1962 Sernaglia: La benedizione del Gruppo
Attività
GRUPPO SERNAGLIA DELLA BATTAGLIA
LA BENEDIZIONE DEL GRUPPO DI SERNAGLIA
Fiamme Verdi Aprile 1962
Il nostro Cappellano Sezionale Mons. Francesco Sartor benedice il gagliardetto del Gruppo di Sernaglia delle Battaglia
Il Capogruppo Prof. Cav. Lino Gobbato parla ai convenuti per l’inaugurazione del Gagliardetto di Sernaglia
Il battesimo del nuovo gruppo di Sernaglia della Battaglia si è svolto il 14 gennaio un’atmosfera di calda simpatia e in una cornice degna dell’ultimo nato della Sezione, il quale aveva dimostrato fin dai primi passi di sapersi arrangiare e di volersi inserire quasi di prepotenza nella grande nostra famiglia.
Il Consiglio formato dal Capo-gruppo Prof. Lino Gobbato e dagli alpini Memi Zannoni, Nino Villanova, Mario Franco. Gobbato Innocente, Zecchinon Giovanni, Emilio Marsura e Lava Olivo coadiuvato da un volonteroso gruppo di «boce» aveva messo a punto l’organizzazione in ogni suo dettaglio.
Quando i primi gruppi cominciavano ad affluire a Sernaglia, trovarono le vie e la piazza pavesate di striscioni (tra cui spiccava il nobile manifesto della Sezione) e di tricolori. Piazza Martiri, dov’era posto il raduno, già echeggiava delle note della fanfara del Settimo contribuendo a dare immediatezza e calore agli incontri tra i «veci» e i «boce».
Alle dieci, dietro il labaro della Sezione, le fiamme di ventitrè Gruppi, le bandiere delle associazioni d’arma del Quartier del Piave, si incolonnarono 1200 alpini diretti all’arcipretale per assistere alla Messa di suffragio per i Caduti di tutte le guerre e alla benedizione della fiamma del nuovo Gruppo.
Officiava Mons. Sartor il quale, al termine della Santa Messa, ricordò i caduti con l consueta appassionata sensibilità. La sua calda parola in cui mirabilmente si fondevano le virtù del sacerdote e dell’alpino, scese sull’auditorio attento e commosso che gremiva letteralmente le vaste navate della chiesa.
Retto dal «vecio» Lorenzon Agostino, decorato della prima guerra mondiale, con la scorta di altri due decorati di quest’ultima: gli alpini Nino Moro e Mariotto Gildo, madrine la sorella e la madre dei caduti Luciano Nardi e Angelo Zulian, il gagliardetto del nuovo Gruppo di Sernaglia, veniva portato all’altar maggiore ove Mons. Sartor procedeva alla benedizione.
Terminati i riti sacri, si riformava il corteo che sfilava per piazza Martiri ove era sistemato il palco nel quale avevano preso posto col Presidente della Sezione cav. uff. Curto e il sindaco Villanova, il prof. Vallomy, l’avv. Travaini, il prof. Viezzer e molti altri consiglieri e Capigruppo. La lunga, ordinata colonna percorse via Roma per raggiungere piazza San Rocco ove fu deposta una corona d’alloro al monumento dei Caduti.
Mazzi di garofani erano stati contemporaneamente collocati dinnanzi al monumento agli Arditi, a quello del XXX Fanteria e alle lapidi che ricordano la marcia vittoriosa dei nostri reparti lanciati, gli ultimi giorni del ’18, verso Vittorio Veneto.
Il corteo, attraverso via S. Rocco e Calvario, ritornava in piazza Martiri e s’ammassava attorno al palco.
Dopo il cordiale saluto del sindaco Villanova, prese la parola il presidente della Sezione cav. uff. G. Curto il quale, espressa tutta la sua soddisfazione per l’imponente raduno che stava a significare la vitalità della Sezione di Conegliano, ha presentato l’oratore prof. Vallomy.
Puntualizzato il significato di questi convegni, l’oratore ufficiale ne sintetizzò in modo quant’altro mai efficace l’alto valore umano e sociale. Un caloroso applauso degli alpini e della cittadinanza che numerosa aveva voluto presenziare alla cerimonia, ha salutato le parole del prof. Vallomy il quale è stato lungamente complimentato.
Il cav. Gobbato, capogruppo di Sernaglia, concludeva esprimendo la sua gratitudine alla Sezione ed in particolare al vice presidente sezionale cav. Daccò per l’assistenza generosa e costante prestata al Gruppo durante i suoi primi giorni di vita; ringraziava anche gli alpini che in maniera sì imponente avevano risposto all’invito di Sernaglia, terra legata ai ricordi più gloriosi del nostro Risorgimento.
Terminate le cerimonie ufficiali, gli alpini si radunavano intorno al grande «fogher» costruito all’aperto per la tradizionale passata di «ombre»; per la cronaca ne furono consumate cinque chilometri (leggi ettolitri cinque) e l’allegria più schietta scoppiettò tra i capannelli che si erano andati spontaneamente formando.
Le autorità, gli ospiti, le madri e le vedove di guerra venivano intanto invitati dal Sindaco in Municipio, ove veniva loro offerto un rinfresco.
Puntualmente, alla mezza, una ventina di giovani graziose ragazze servirono un buon rancio ad alcune centinaia di commensali.
Erano presenti, col sindaco e Mons. Sartor, anche l’arciprete di Sernaglia don Luigi Balasso, combattente e invalido della Prima Guerra, il quale aveva salutato con molta simpatia la costituzione dei Gruppo di Sernaglia.
Al termine del rancio, preceduti dalla fanfara, gli alpini si riversarono nella vicina frazione di Fontigo, ove tutto il paese si strinse attorno alle «penne nere». La fanfara dovette sostare davanti ad ogni locale e la generosa ospitalità dei Fontighesi ebbe modo di manifestarsi appieno sicché i «boce» del Settimo ad un certo punto s’accorsero, loro malgrado, d’aver fatto «il pieno».
Le arie più popolari, quelle eterne perchè fanno parte della coralità del nostro popolo, assumevano il ritmo frizzante del buon vino. Si ballava per le vie; si cantava.
Al tramonto, la fanfara e gli alpini facevano ritorno al capoluogo ove l’allegria si protrasse fino alle ore piccole.
Tutti avevano bevuto giusto e si trovavano in quel particolare stato d’animo che fa dimenticare ogni «grana» e guardare all’umanità con occhio fraterno.
La medaglia d’oro Angelo Ziliotto era venuto a dar man forte alla compagnia nella fase finale perché impegnato nella giornata con altra manifestazione.
Nei locali pubblici, nelle case private si ricordarono i giorni della «naja», della guerra, della prigionia e si riandava alla bella giornata trascorsa durante la quale gli alpini, tra la sorpresa degli «altri», avevano dimostrato anche un altissimo grado di educazione e di civiltà.