nove anni ed assieme a mio fratello Luigi andavo a lavorare su una strada fatta costruire dagli austriaci; dovevamo rompere sassi per la massicciata, in cambio ci davano da mangiare, solo a mezzogiorno: una ciotola di zuppa con crauti e una pagnottina di pane da dividere in quattro.
Durante la ritirata dei tedeschi, mio zio Angelo aveva saputo che era stato ucciso un cavallo ed era sceso per prenderne un pezzo; purtroppo è stato ucciso. L’abbiamo sepolto a Corbanese.
...Ricordo che un giorno mentre io ed un mio cugino ci trovavamo a Cessalto, incontrammo gli austriaci che ci costrinsero a consegnar loro ogni cosa, cioè quel poco che avevamo raccolto con tanta fatica, e malmenandoci ci portarono in prigione, lasciandoci liberi dopo otto giorni.
...Era un sera fredda di autunno inoltrato, in attesa della cena, stavo al focolare mescolando la polenta, quando improvvisamente si aprì la porta di casa, noi lutti rimanemmo ammutoliti; entrarono dei soldati, dalla divisa capimmo che non erano italiani, ma tedeschi.
Per noi quello era il segnale e l’inizio di un anno di disagi, sofferenze e fame.
I soldati con maniere brusche ci facevano capire che dovevamo abbandonare la casa.
Lasciata la polenta sul fuoco, presi delle coperte, le disposi su di un carretto, caricai i fratelli più piccoli e ci avviammo verso “Borgo Materazzo’ con la speranza di trovare alloggio presso una nostra zia.
Rimanemmo lì finché le artiglierie austriache, piazzate nei dintorni, non furono individuale dalle nostre postazioni del Montello, le quali iniziarono il cannoneggiamento.
Mi trovavo a ridosso di una casa quando sentii uno scoppio di granata, e mi accorsi che alcuni austriaci erano stati colpiti mentre attendevano alle loro mansioni: fu una strage.
Quello che non dimenticherò mai fu il pezzo di divisa imbrattato di sangue, che si appiccicò sul muro, sopra la mia testa.
...Ricordo di aver visto in quel periodo un nostro aereo colpire un osservatorio aerostatico tedesco, situato nelle vicinanze di Solighetto.
Prima di abbandonare la casa, mio padre ebbe l’idea di nascondere un aratro (Becher), che ci servì, al ritorno, a dissodare il terreno, trainato, in primo tempo, da noi sei fratelli.
Successivamente il Governo ci offrì un mulo.
In quel paese ci adattammo a vivere di quello che si poteva trovare, e certamente la vita ci riservò sacrifici, sofferenze e fame, anche per l’assenza del padre, che, come dicevo prima era a compiere il suo dovere di combattente.
Malvestiti, denutriti, malaticci, così ci trovarono le avanguardie italiane.
Ho ancora la triste immagine di quello che accadde a dei nostri soldati, i quali caddero sotto i/fuoco di una mitragliatrice austriaca, nascosta dietro una siepe, poco prima della ritirata.
...Così ci trovammo a convivere con il poco che si aveva. In quel periodo le donne e i bambini andavano all’elemosina, mentre i più grandi venivano occupati nel ripristino delle strade, in compenso ricevevano un mestolo di broda gita con i krauti, che dopo ci si ritrovava con lo stomaco nuovamente a reclamare.
...Nel sentiero vicino alla mia casa fu raccolto uno strano oggetto simile ad una acetilene.
Era il 9 novembre del 1917, mio Padre fece notare questa cosa a Giovanni il quale disse:
"È un petardo, nascondilo!", questi lo ripose secondo lui al sicuro, ma la curiosità dei ragazzi fu tale da ritrovarlo ed allontanandosi furtivamente da casa con questo oggetto, pensando fosse un giocattolo, imprudentemente ilo manipolarono provocando la tragedia che costò la vita ai miei due fratelli.
(Queste furono le prime vittime del Nostro Paese).
...Era l'undici di Novembre verso le quattro del pomeriggio quando due tremende esplosioni provocarono la strage. Io con un braccio maciullato mi trovai scaraventata lontano, non ebbero la mia stessa fortuna due miei fratelli e tre cugine che morirono dilaniati.
La mamma nel rendersi conto di quanto era successo, dalla disperazione corse verso il Piave, ma sentendo il mio richiamo, ritornò indietro prestandomi le prime cure.
Sepolti i fratelli e le cugine nelle vicinanze della casa scappammo a Soligo, nel piccolo ospedale, dove un medico Austriaco curò il mio braccio, il quale porta ancora i segni delle ferite.
...Il giorno dopo ritornarono, ammazzarono maiali, mucche, galline, mentre il granoturco lo diedero ai cavalli.
Mio nonno sulla soglia di casa piangeva.
Però prima di partire mia sorella accese il fuoco per fare la polenta di sorgo, non essendoci altro, per portarla durante il viaggio, dopo alcuni minuti, invece, arrivò una granata che ridusse la casa ad un cumulo di macerie mia mamma rimase sotto sepolta, mentre mia zia morì in seguito a questa conseguenza.
