1963 Cartoline in franchigia
1963
CARTOLINE IN FRANCHIGIA
Fiamme Verdi Marzo 1963NOBILTA’ EROICA
Il suo è dunque un giornale che non teme di dire le cose, non come la stampa nazionale che ha ignorato che il 4 novembre alla presenza del Presidente della Repubblica, dell’On. Andreotti per il governo, il Sen. Cadorna per il Senato e l’On. Biasutti per la Camera dei Deputati, è stato inaugurato un monumento al Duca Amedeo d’Aosta all’aeroporto di Gorizia; nemmeno la televisione ne ha parlato e ciò è definibile almeno doloroso.
V. G. - TREVISO
Non possiamo interessarci di tutto ciò che può addolorare un soldato altrimenti dovremmo uscire con edizioni quotidiane del mattino e della sera. La Televisione italiana non ha però ignorato l’avvenimento perchè ne ha dato notizia con il telegiornale delle ore 18,30 dello stesso 4 novembre, anche se per quello delle 20,30 (il più seguito dagli utenti) aveva già... archiviato la «pratica». Certa stampa ha pure segnalato la cerimonia: peccato che si tratti di pubblicazioni «specializzate» che dedicano più spazio alle civetterie di principesse di Casa Savoia che al sacrificio di un Caduto di Casa d’Aosta.
Ci fa piacere la segnalazione del nostro lettore di Treviso anche perchè il monumento al Duca di Aosta venne disegnato dal conte Paolo Caccia Dominioni, il colonnello alpino ovunque noto per essere vissuto tanti anni nel deserto egiziano alla ricerca di caduti in guerra di ogni nazionalità e al quale si deve l’erezione del cimitero di quota 33 ad El Alamein.
Ritornando all’argomento: sa il nostro lettore trevigiano che la prima decorazione al valore è stata consegnata ad Amedeo d’Aosta dal padre, Emanuele Filiberto comandante l’Invitta 3° Armata, proprio nel prato della Villa Ninni a S. Ambrogio di Fiera di Treviso l’1 gennaio 1918, quando il futuro eroe dell’Amba Alagi aveva 19 anni ed era capitano del 35° Reggimento Artiglieria?
GENNARO SORA
Si è fatto un gran parlare dell’iniziativa di una maestra italiana per onorare l’impresa del dirigibile «Italia» al Polo Nord; non crede opportuno accennare, sia pure brevemente, all’opera prestata dagli Alpini di Gennaro Sora in quella occasione sfortunata ma ugualmente gloriosa?
A. F. - PIEVE S.
Per dire almeno il necessario su Gennaro Sora occorrerebbe disporre di tutto il giornale e sono convinto che un’edizione dedicata a questo alpino inimitabile sarebbe ancora il meno di quanto Egli merita.
Sora nacque a Foresto Sparso, in provincia di Bergamo, e cominciò la sua carriera d’alpino dalla «gavetta»; all’inizio della guerra «15-18» egli era già sottotenente alla 50° compagnia del Btg. «Edolo» e Cesare Battisti lo chiamava «Muscoletti» per la potenza delle forze e l’agilità del suo corpo piccolo ma tarchiato e robustissimo; gli amici lo chiamavano «el Pelàt» a causa della sua testa precocemente calva.
Con una promozione per merito, Sora finì la guerra col grado di capitano e tre medaglie d’argento oltre ad una manciata di altre decorazioni al valore, distinguendosi particolarmente nei ghiacciai dell’Ortles e del Cevedale.
Per l’impresa al Polo Nord del 1928 vennero scelti, col capitano Sora, altri otto alpini: i sergenti maggiori Sandrini e Gualdi. il caporale Bich e gli alpini Pedrotti, Casari, Guidoz, Deriard e Pelissier. Preparatissimi com’erano, batterono clamorosamente i norvegesi in una gara di sci a Ny Aalesund in attesa degli ultimi preparativi per la partenza del dirigibile «Italia» che si fracassò poi sulla banchisa lasciando a terra la navicella con mezza dozzina di uomini dell’equipaggio e trasportando poi in cielo altri sei componenti con l’involucro che riprese a navigare senza guida.
Dalle due baleniere che appoggiavano la spedizione, partirono varie pattuglie per recuperare gli esploratori perduti tra i ghiacci; gli alpini vennero adibiti a perlustrare le coste settentrionali delle Spitzbergen ma fu poi evidente che sarebbe stata necessaria una marcia sovrumana per raggiungere quelli della «tenda rossa».
