1961 Hanno armato le belve
1961
HANNO ARMATO LE BELVE
Fiamme Verdi Dicembre 1961
Ma che dico! Le belve si possono ammaestrare e se allevate dalla nascita assumono un comportamento docile anche se dignitoso e finiscono con l’apprezzare le cure dedicate dall’uomo.
Ma nei Congo i nativi han dimostrato di non essere parenti, nemmeno lontani, delle belve perchè secoli di comunità con i bianchi sono valsi solo a convincere gli ingenui anticolonialisti che i negri avrebbero potuto governare da soli e rispettare le istituzioni proprie ed altrui.
Dopo queste premesse do subito del fesso a chi mi vuole, per quanto detto, ritenere un negriero.
Depurato così l’uditorio, ritorniamo al Congo, a questa nazione che tutti si affrettarono ad ammettere all’O.N.U. per le sue «incontestabili qualità civili» mentre questa «lazzarona» di Italia che ebbe annullati millenni di «buona condotta» da una guerra perduta, si vide rifiutata per anni dal consesso delle Nazioni come un’appestata. Non era servito a niente l’aver dato all’umanità uomini ed esempi sublimi in ogni campo ed in ogni Epoca, mentre era assai apprezzabile la mensa congolese imbandita di frattaglie umane.
Era meglio che fosse evitato a noi di scrivere queste cose che esulano dalla ben definita nostra competenza, ma ci sono di mezzo tredici morti che pur andati in Congo con un casco blu in testa, portavano le stellette dell’esercito italiano.
I giornali si sono astenuti dal dare molti dettagli sull’orrenda fine dei nostri aviatori; sono state solo diffuse le notizie «meno orripilanti» e che si limitavano quindi a descrivere l’assalto di centinaia di «soldati regolari dell’esercito della nazione congolese» (inutile dir balle su presunte ribellioni) al disarmato drappello italiano.
Le notizie parziali, meno orrende, parlano dello squartamento dei nostri soldati dinanzi ad una massa di soldati e di civili (civili per dire cittadini non militari, intendiamoci) perché tutti hanno partecipato, coi coltelli e con le mani, a smembrare quei poveri uomini contendendosene selvaggiamente i pezzi venduti poi a coloro che, «meno fortunati», erano mancati all’orgia bestiale.
Ecco i prezzi: un dito di soldato italiano, franchi cento; mano di soldato italiano, cinquecento franchi.
Rimasero solo due «pezzi» più grossi: due tronconi svuotati che vennero portati in corteo fino alla Via Patrice Lumumba, gettati nel fango e lasciati lì fino al giorno successivo.
Intanto, molti «valorosi» soldati congolesi irrompevano nelle case delle poche famiglie di bianchi rimaste in quello schifoso paese e vi scaraventavano dentro le viscere dei nostri soldati, schizzando di sangue italiano pavimenti e pareti.
Tutto questo è poco rispetto a quanto accadde; il resto lo tacciamo pure noi.
Tra la grande quantità di caute, prudenti e pazienti commissioni e sottocommissioni di lenta inchiesta, fu ammirevole soltanto l’avvocato italiano Giorgio Pagnanelli che per primo intervenne immediatamente a Kindu dal colonnello congolese Pakassa che sapeva responsabile dell’arresto dei nostri aviatori (non sapeva ancora che fine avessero fatto) e lo prese a schiaffoni tra i negri armati.
E’ stata chiesta la punizione dei responsabili; ma la colpa più grave è di chi ha armato gente simile che abbisogna di essere guidata (non resa schiava) ed istruita (anche e soprattutto in comunione coi bianchi, signori antirazzisti tedeschi di ieri ed americani di sempre) altrimenti l’indipendenza è oltremodo dannosa a chi la concede e a chi l’esercita.
Un confratello giornale alpino del Veneto ha dedicato un bel articolo al tragico avvenimento ed ha concluso con l’espressione che vogliamo fare anche nostra: Mi no odio nissun!
Non odio, per carità!, ma siamo in tanti ad avere alle mani lo stesso prurito dell’Avv. Pagnanelli il quale ama quei negri ma li conosce.
M. A.