Tra la fame e le malattie durante l’estate anche il nonno ci lasciò.
Così ritornammo a casa in tre in meno.
...Avevo quattro anni quando, costretti, partimmo profughi per Farrò di Follina, senza avere il tempo di portarci dietro niente, allora mio padre e un fratello si avventurarono, sotto i tiri di artiglieria, spingendosi fino a casa per poter recuperare qualche cosa da mangiare, dopo qualche settimana il fratello Antonio si ammalò di spagnola e morì.
Gli invasori nel concetto di evitare tale contagio ci portarono in un paese del Friuli (Cianopello).
Dopo otto giorni una mia sorella, già ammalata dello stesso male, fu sepolta a Ciampello.
Ricordo con simpatia quella gente per l’apporto datoci in quella giornata di lutto.
...In questo frattempo nacque una sorellina che la chiamarono Cina, però la sua esistenza durò pochi mesi, in quel disagio morì.
Il papà Mosè non seppe mai nulla di queste cose perchè lo scoppio di una bomba non lo fèce più ritornare alla sua famiglia.
...Verso la fine dell'inverno ci portarono a Torre di Pordenone.
Qui per fame, stenti e malattie lasciammo in quel paese due sorelle ed il padre.
...Nel trasferimento mia madre non potendone più, — era prossima al parto — in mezzo ad un prato diede alla luce mio fratello Attilio, aiutata da un medico militare, il quale pose sulle spalle di mia madre la sua giacca e con il mantello avvolse il neonato, predisponendo poi per il nostro trasferimento alla Filanda di Collalto.
Qualche tempo dopo con i loro mezzi ci portarono a Pinzano al Tagliamento.
In questo travagliato periodo due nostri cari rimasero in terra Friulana lasciando il vuoto nella nostra famiglia.
...“In quei tempi erano due fratelli Giovanni — capofamiglia — con dieci figli, e Angelo che allora aveva nove figli. Cinque figli di Giovanni erano sotto le armi con lo zio Angelo.
Come tutte le famiglie profughe, dovettero arrangiarsi a procurarsi il cibo, mendicando. Furono momenti di travaglio, di sofferenza!
Quattro dei componenti morirono: Benvenuto di anni 14, Albina di 4 anni, Bianca di anni 2 e la nonna di 83.
...Invece fummo costretti a trasferirci a Vittorio Veneto, località Longhere, e lì, anche se accolti da brava gente, non era mai come nella propria casa. Tale periodo venne trascorso nell’obbligo dei lavori di ripristino delle strade ed in compenso si beneficiava di un mestolo di intruglio che chiamavano minestra.
da un diario autobiografico di una donna del 1919
... il giorno di S. Martino son venuti i tedeschi a distruggere tutto.
Ha cominciato con salami e vino:però loro non mangiavano niente se prima si mangiava noi e così bere.
Mia mamma quando ha visto che il più lo buttavano, ha pensato di nasconderlo... Non sapevo come fare a presentarmi a quell'ora mi feci coraggio e andai, trovai una zia che mi accolse con gioia e poi mi disse che c’era anche mio padre che presto arrivava li. Io volevo andare da lui che era nella nostra casa a prepararci una stanza per poi venirci a prendere ma la zia non mi lasciò voleva vedere semi conosceva dopo tanto tempo che era sotto le armi ma io avevo il cuore che voleva andarlo abracciare.
e così o obidito alla zia che mia messo vicino il fuoco perchè mi vedesse bene che aveva un piccolo lumino solo il che aspettavo quel momento che arrivasse un minuto mi pareva unora finalmente e rivato volevo andarli incontro ma per ubidienza stai li ferma lui mi guardava ma non mi diceva niente.
e la sia vedendo questo li disse non la conosi quella li e lui li disse mi sembra di averla vista ma non ricordo che sia la zia ha detto guardela bene e lui disse ancora non ricordo e io non ne potevo più e la zia ha detto e tua figlia mi strincse forte ma non e stato capace parlare per un bel po: poi mi chiese subito della mamma e fratelli che non finiva più di chiedere come che siamo tutti vivi.
e mi disse o chiesto ai superiori un permesso per venire nel Montello dove a star li o visto la nostra casa tutta giù e pensai che foste tutti morti ma la zia qui mi a detto che eravate vivi nel friuli: e cosi ora son libero per preparare una stanza e poi andiamo a prenderli...
La serata si conclusa con un concerto egregiamente eseguito dalla Filarmonica di Treviso, diretta dall’ arch. Antonio Chiarparin.
Dopo un pomeriggio ed una serata meravigliosi, durante i quali si sono accentrati e coronati i significativi momenti della cerimonia, cui gli alpini hanno dedicato tutta la loro attenzione, e ai quali stato doverosamente riservata un’ampia cronaca, con la speranza di non esser andato oltre i limiti di una paziente lettura, quanto avvenuto la domenica successiva, sarebbe passato in secondo piano, se non fosse per la numerosa partecipazione di alpini, di rappresentanze di altre associazioni e di popolazione, ed inoltre della sempre graditissima Fanfara della Brigata Alpina “Julia”, in un movimento generale ordinato e corretto, seguita dal “cerimoniere sezionale” Geronazzo e del suo collaboratore Steno Bellotto, a completare l’intero programma, che prevedeva anche l’inaugurazione ufficiale di una via dedicata agli Alpini.