Sora chiese al comandante (mica alpino eh!) di lasciarlo partire con quattro dei suoi uomini ed una radio; dopo tanta insistenza lo autorizzarono a partire con l’ingegnere danese Warming e il cagnaro olandese Van Dongen, con due slitte e una muta di cani polari; ma alpini niente.
L’ordine era di perlustrare le coste da Capo Nord a Capo Brunn ma non avendo trovato niente, Sora pensò di proseguire nel mare ghiacciato sebbene il danese Warming avesse dovuto ritirarsi perchè già sfinito.
Col solo Van Dongen, Sora affrontò la banchisa frantumata che di tanto in tanto li faceva cadere nel gelido mare; Sora e il suo compagno mangiarono crudi sei dei nove cani a disposizione (Sora s’era già abituato a bere il sangue fumante delle foche) inoltrandosi sempre più nel mare di ghiacci vaganti.
In quelle condizioni Sora volle anche fare un regalo a noi alpini: scoprì un’isola non segnata nelle carte topografiche e la intitolò agli Alpini d’Italia.
Sora percorse così in quattordici giorni oltre cento chilometri (tra Capo Brunn e l’isola Fogn) di terra e mare ghiacciati, senza contare che talvolta le correnti del mare annullavano il percorso fatto trasportando indietro i due uomini come una nave senza guida.
Sora e il suo altrettanto eroico compagno, stavano ormai per raggiungere i naufraghi della «tenda rossa» quando questa venne raggiunta da una nave rompighiaccio russa; Sora e Van Dongen vennero allora raccolti da un idrovolante svedese.
L’olandese Sief Van Dongen venne accolto nella sua Patria con i massimi onori; in Italia Gennaro Sora venne posto sotto inchiesta per disubbidienza, per aver cioè affrontato decisamente il mare Artico dopo aver eseguito l’ordine di limitarsi alla costa.
Sora se la cavò per un pelo per l’astuzia dell’Alpino Italo Balbo e dell’Ispettore delle truppe da montagna Gen. Ottavio Zoppi.
Gennaro Sora, il quale si era guadagnato un grado per merito del suo eroismo in guerra, ci rimise però una promozione a causa del suo generoso eroismo in tempo di pace. Appena poterono lo spedirono in Africa e la nuova guerra lo vide col grado di maggiore a capo di un battaglione di alpini alle dipendenze del Duca Amedeo d’Aosta.
Sora meritò la sua quarta medaglia d’argento ed altre di bronzo, fino a che nel 1942 venne catturato dalle truppe neozelandesi il cui generale volle stringergli la mano a riconoscimento della nuova prova di valore.
Mentre era prigioniero, Sera chiese di scalare una montagna del Kenia che nessuno aveva ancora raggiunta; venne autorizzato ed egli conquistò la cima. Gli inglesi gli offrirono la libertà in segno di ammirazione per la notevole impresa ma Sora chiese uguale trattamento per i suoi alpini; ne ebbe un rifiuto ed egli rimase con le sue «penne nere».
Dopo la guerra Gennaro Sora venne nominato tenente colonnello e pochi mesi dopo il congedo, nel giugno 1949, morì; l’anno successivo la Sezione A.N.A. di Brescia inaugurò un busto in bronzo di «Gennaro dalle Bande Verdi» al Passo del Tonale, mentre la Sezione di Bergamo ha organizzato in sua memoria una importante gara annuale di sci ormai giunta alla XIV edizione.
Come vede, lettore di Pieve, non è cosa breve parlare di Gennaro Sora.
Il suo è dunque un giornale che non teme di dire le cose, non come la stampa nazionale che ha ignorato che il 4 novembre alla presenza del Presidente della Repubblica, dell’On. Andreotti per il governo, il Sen. Cadorna per il Senato e l’On. Biasutti per la Camera dei Deputati, è stato inaugurato un monumento al Duca Amedeo d’Aosta all’aeroporto di Gorizia; nemmeno la televisione ne ha parlato e ciò è definibile almeno doloroso.
V. G. - TREVISO
Non possiamo interessarci di tutto ciò che può addolorare un soldato altrimenti dovremmo uscire con edizioni quotidiane del mattino e della sera. La Televisione italiana non ha però ignorato l’avvenimento perchè ne ha dato notizia con il telegiornale delle ore 18,30 dello stesso 4 novembre, anche se per quello delle 20,30 (il più seguito dagli utenti) aveva già... archiviato la «pratica». Certa stampa ha pure segnalato la cerimonia: peccato che si tratti di pubblicazioni «specializzate» che dedicano più spazio alle civetterie di principesse di Casa Savoia che al sacrificio di un Caduto di Casa d’Aosta.
