2015 San Pietro: Un baluardo di 40 mq - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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2015 San Pietro: Un baluardo di 40 mq

Attività
GRUPPO SAN PIETRO DI FELETTO
Un baluardo di 40 mq per gli alpini di S. Pietro
Fiamme Verdi Giugno 2016


L’eremo camaldolese di Rua di Feletto risale al 1670 e fu soppresso nell’Ottocento da Napoleone. Attualmente ne restano solo alcune parti, tra cui quattro celle, il refettorio e l’albergo dei poveri, dove ha sede il municipio. Quelle celle furono per due secoli simulacri vuoti e abbandonati, tre di esse lo sono ancora. Eppure tra quelle strette mura si sono formate generazioni di scolari. Fino a 55 anni fa la prima cella ospitava le poste del paese, nelle altre tre si svolgeva l’attività didattica delle scuole elementari, e le cinque classi si alternavano in turni mattutini e pomeridiani.
Dal 1989 una delle celle è la sede del Gruppo alpini San Pietro. Con i suoi (nemmeno) 40 mq è la sede più piccola tra i Gruppi della Sezione.
Fin dalla rifondazione (1960) la sede era il tinello di casa del capogruppo storico, Narciso Piccin.
Erano gli anni della ricostruzione, ma il ricordo del conflitto, delle sofferenze e delle distruzioni gravava ancora sulla vita di tante famiglie e i reduci che avevano vestito il grigioverde volevano mantenere vivo quello spirito di corpo nato nei lunghi mesi della guerra.
Il Gruppo alpini San Pietro non mosse quindi i primi passi in una fumosa stanza dell’osteria del paese, come per la maggior parte dei Gruppi del Coneglianese, ma l’atmosfera era la stessa, con la torta, i biscotti e il vino che la moglie di Narciso, Elide, metteva in tavola alla fine delle riunioni. E poteva anche accadere che qualcuno intonasse una nenia alpina, a ricordare i difficili momenti vissuti da qualche reduce presente. Ogni anno in occasione dell’uccisione del maiale la signora Elide organizzava anche uno spiedo per i soci del Gruppo, personaggi che per la loro allegria, l’ottimismo e forte tratto umano finirono per diventare un punto di riferimento per il paese.
Narciso Piccin, nessuno ha dimenticato la sua passione e fede alpina. Alla sua memoria è dedica la sede.
Dove c’è un paese…
Terra di vigne al sole e di colline coltivate, il Felettano conserva un forte legame con la tradizione contadina.
San Pietro, uno scenario tutto da scoprire, paesaggi suggestivi, balze disegnate da infiniti intrecci di vigneti, un’opera d’arte fatta di filari di incantevole bellezza, una terra dove è la vite, che si rinnova al sole come si rinnovano le stagioni, a marcarne la storia.
E quando arriva il tempo della vendemmia ecco ripetersi la secolare tradizione di un rito festoso, mentre umori mostosi impregnano l’aria, il verde lascia spazio ai colori d’autunno e i filari spogli aggiungono armoniose e perfette geometrie alle geometrie dei campi.
Le sue chiese e quelle quattro celle racchiudono storie e ricordi di un mondo che non tornerà più ma che ha segnato le generazioni di questa terra.
La bellezza di quella pieve con i suoi affreschi, l’ampio porticato, dove spicca l’originalissimo “Cristo della domenica”, il campanile da dove per secoli sono partiti i segnali che regolavano i ritmi della vita. Luogo di culto e di socialità, attorno alla sua chiesa il paese muta e si ritrova, per rivivere la continuità della sua cultura e le Un baluardo di 40 mq per gli alpini di S. Pietro sue tradizioni, per rinnovare il ricordo collettivo da cui affiorano le immagini del tempo di pace e del tempo della guerra, i giorni del lavoro e quelli della festa, le ore del pane e del vino. Scegliendo come sede la piccola cella dei Camaldolesi le penne nere di San Pietro hanno voluto dimorare dentro la loro storia.
Si sa, infatti, che un tratto degli alpini è di essere custodi della memoria e delle tradizioni della loro terra.
E così anni fa il Gruppo si è fatto carico del delicato restauro del capitello di S. Antonio, lì dove si apre quella piazza in cui sembra aleggiare ancora lo spirito di una figura che qui era di casa e che sarebbe poi passata alla storia col nome di “Papa buono”.
E a Rua gli alpini hanno ricollocato il crocefisso all’entrata di quello che era il grande eremo camaldolese, con la pietra dove si ammonisce di scomunica la donna che l’avesse oltrepassata.
Per rispetto della storia del loro paese e per ricordare cosa questo paese è stato.
L’attaccamento delle penne nere alla loro terra e alle loro tradizioni: a San Pietro riesce difficile parlare della realtà del paese senza parlare degli alpini che in questa comunità sono attivi da 80 anni. Scorrendo le pagine della loro storia, infatti, si scopre che questa è anche la storia del paese.