In un mattino profondamente grigio, alla presenza del Gonfalone del Comune di Sernaglia con il sindaco Rolando Camilli; dei Vessilli della sezione di Treviso con i gagliardetti dei loro gruppi: Nervesa e Santa Croce del Montello, della sezione di Vittorio Veneto con l’immancabile Toni Giust e il cav. uff Giovanni Casagrande, della sezione di Conegliano scortato dal consigliere Luigi Basso; il Gagliardetto del Gruppo di Codroipo; le bandiere di rappresentanza della scuola elementare con numerosi alunni, delle associazioni Combattenti e Reduci di Falzè di Piave, dei Bersaglieri del Quartier di Piave, dell’AVIS e dell’AlDO locali; i gagliardetti dei nostri gruppi: Barbisano, Conegliano-Città, Conegliano M.O. Maset, Colfosco, Corbanese, Gaiarine, Pare, Pianzano, Refrontolo, S. Fior, S. Pietro di Feletto, Sernaglia della Battaglia, Solighetto, Vazzola, Collalbrigo, Collalto, Fontigo, Orsago, Pieve di Soligo, S. Lucia di Piave, S. Maria di Feletto, S. Vendemiano, Soligo, Susegana, e Falzè di Piave, all’inizio del paese si compiuto la prima cerimonia della giornata con la benedizione e il taglio del nastro inaugurale della “Via degli Alpini”, da parte della madrina signora Luigia Signorotto, accompagnata dall’assessore provinciale cav. Pietro Furlan, dal sindaco Rolando Camilli, del presidente sezionale prof. Giacomo Vallomy e dal capogruppo Pierangelo Negro.
Quindi in corteo, preceduti dalla Fanfara Alpina, ci siamo recati a deporre un mazzo di fiori ai piedi del Cippo dedicato alle Vittime Civili, dove si è proceduto all’alza bandiera al suono delle note del “Silenzio”.
Poi ci siamo recati in chiesa ad assistere alla S. Messa, celebrata dal parroco don Angelo Pavan, durante la quale il coro locale, accompagnato dall’alpino avv. Pio Ugo Ori, ha cantato “Signore delle Cime” e la IIa Pontificale del Perosi.
Infine, portatici al Monumento ai Caduti, è stata deposta una corona di alloro, e sono seguiti gli interventi del capogruppo Negro, del sindaco Camilli, del presidente sezionale Vallomy e del rappresentante provinciale Furlan, il quale ha fatto dono al gruppo di Falzè di Piave di una targa per il significativo indirizzo dato alla loro manifestazione. Il cav. uff Ferrari ha chiuso ufficialmente le cerimonie leggendo la bellissima preghiera “Dei Caduti in guerra”.
La Fanfara alpina della “Julia” prima di accomiatarsi ha eseguito il tradizionale “carosello”.
Lasciatemi che prima di chiudere questa cronaca rivolga un pensiero a quegli alpini con i quali, alla vigilia, ho condiviso ansie e preoccupazioni, per la buona riuscita della manifestazione e dell’opuscolo; parlo in particolare di Pietro Breda e Luigi Zanco, di Pierangelo Negro e Sergio Breda, di Lucio Masutti e dei loro collaboratori: non mi resta che gridare, Bravi!
Ricordo che alla fine, specialmente durante il grande rancio, non hanno potuto nascondere la loro commozione, la loro grande soddisfazione per il successo ottenuto e per gli assensi raccolti.
Un’altro alpino — silenzioso e discreto — merita tutta la nostra considerazione e stima: egli è Sante Stella, alfiere del gruppo sino dalla fondazione, reduce d’Africa e di Russia.
E che dire degli straordinari registi della televisione: il cronista alpino avv. Pio Ugo Ori (anche provetto organista) e l’operatore artigliere Natale (Berto per gli amici) Fiorotto, i quali con grande perizia, con interminabile pazienza si sono adoperati a riprendere, per ore ed ore tutte le fasi della manifestazione, intervistando,inoltre, numerosissimi personaggi, in particolare coloro che hanno vissuto la tragedia della guerra dell’anno 1917/18: a Ugo e a Berto rivolgiamo il più caloroso plauso e rinnoviamo la nostra simpatia e riconoscenza.
Ci consola la speranza che le giovani generazioni abbiano raccolto il significato, il valore, i veri ideali a cui si ispirano gli alpini, che deve essere patrimonio spirituale di tutti: ricordare e rispettare la storia del proprio paese, conservare nel cuore e nella mente i fatti che costituisca- no il tessuto morale, umano, civile, e culturale della vita di una comunità.

Renato Brunello

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