1962 Il lato triste della consolazione
1962
Il lato triste della consolazione
Fiamme Verdi Dicembre 1962Sono tornato dalle onoranze rese alle Salme di cinque Caduti.
Autorità ed Associazioni hanno tatto le cose per bene; notevole la partecipazione di popolo, consistente la rappresentanza militare; largo stuolo di parenti ed amici, il rito religioso celebrato dal fratello sacerdote di uno dei Caduti, la fanfara che ha aperto il corteo con musiche militari di circostanza, l’affettuoso e commosso saluto del sindaco, l’orazione appassionata di una personalità combattentistica, il «silenzio fuori ordinanza» di un giovane trombettiere dell’ultima leva, l’avvio al cimitero per il rito finale della sepoltura in terra di casa.
Tanta gente piangeva sommessamente, sotto la pioggia che cadeva sempre più fitta quasi che anche il Cielo volesse unire il proprio pianto alle lacrime di congiunti, commilitoni ed amici.
Erano vent’anni che si attendeva con trepidazione dolorosa questo giorno destinato a lenire in parte il lutto delle Famiglie in attesa.
Eguali cerimonie sono avvenute oggi in centinaia di paesi e si ripetono da circa due anni per riportare in Patria decine di migliaia di nostri Soldati sepolti in terra straniera.
E’ una consolazione, indubbiamente, tant’è vero che io non accoglierei i Caduti con labari e bandiere a lutto perchè, pur nella mestizia dell’avvenimento, questi Morti levati dalla tomba quasi simboleggiano, ed in parte anticipano, la resurrezione.
Decine e decine di piccoli cimiteri di guerra di Balcania ed Albania son rimasti spopolati, deserti, ormai dissacrati dall’esodo dei loro silenziosi abitanti.
E’ in ciò che sento la nota triste in sì grande consolazione.
I cimiteri di guerra rappresentavano l’unica conquista italiana dell’ultimo infelice conflitto; quei due metri di terra ogni Caduto se li era conquistati, quei piccoli fazzoletti di terra benedetta erano Italia e i Soldati che raccoglievano erano altrettanti ambasciatori di pace nel mondo: la Loro missione non era finita.
Un cimitero di guerra è come un giardino, con le sue Aiuole di carne umana irrorate dalle lacrime dei compagni d’avventura; non importa se i fiori apparenti son piante di campo invece che rose perchè il cuore dei Morti deve far fiorire in ognuno di noi virtù che non tramontano nel volger di stagione.
Vent’anni son passati dall’iniziale cerimonia oggi conclusa: non c’erano i parenti allora ignari della perdita del proprio Soldato; c’era il prete come ora, a recare il segno di Dio tra tanto odio umano; mancava la fanfara, supplita orrendamente dal tuono dei cannoni, dall’acuto gracidare della mitra glia, dal sibilo dei proiettili che andavano e venivano.
In quella atmosfera son stati raccolti i nostri Morti dalle membra contratte e gli occhi sbarrati, quasi volessero balzare in piedi ancora una volta; ed era difficile staccar loro dalle mani le inadeguate armi che già avevano usato i padri venticinque anni addietro; era straziante quei corpi rigidi e contorti entro le improvvisate bare, chiudere quegli occhi bianchi immersi in un viso annerito dalle esplosioni
La rotazione era continuata: i rimasti facevano da seppellitori in attesa di venire a loro volta serviti; ogni volta era un po’ come seppellire se stessi.
Avete invece mai notato la fastidiosa irritante spavalderia ed indifferenza dei becchini professionisti. Mi son venuti alla mente proprio oggi, per analogia, in chiesa e fuori.
Nel tempio erano in molti a piangere; erano ex combattenti, soldati che avevano vista la morte sul campo. Alcune donnette, use a frequentar la chiesa con abituale indegnità, censivano e si additavano il tale e il
tal’altro uomo che non sapeva frenare le lacrime; e si meravigliavano che uomini tanto forti (gente che aveva fatto la guerra e quindi insensibili a giudizio di quelle femmine) potessero stentare a soffocare il pianto.
Se qualche santo degli altari fosse sceso a buttar fuori quelle donne a calci nel sotto-vescica !
Trattamento analogo sarebbe spettato a quei due (un mugnaio e un mediatore) inseritisi addirittura nel gruppo delle autorità e che lungo tutto il percorso del corteo han trattato l’acquisto d’un trattore da 4 HP, e una partita di cereali.
Ho i testimoni per tutto questo. Vent’anni fa non c’era gente simile attorno ai nostri Morti e quindi viene spontaneo il confronto con l’oggi.
Molto ci sarebbe ancora da dire e se qualcuno erroneamente crede che io preferissi che i Caduti di Jugoslavia, Montenegro ed Albania fossero rimasti laggiù, si sbaglia: mi scriva ché sarò più esplicito a confermare il contrario
Erano attesi questi poveri Morti ed è un bene e una ricchezza che siano tornati, ma se l’Italia è più ricca per questo ritorno ora la sento ancor più piccola di prima: consola al pensare che gli abbandonati cimiteri di guerra, questi sacri lembi di Patria italiana fatti di eroica polvere umana, sian volati al Cielo con tutte le Croci allineate, con i Loro reparti di anime eroiche, cella convinta certezza che il Loro sacrificio e il nostro ricordo saran valsi a far schierare a riceverli una scorta di Angeli.