Non c’è, infatti, momento di impegno sociale, culturale, solidale, ricreativo che non veda la presenza delle penne nere di Rua e San Pietro. E' questo lo spirito che li ha guidati per 80 anni. 80 anni sono stati un impegno attivo per la comunità, impegno che li vede sempre in prima linea in tutte le manifestazioni, pronti a fornire in ogni momento la loro organizzazione e il loro supporto logistico a chi li chiama, e loro stessi promotori di iniziative che tengono vive le tradizioni, fedeli al motto “dove c’è un paese lì ci sono gli alpini”.
Sporcarsi le mani
Il nuovo parroco, don Adriano, non si è ancora insediato nelle parrocchie del Felettano, ma ha voluto celebrare la messa per l’80mo.
Ha ricordato di essere figlio e fratello di un alpino, di sapere che alpinità significa amicizia, solidarietà, gratuità, condivisione, amore per la propria terra, e di conoscere il ruolo importante nelle comunità in cui gli alpini operano, quegli alpini che tengono in gran conto il ricordo rispettoso del passato e delle sofferenze, del sacrificio di chi ha dato la vita per il dovere e il bene prezioso della pace, quella pace di cui le generazioni di oggi possono godere.
Gli alpini vivono con grande impegno anche il presente, con l’attenzione per le sofferenze e le situazioni di emergenza, dove arrivano sempre, in silenzio e senza clamore, senza paura di sporcarsi le mani.
Sporcarsi le mani, nel fango, nella polvere delle macerie, avere il coraggio di farsi carico del disagio altrui, anche se ciò significa andare controcorrente rispetto ai messaggi che la società attuale propone in continuazione.
Le parole di don Adriano sono musica per le orecchie degli alpini che riempiono le navate della chiesa di Rua.
Negli sguardi che si incrociano compiaciuti si legge: “sto qua l’è dei nostri”.
Prima della messa la sfilata e l’alzabandiera, bandiera che è subito stata messa a mezz’asta in ricordo delle vittime di poche ore prima a Parigi in quella strage che ha scosso l’Europa.
Nel successivo sfilamento verso il municipio il corteo ha sostato davanti al campanile ove una pietra ricorda il sacrificio degli avieri caduti proprio in quel punto nell’ultimo anno del primo conflitto mondiale.
Irrompe così nella manifestazione il ricordo della Grande Guerra che proprio da queste parti ebbe il suo epilogo finale.
La nostra millenaria civiltà cristiana.
La lapide dei caduti (è stata restaurata e ricollocata anni fa proprio dagli alpini) è lì a ricordare che anche qui la guerra presentò il conto, un conto salatissimo se è vero che il lungo elenco sembra addirittura esagerato per un paese come San Pietro.
L’omaggio ai caduti è accompagnato dalle note eseguite dalla “1906 Feletto Band”, il complesso musicale sorto dalle ceneri del Corpo Bandistico di San Pietro di Feletto, nato i primi anni del secolo scorso e scioltosi nel 1996.
Il Piave, e l’Inno di Mameli: il complesso musicale per l’occasione ha saputo adattarsi al repertorio in maniera magistrale, ed è palpabile la commozione alle note del 33. Perché anche l’alpino più duro a quelle non sa resistere…
Dalle parole del sindaco Loris Dalto si coglie quanto sia vitale per San Pietro questo piccolo Gruppo, mentre il presidente Benedetti ricorda con orgoglio l’impegno di tutti i Gruppi per le numerose manifestazioni che ha visto impegnata la Sezione per il 90.mo.
Molto appassionato l’intervento del presedente ANA Favero che ha voluto onorare con la sua presenza questo compleanno. Rivendica con toni forti il ruolo degli alpini nel difendere i nostri valori, i valori della “nostra millenaria civiltà cristiana”.
Come detto, incombono come macigni le drammatiche immagini degli attentati in Francia, e la presa di posizione del presidente nazionale è ferma: non rinunceremo mai a quelle parole della Preghiera dell’Alpino troppo spesso messe in discussione. L’alpino è armato di fede e di amore e usa la sua forza non a offesa ma a difesa. E noi, nel profondo rispetto di tutte le altre, la nostra civiltà la difenderemo!
Palpabile l’emozione del capogruppo, che ringrazia i numerosi sindaci presenti, le rappresentanze dei Gruppi della Sezione con i gagliardetti e tutti gli alpini.
Ricorda i capigruppo che lo hanno preceduto: Ceschin Giovanni, Ceschin Roberto, Antiga Ernesto, Piccin Narciso, Miraval Jack.
La passione e l’impegno di Mario Casagrande sono ripagati da un grande consenso.
Guida il Gruppo da 24 anni e probabilmente si accinge a entrare in quella schiera di personaggi che per l’attaccamento ai loro alpini sono destinati a svolgere la mansione di capogruppo a vita.
Come un caretèl da 2 etoitri…
Il rancio è preparato dai cuochi del Gruppo nella palestra comunale, coadiuvati, come sempre, dall’altra metà del cielo.