Ci fa piacere la segnalazione del nostro lettore di Treviso anche perchè il monumento al Duca di Aosta venne disegnato dal conte Paolo Caccia Dominioni, il colonnello alpino ovunque noto per essere vissuto tanti anni nel deserto egiziano alla ricerca di caduti in guerra di ogni nazionalità e al quale si deve l’erezione del cimitero di quota 33 ad El Alamein.
Ritornando all’argomento: sa il nostro lettore trevigiano che la prima decorazione al valore è stata consegnata ad Amedeo d’Aosta dal padre, Emanuele Filiberto comandante l’Invitta 3° Armata, proprio nel prato della Villa Ninni a S. Ambrogio di Fiera di Treviso l’1 gennaio 1918, quando il futuro eroe dell’Amba Alagi aveva 19 anni ed era capitano del 35° Reggimento Artiglieria?
GENNARO SORA
Si è fatto un gran parlare dell’iniziativa di una maestra italiana per onorare l’impresa del dirigibile «Italia» al Polo Nord; non crede opportuno accennare, sia pure brevemente, all’opera prestata dagli Alpini di Gennaro Sora in quella occasione sfortunata ma ugualmente gloriosa?
A. F. - PIEVE S.
Per dire almeno il necessario su Gennaro Sora occorrerebbe disporre di tutto il giornale e sono convinto che un’edizione dedicata a questo alpino inimitabile sarebbe ancora il meno di quanto Egli merita.
Sora nacque a Foresto Sparso, in provincia di Bergamo, e cominciò la sua carriera d’alpino dalla «gavetta»; all’inizio della guerra «15-18» egli era già sottotenente alla 50° compagnia del Btg. «Edolo» e Cesare Battisti lo chiamava «Muscoletti» per la potenza delle forze e l’agilità del suo corpo piccolo ma tarchiato e robustissimo; gli amici lo chiamavano «el Pelàt» a causa della sua testa precocemente calva.
Con una promozione per merito, Sora finì la guerra col grado di capitano e tre medaglie d’argento oltre ad una manciata di altre decorazioni al valore, distinguendosi particolarmente nei ghiacciai dell’Ortles e del Cevedale.
Per l’impresa al Polo Nord del 1928 vennero scelti, col capitano Sora, altri otto alpini: i sergenti maggiori Sandrini e Gualdi. il caporale Bich e gli alpini Pedrotti, Casari, Guidoz, Deriard e Pelissier. Preparatissimi com’erano, batterono clamorosamente i norvegesi in una gara di sci a Ny Aalesund in attesa degli ultimi preparativi per la partenza del dirigibile «Italia» che si fracassò poi sulla banchisa lasciando a terra la navicella con mezza dozzina di uomini dell’equipaggio e trasportando poi in cielo altri sei componenti con l’involucro che riprese a navigare senza guida.
Dalle due baleniere che appoggiavano la spedizione, partirono varie pattuglie per recuperare gli esploratori perduti tra i ghiacci; gli alpini vennero adibiti a perlustrare le coste settentrionali delle Spitzbergen ma fu poi evidente che sarebbe stata necessaria una marcia sovrumana per raggiungere quelli della «tenda rossa».
Sora chiese al comandante (mica alpino eh!) di lasciarlo partire con quattro dei suoi uomini ed una radio; dopo tanta insistenza lo autorizzarono a partire con l’ingegnere danese Warming e il cagnaro olandese Van Dongen, con due slitte e una muta di cani polari; ma alpini niente.
L’ordine era di perlustrare le coste da Capo Nord a Capo Brunn ma non avendo trovato niente, Sora pensò di proseguire nel mare ghiacciato sebbene il danese Warming avesse dovuto ritirarsi perchè già sfinito.
Col solo Van Dongen, Sora affrontò la banchisa frantumata che di tanto in tanto li faceva cadere nel gelido mare; Sora e il suo compagno mangiarono crudi sei dei nove cani a disposizione (Sora s’era già abituato a bere il sangue fumante delle foche) inoltrandosi sempre più nel mare di ghiacci vaganti.
In quelle condizioni Sora volle anche fare un regalo a noi alpini: scoprì un’isola non segnata nelle carte topografiche e la intitolò agli Alpini d’Italia.
