1962 Mamme e arance Alpino - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di CONEGLIANO
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1962 Mamme e arance Alpino

1962
MAMME! Per la salute e la gioia del vostro bambino preferite sempre le arance ALPINO !

Fiamme Verdi Giugno 1962

Non vi allarmate per le credibili precarie condizioni di salute mentale di chi scrive. L’onore dei titolo va alla ditta La Rocca & Ardizzone di Catania che ha messo in commercio delle arance che credevo derivanti dall’innesto della vite con l’arancio e che ho invece trovato perfettamente identiche alle altre.
La mia buona moglie è stata premurosa assai a recarmele in tavola, bene avvolte nella consueta pezzuola di carta velina che poi vi descriverò, ma non ho arrischiato a chiederle se l’aveva fatto per un consenziente adeguamento ai miei sentimenti alpini o ad una più convinta dimostrazione di quanto sembri talvolta inutile difendere un simbolo che altri prendono solo a pretesto di smercio commerciale.
Adesso vi descrivo l’incarto dell’arancia: in alto e in basso, rispettivamente in colore rosso e celeste, la solenne affermazione riportata nel titolo; poi in centro, su uno sfondo di pini e di montagne, spicca la figura di un Alpino formato tessera, con tanto di barba e baffi, con penna e nappina al lato opposto del cappello e un’aureola così fatta: La Rocca & Ardizzone produttore
- ALPINO (non produttore alpino perchè quest’ultima espressione è staccata e campeggia tra il cappello e le montagne) e, più sotto, c’è scritto: Palagonia - Catania - Sanguinelle. Poi, attorno a questo rosone, una serie di stelle alpine verdi e blu.
C’è stato un particolare che mi ha fatto piacere e che denota la specifica conoscenza che la ditta produttrice ha del Corpo degli Alpini: le mostrine e la cravatta dell’alpino in effige sono state tinte di un bel colore rosso forse credendo che alla tinta della nappina debba necessariamente corrispondere un uguale colore anche per le prime.
L’ottimo mensile della carissima Sezione consorella di Bolzano pone in evidenza, nel suo numero di aprile, proprio l’abuso che vien fatto del nostro cappello nelle campagne pubblicitarie: l’articolista L. Zuelli lamenta soprattutto che sia la stampa alpina a consentire se non a suggerire l’innesto di cappelli alpini alle inserzioni pubblicitarie, ritenendo che la nostra insegna possa aver più presa nei consumatori mentre è più credibile che il sistema sia controproducente quando si tratti di articoli completamente avulsi dalla vita alpina.
E’ comprensibile che la Ditta Antoniazzi di Conegliano abbia creato una bella confezione per la grappa ottenuta dalle vinacce del Prosecco, sormontata da una riproduzione di cappello d’alpino, ma che un ufficiale superiore che fu pure presidente sezionale abbia fabbricato sapone da bucato con in bassorilievo il cappello alpino, questo è un po’ troppo; tranquillizzatevi comunque che il sapone «ALPINO» è sparito da tempo dalla circolazione commerciale.

Spiace invece che a Torino si continui a mangiare il «Salametto Alpino» che viene reclamizzato con il seguente slogan: «Ah! come a’s mangia bin con ‘i Salamet Alpin!!».
L’elenco di questi piccoli obbrobri occuperebbe completamente il nostro giornale, con la necessità forse di ripartirlo in puntate, ma non è questo il punto più importante.
Anziché della figura del cappello desidero parlare del cappello stesso che viene talvolta mal usato proprio da noi.
Anzitutto quando abbiamo il cappello alpino in testa dobbiamo metterci in testa anche la convinzione di doverlo portare con dignità: il cappello non deve autorizzarci ad essere villani verso noi stessi con sbornie schifose e nemmeno verso gli altri con atti e contegni inammissibili.
Quando andiamo all’adunata, piccola o grande che sia, decidiamo un autorichiamo alla naja e proprio perchè è volontario il fatto esige un senso di responsabilità che deve sempre accompagnare le nostre azioni.
Non ci riuniamo certo più sottostare ad una disciplina militare perchè i superiori li salutiamo se ce ne pare, delle ronde ce ne sbattiamo e le «pacche» sul cappello non ce le leva neanche uno stuolo di generali. Dobbiamo però obbedire ai superiori che ci siamo eletti a guida della nostra Associazione e su ciò è inutile intrattenerci perché è ammirevole come istantaneamente tutti vanno al passo al «33» della fanfara e sottostanno alle disposizioni che vengono impartite.
Anche questo dunque un sistema per usare bene il cappello.
Il mio amico Bruno S. di Treviso ha adibito il cappello alpino a prima ma culla per i suoi figli (che, guarda caso, son tutti maschi); quando la moglie sta per partorire lui aspetta col suo cappello come si trattasse di cogliere al volo una mela matura che sta per cadere. E’ proprio il caso di dire che il «bocia» cade dalla «padella» alla brace, quest’ultima rappresentata dalla naja alpina che gli sarà inevitabile per il già deciso ed inappellabile arruolamento voluto dal padre.
Il cappello con la penna nera sia quindi degli alpini e dei futuri alpini; per quest’ultimi il cappello passi però dal sederino alla zucca solo vent’anni dopo.

Non diamolo a nessuno, nemmeno agli amici degli alpini, anche perché le industrie Borsalino, Panizza, ecc. dovrebbero fabbricare cappelli nostri e bisognerebbe organizzare razionali allevamenti di aquile per ottenere le penne occorrenti.
Non lasciamoci tentare dal complimento di governanti o di elevate autorità che nulla o ben poco hanno a che fare con noi, per offrire il cappello d’alpino in segno di riconoscenza od ammirazione.
Ricordo con perenne disgusto le fotografie diffuse anche dalla nostra stampa una dozzina d’anni fa e raffiguranti il generale Eisenhower col cappello alpino in testa (forse con gradi addirittura) col quale venne incoronato in occasione di una visita (di controllo) ad esercitazioni militari delle nostre Brigate; sembra che in quella occasione il generale Eisenhower (nato da una famiglia di agricoltori di origine tedesca) abbia affermato che gli alpini sono i migliori soldati del mondo.
A parte che non giustifico la donazione del cappello anche per non includere il generale USA tra i migliori soldati del mondo, debbo dire che la ricorrente espressione di superlativo elogio non mi piace. Non bello essere né credersi i migliori del mondo; sarebbe una posizione troppo scomoda e dannosa se fosse vera.
Gli Alpini sono tra i migliori soldati d’Italia e il soldato italiano è tra i migliori del mondo; gli stessi Alpini si sono spesso trovati di fronte ad avversari degni di loro.
Per compensare l’adulazione di quel generale che faceva fare i facchini ai soldati italiani cobelligeranti, non è stato giusto sacrificare il nostro cappello il quale, amici scarponi di Bolzano, sta assai meno peggio sopra una lattina di ottimo olio da tavola.
MARIO ALTARUI
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