Un pranzo aperto da una raffinata pastasciutta, per sfatare la tanto bistrattata fama della pasta al ragù degli alpini, punto debole degli incontri culinari delle penne nere. Poi uno spiedo degno della fama degli spiedi che in queste colline vengono rosolati lentamente al fuoco fin dai tempi dei Longobardi.
Per non parlare del vino che qui non devono certo andare a procurarselo altrove.
Per l’occasione compare sulle tavole l’“ardore patrio”, un bianco tranquillo che, oltre a riassumere alcune varietà d’uva dei primi anni del Novecento, vorrebbe racchiudere in sé il valore di quei giovani ragazzi che nella primavera del 1915 partirono con l’ardore della gioventù per onorare il loro dovere verso la Patria.
E proprio la sera prima in questa palestra uno spettacolo di canti e testimonianze aveva abbinato la festa dell’80.mo al ricordo dei 100 anni della Grande Guerra.
Protagonisti della serata il nostro Nicola Stefani, ormai da tutti apprezzato come “la voce degli alpini”, e il coro Voci della Julia, gruppo di ex coristi della Brigata alpina sorto per ricordare un amico prematuramente scomparso. Voci che hanno regalato al numeroso pubblico presente non solo una performance canora di assoluto livello, ma hanno saputo veicolare con le loro cante, emozioni e sentimenti, e hanno risvegliato e reso vive sensazioni e immagini. L’ultimo brano, a sottolineare la familiarità e l’amicizia che lega il Gruppo, è stato eseguito assieme ai boce dei coristi.
Commoventi, drammatici, difficili, a volte addolciti dalla patina del tempo i racconti letti da Stefani, le testimonianze degli alpini di San Pietro che avevano partecipato alla prima guerra. Le sofferenze patite, la morte tante volte vista in faccia e tante volte sfiorata, storie di eroismo, coraggio, incoscienza, l’impreparazione alla guerra dell’esercito italiano, l’inettitudine dei comandanti.
Come nella testimonianza dell’alpino Faldon Pietro che raccontava di montagne abbandonate agli Austriaci su ordine degli alti ufficiali italiani e poi riconquistate con il sangue.
Pietro Schincariol sul Montenero era stato gravemente ferito da una granata a una gamba ed era rimasto muto sotto una catasta di commilitoni cadaveri. Dopo tre giorni, sentendo parlare italiano, aveva chiamato aiuto. Nell’ospedale da campo la gamba amputata gli era stata sostituita con una di ceramica. Inviato a Torino in una struttura che ospitava gli invalidi di guerra vi era rimasto per un anno e mezzo e nel periodo della riabilitazione aveva imparato il mestiere di ciabattino, mestiere che avrebbe poi esercitato per tutta la vita.
Durante la dura occupazione del ’18 per evitare di essere catturati dagli occupanti le tentavano tutte, come Ceschin Erminio che teneva la barba lunga e incolta per sembrare più vecchio.
Ros Vincenzo durante un assalto era rimasto sepolto sotto la terra sollevata da una granata. Un addetto al recupero dei feriti nella foga di estrarlo dalla terra gli aveva piantato un piccone sulla schiena. Vincenzo avrebbe maledetto la guerra per tutto il resto della sua esistenza perché, uscito dal conflitto illeso dai colpi nemici, aveva rischiato la pelle per la picconata di un commilitone. L’alpino Lot Onorato Antonio, fratello del nonno materno di Angelo Miraval, raccontava che nella casa di Rua, nel difficile anno dell’occupazione, erano rimaste solo due sue sorelle e 7 bambini, gli uomini erano tutti al fronte al di là del Piave.
La famiglia Lot aveva una mucca, che, per paura che i soldati nemici portassero via, veniva nascosta nel tinello di casa. Un collaborazionista aveva fatto la spia e aveva portato a casa Lot gli occupanti che si erano portati via la bestia. Ritornato dal fronte, Onorato, incontrato il collaborazionista, lo aveva tramortito di botte, fino a ridurlo in fin di vita. Processato per tentato omicidio il giudice gli aveva chiesto se fosse pentito. Onorato aveva ribadito con spavalderia che l’unica cosa di cui si pentiva era di non averlo ammazzato…
Antiga Antonio, dispersosi durante un bombardamento nemico che aveva distrutto la sua postazione, era stato ritrovato sano a salvo dopo alcuni giorni in una minuscola casera sulle pendici del Grappa. Ricordava sempre che i proiettili dei cannoni nemici che vedeva arrivare erano grossi come caretei da 2 etoitri de proseco… Il prosecco, uno dei protagonisti della storia di San Pietro, con i suoi grappoli a ricamare d’oro le colline di questo lembo della Marca Trevigiana.
Le penne nere di San Pietro hanno voluto questo Ottantesimo per ricordare gli alpini che hanno dato un pezzo della loro esistenza a questo Gruppo e a questo paese. Mario Casagrande ringrazia tutti coloro che si sono impegnati a vario modo nella manifestazione e in particolare il giovane segretario Christian Faldon, per l’enorme mole di lavoro svolto con passione e competenza.








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