2022 San Fior: Completato il restauro della chiesetta di San Martino
Attività
GRUPPO SAN FIOR
IN RICORDO DEL 60° DEL GRUPPO
Gli alpini del Gruppo San Fior hanno completato il restauro della chiesetta di San Martino a Castello Roganzuolo
Gli alpini del Gruppo San Fior hanno completato il restauro della chiesetta di San Martino a Castello Roganzuolo
Fiamme Verdi Giugno 2022
I fili che legano un uomo alla sua terra, alle sue tradizioni, alla sua
memoria costituiscono una maglia così fitta e complessa che nessuna lacerazione
può spezzare.
Si spiega con questo legame invisibile la passione con cui noi
alpini ci siamo dedicati, vent’anni fa, al restauro della Chiesetta di San
Bernardino, ora diventata la “nostra” Chiesetta.
Posta su quella strada che è
parte stessa della storia di San Fior, la Chiesetta ci ricorda che la nostra è
storia di invasioni e devastazioni. E la memoria ci rimanda al Campardo, alla
vita dura e incerta di quella terra arida, amata ma povera, terra dove il lavoro
non bastava mai e tanti dovevano abbandonare.
E allora noi alpini, da tempo
ormai abituati a ricostruire, volevamo impedire che i tratti così semplici e
essenziali di quel portale e quelli familiari e unici di quel piccolo campanile
si smarrissero dietro le rughe e i segni che le trasformazioni e il tempo
inevitabilmente introducono.
Anni fa qualcuno ci disse che sarebbe stato bello
portare a termine anche il restauro della chiesetta di San Martino, nella
frazione di Castello Roganzuolo. Il nostro motto è: serve aiuto? Chiamate gli
alpini. E nemmeno questa volta ci siamo tirati indietro.
L’inaugurazione avviene
sotto una pioggerellina fastidiosa, la famosa estate di San Martino l’abbiamo
goduta qualche giorno prima. D’altra parte qualcuno scriveva la nebbia agli irti
colli piovigginando sale, e allora viene in mente quanto è sempre echeggiato tra
queste balze: al temp l’à sempre fatt quel che l’à volest…
Il pomeriggio
Valentino, Chiara Carniel, Susanna Maset, Elio Tonon e il nostro Luigino ci
ricordano le varie fasi dei lavori. Ora il piccolo tempio è completamente
spoglio e ciò permette di cogliere come sia stato riportato alla sua originale
bellezza. Gli unici elementi che rompono la continuità delle pareti sono la
particolare acquasantiera alla sinistra dell’entrata, gli stipiti in pietra
della porta d’accesso alla vecchia sacrestia che dava sulla Pontebbana, che ora
esiste solo in una foto, e un umile tentativo d’affresco di San Martino a
cavallo sulla parete sud, messo in luce dal restauro. Colpisce la bellezza del
piccolo coro e dell’altare, spogliato anni fa da tutto ciò che poteva essere
trasportato e che si spera venga ora riportato al suo posto. I due angioletti in
marmo che stavano ai lati, per esempio, ora abbelliscono i pilastri all’entrata
del nostro asilo, a uno di essi il tempo ha tarpato le ali. Forse la nota più
bella della giornata è stato il suono squillante delle campanelle, che non
sentivamo da anni.
Fin qui la cronaca.
Poi c’è la storia. Perché la cesèta de
San Martin ha visto scorrerle la storia a fianco, e il mondo cambiare più e più
volte. Come ricordato da Luigino questa era la chiesa delle Larghe, e le Larghe
erano le Basse.
Anche il nostro paese aveva la sua piccola “questione
meridionale”. Infatti Castello Roganzuolo si divideva un tempo in Alte e Basse.
E tra Alte e Basse c’era un po’ di ruggine. Responsabile unico di questa altri
non era che il Padreterno, che fa passare proprio da queste parti il confine tra
la pianura che arriva dal mare e le dolci colline, liete propaggini di
quell’ampio sistema montagnoso costituito dalle Prealpi Venete.
Le Alte erano
praticamente quelli di borgo Gradisca e dintorni: abitando sotto la chiesa, che
su tale borgo incombe, avevano finito con l’essere accusati da coloro che
risiedevano lungo e sotto la Pontebbana di rufianarse su pa ‘l piovan. Va da sé
ovviamente che quelli delle Basse pagavano la loro distanza fisica dalla chiesa
col passare come poco osservanti, e quindi poco di buono, in qualche caso
anticristi e, come tali, responsabili della non uniformità del voto che, in
occasione delle politiche, usciva dalle urne. Nonostante il monito discreto che
arrivava dal pulpito, non tutti infatti votavano “bianco”: si parlava così de “i
rossi dèe Basse”.
Progressisti e conservatori, rossi e bianchi: Alte e Basse
avevano finito per caratterizzare non solo due posizioni geografiche, ma
addirittura due diverse concezioni politiche, culturali e religiose. Ecco
cos’erano riusciti a fare meno di trenta metri di dislivello. Ma non erano poi
tanto assidui i contatti, anche perché quelli delle Basse frequentavano la cesèta de San Martin, sulla Pontebbana, e non solo per problemi di distanza:
c’era infatti chi giurava che nella cesa granda sarebbe entrato solo
…orizzontale.
La messa delle 7 della domenica mattina era Eugenio Dal Mas (Genio
Moro) a intonare in gregoriano Kyrie, Gloria, Sanctus e Agnus Dei, la sua voce
possente faceva da primo, secondo e organo, riempiva la piccola navata e faceva
vibrare le pareti prima di perdersi fuori, invadendo anche la Pontebbana.
La
ruggine tra Alte e Basse era espressione di un campanilismo esasperato: potevano
allora le campane rimanerne fuori? Din den don, Armeìn Luca Tonòn...
Questa era
l’interpretazione che veniva data ai rintocchi solenni e maestosi dei tre bronzi
della parrocchiale. Armellin, Luca e Tonon erano le famiglie più numerose del
paese e in un certo senso anche le più influenti. Meno nobile il messaggio che
veniva dalle derelitte campanelle di San Martino: din don dan, tre gatt e ‘n
can...
La guerra Alte e Basse non esiste ormai da anni, di essa si è persa ogni
memoria.
Il restauro di San Martino è stato l’intervento che più ci ha
coinvolto. Abbiamo ricordato con numerose altre iniziative i nostri 60 anni di
vita, la nostra storia, fatta di fatiche ed emozioni. È stata una bellissima
storia, noi faremo di tutto perché continui ad esserlo.
La chiesetta in una foto del secolo scorso.