Autorità ed Associazioni hanno tatto le cose per bene; notevole la partecipazione di popolo, consistente la rappresentanza militare; largo stuolo di parenti ed amici, il rito religioso celebrato dal fratello sacerdote di uno dei Caduti, la fanfara che ha aperto il corteo con musiche militari di circostanza, l’affettuoso e commosso saluto del sindaco, l’orazione appassionata di una personalità combattentistica, il «silenzio fuori ordinanza» di un giovane trombettiere dell’ultima leva, l’avvio al cimitero per il rito finale della sepoltura in terra di casa.
Tanta gente piangeva sommessamente, sotto la pioggia che cadeva sempre più fitta quasi che anche il Cielo volesse unire il proprio pianto alle lacrime di congiunti, commilitoni ed amici.
Erano vent’anni che si attendeva con trepidazione dolorosa questo giorno destinato a lenire in parte il lutto delle Famiglie in attesa.
Eguali cerimonie sono avvenute oggi in centinaia di paesi e si ripetono da circa due anni per riportare in Patria decine di migliaia di nostri Soldati sepolti in terra straniera.
E’ una consolazione, indubbiamente, tant’è vero che io non accoglierei i Caduti con labari e bandiere a lutto perchè, pur nella mestizia dell’avvenimento, questi Morti levati dalla tomba quasi simboleggiano, ed in parte anticipano, la resurrezione.
Decine e decine di piccoli cimiteri di guerra di Balcania ed Albania son rimasti spopolati, deserti, ormai dissacrati dall’esodo dei loro silenziosi abitanti.
E’ in ciò che sento la nota triste in sì grande consolazione.
I cimiteri di guerra rappresentavano l’unica conquista italiana dell’ultimo infelice conflitto; quei due metri di terra ogni Caduto se li era conquistati, quei piccoli fazzoletti di terra benedetta erano Italia e i Soldati che raccoglievano erano altrettanti ambasciatori di pace nel mondo: la Loro missione non era finita.
Un cimitero di guerra è come un giardino, con le sue Aiuole di carne umana irrorate dalle lacrime dei compagni d’avventura; non importa se i fiori apparenti son piante di campo invece che rose perchè il cuore dei Morti deve far fiorire in ognuno di noi virtù che non tramontano nel volger di stagione.
Vent’anni son passati dall’iniziale cerimonia oggi conclusa: non c’erano i parenti allora ignari della perdita del proprio Soldato; c’era il prete come ora, a recare il segno di Dio tra tanto odio umano; mancava la fanfara, supplita orrendamente dal tuono dei cannoni, dall’acuto gracidare della mitra glia, dal sibilo dei proiettili che andavano e venivano.
In quella atmosfera son stati raccolti i nostri Morti dalle membra contratte e gli occhi sbarrati, quasi volessero balzare in piedi ancora una volta; ed era difficile staccar loro dalle mani le inadeguate armi che già avevano usato i padri venticinque anni addietro; era straziante quei corpi rigidi e contorti entro le improvvisate bare, chiudere quegli occhi bianchi immersi in un viso annerito dalle esplosioni
La rotazione era continuata: i rimasti facevano da seppellitori in attesa di venire a loro volta serviti; ogni volta era un po’ come seppellire se stessi.
Avete invece mai notato la fastidiosa irritante spavalderia ed indifferenza dei becchini professionisti. Mi son venuti alla mente proprio oggi, per analogia, in chiesa e fuori.
Nel tempio erano in molti a piangere; erano ex combattenti, soldati che avevano vista la morte sul campo. Alcune donnette, use a frequentar la chiesa con abituale indegnità, censivano e si additavano il tale e il
tal’altro uomo che non sapeva frenare le lacrime; e si meravigliavano che uomini tanto forti (gente che aveva fatto la guerra e quindi insensibili a giudizio di quelle femmine) potessero stentare a soffocare il pianto.
Se qualche santo degli altari fosse sceso a buttar fuori quelle donne a calci nel sotto-vescica !
Trattamento analogo sarebbe spettato a quei due (un mugnaio e un mediatore) inseritisi addirittura nel gruppo delle autorità e che lungo tutto il percorso del corteo han trattato l’acquisto d’un trattore da 4 HP, e una partita di cereali.
Ho i testimoni per tutto questo. Vent’anni fa non c’era gente simile attorno ai nostri Morti e quindi viene spontaneo il confronto con l’oggi.
Molto ci sarebbe ancora da dire e se qualcuno erroneamente crede che io preferissi che i Caduti di Jugoslavia, Montenegro ed Albania fossero rimasti laggiù, si sbaglia: mi scriva ché sarò più esplicito a confermare il contrario
Erano attesi questi poveri Morti ed è un bene e una ricchezza che siano tornati, ma se l’Italia è più ricca per questo ritorno ora la sento ancor più piccola di prima: consola al pensare che gli abbandonati cimiteri di guerra, questi sacri lembi di Patria italiana fatti di eroica polvere umana, sian volati al Cielo con tutte le Croci allineate, con i Loro reparti di anime eroiche, cella convinta certezza che il Loro sacrificio e il nostro ricordo saran valsi a far schierare a riceverli una scorta di Angeli.
18 novembre 1962
MARIO ALTARU1