Sora percorse così in quattordici giorni oltre cento chilometri (tra Capo Brunn e l’isola Fogn) di terra e mare ghiacciati, senza contare che talvolta le correnti del mare annullavano il percorso fatto trasportando indietro i due uomini come una nave senza guida.
Sora e il suo altrettanto eroico compagno, stavano ormai per raggiungere i naufraghi della «tenda rossa» quando questa venne raggiunta da una nave rompighiaccio russa; Sora e Van Dongen vennero allora raccolti da un idrovolante svedese.
L’olandese Sief Van Dongen venne accolto nella sua Patria con i massimi onori; in Italia Gennaro Sora venne posto sotto inchiesta per disubbidienza, per aver cioè affrontato decisamente il mare Artico dopo aver eseguito l’ordine di limitarsi alla costa.
Sora se la cavò per un pelo per l’astuzia dell’Alpino Italo Balbo e dell’Ispettore delle truppe da montagna Gen. Ottavio Zoppi.
Gennaro Sora, il quale si era guadagnato un grado per merito del suo eroismo in guerra, ci rimise però una promozione a causa del suo generoso eroismo in tempo di pace. Appena poterono lo spedirono in Africa e la nuova guerra lo vide col grado di maggiore a capo di un battaglione di alpini alle dipendenze del Duca Amedeo d’Aosta.
Sora meritò la sua quarta medaglia d’argento ed altre di bronzo, fino a che nel 1942 venne catturato dalle truppe neozelandesi il cui generale volle stringergli la mano a riconoscimento della nuova prova di valore.
Mentre era prigioniero, Sera chiese di scalare una montagna del Kenia che nessuno aveva ancora raggiunta; venne autorizzato ed egli conquistò la cima. Gli inglesi gli offrirono la libertà in segno di ammirazione per la notevole impresa ma Sora chiese uguale trattamento per i suoi alpini; ne ebbe un rifiuto ed egli rimase con le sue «penne nere».
Dopo la guerra Gennaro Sora venne nominato tenente colonnello e pochi mesi dopo il congedo, nel giugno 1949, morì; l’anno successivo la Sezione A.N.A. di Brescia inaugurò un busto in bronzo di «Gennaro dalle Bande Verdi» al Passo del Tonale, mentre la Sezione di Bergamo ha organizzato in sua memoria una importante gara annuale di sci ormai giunta alla XIV edizione.
Come vede, lettore di Pieve, non è cosa breve parlare di Gennaro Sora.
ITALIANI IN RUSSIA
Tra le celebrazioni del ventennale dell’ultima battaglia valorosamente combattuta dagli alpini in Russia, non mi sembra sbagliato ricordare che 150 anni fa gli italiani si trovarono a combattere in Russia al seguito di Napoleone che allora comandava in Italia, e che raggiunsero Mosca dopo aver combattuto, agli ordini di Eugenio di Beauharnais (vicerè d’Italia) il 7 settembre 1812 nella battaglia di Borodinò.
Quando poi le truppe di Bonaparte abbandonarono la capitale russa, gli italiani combatterono
valorosamente il 24 ottobre a Malo Jaroslavez; quando poi l’esercito francese stava per essere sopraffatto al fiume Beresina gli Italiani furono gli ultimi a ritirarsi. In quella guerra i morti italiani sembra che siano stati più di ventimila.
R. C. - S. VITO TAGL.
Peccato che, anche allora, gli italiani abbiano dovuto combattere e morire per una maledetta guerra politica voluta da altri.
Tra le celebrazioni del ventennale dell’ultima battaglia valorosamente combattuta dagli alpini in Russia, non mi sembra sbagliato ricordare che 150 anni fa gli italiani si trovarono a combattere in Russia al seguito di Napoleone che allora comandava in Italia, e che raggiunsero Mosca dopo aver combattuto, agli ordini di Eugenio di Beauharnais (vicerè d’Italia) il 7 settembre 1812 nella battaglia di Borodinò.
Quando poi le truppe di Bonaparte abbandonarono la capitale russa, gli italiani combatterono
valorosamente il 24 ottobre a Malo Jaroslavez; quando poi l’esercito francese stava per essere sopraffatto al fiume Beresina gli Italiani furono gli ultimi a ritirarsi. In quella guerra i morti italiani sembra che siano stati più di ventimila.
R. C. - S. VITO TAGL.
Peccato che, anche allora, gli italiani abbiano dovuto combattere e morire per una maledetta guerra politica voluta da altri.