1963 Uno strano portaordini nell'ansa del Don
1963
Uno strano portaordini nell’ansa del Don
Fiamme Verdi Agosto 1963
Sono le ore diciassette del 10 gennaio 1943.
Le tenebre avvolgono già l’intero fronte... Il bagliore diffuso della neve permette soltanto di distinguere il profilo di qualche albero e quello dei girasoli che sembrano sentinelle vigilanti...
E’ uno di quei rari momenti di sospensione delle operazioni belliche foriero di nuove tempeste. Solo il rombo intermittente del cannone si propaga sinistro nella piana sterminata. Il sibilo della tormenta penetra furtivamente attraverso i pertugi dei bunker, disseminati qua e là come trappole tese...
La vita nel bunker è un’attesa di morte... Eppure in quel solido abitacolo ognuno si sente quasi protetto e vi opera con incredibile calma. Sono ufficiali intenti a preparare piani tattici di offesa o di difesa. I loro schizzi disegnati in base alle carte topografiche vengono accompagnati da gesti che hanno l’apparenza di un rito. I portaordini seguono il movimento delle loro mani, dei loro occhi e delle loro labbra cercando di indovinare il filo conduttore del loro pensiero. Vorrebbero dare un aiuto, un suggerimento al loro superiore, magari avanzare un progetto, almeno una parola. Ma si limitano a regolare il lume fioco della candela o della lampada a benzina, contemplando estatici nei segni cabalistici. Sono telefonisti e radiotelegrafisti insonnoliti. aggrappati ai loro mezzi di trasmissione, pronti a ricevere o inviare ordini in tutte le direzioni del vasto settore operativo.
Qualcuno, sdraiato sulla brandina o sul tavolato, si sprofonda per pochi istanti in un sonno pesante, sicuro che altri veglia per lui in caso di emergenza.
Anche nel bunker del capitano Luciano Bertolotti, comandante della 264° compagnia del «Val Cismon», c’è movimento febbrile quella sera. Egli sta tenendo rapporto ai suoi uomini aventi ancora un compito di comando, poiché le notizie del fronte non sono certo tranquillizzanti.
A un tratto Angelo Ziliotto, che è vicino all’imboccatura del bunker, crede di avvertire uno strano graffiore e picchiettio sulla porta e, meno distinto, una specie di lungo guaìto... Gli sfugge un grido involontario di apprensione.
Tutti si allarmano e si rivolgono in direzione dell’entrata del bunker.
Ogni suono, ogni brusìo aguzzano il sospetto in quell’attesa sottile... Un guaìto o un ululato?... Tale è l’interrogativo che sembra guizzare nelle pupille di ognuno degli astanti.
La presenza dei lupi è frequente in questa landa. Spinti dalla fame, essi fanno improvvise incursioni nei villaggi, nelle isbe e là dove fiutano la presenza di cibarie e di animali.
Ziliotto spia attentamente attraverso le fessure della porticina... La taschetta che vede pendere sul petto e un collare dissipano in lui ogni ombra di dubbio. E’ un grosso cane pastore tedesco...
Ziliotto apre la porta e il cane scivola dentro il bunker accovacciandosi ai suoi piedi. Il mantello della povera bestia è ridotto a una lastra di ghiaccio. I suoi peli sono altrettanti ghiaccioli. Il suo ansimare fa capire lo sforzo subito. Docile, si lascia sfilare il collare in cui è custodito un messaggio. Ziliotto lo porge al suo comandante.
Questi scorre nervosamente l’occhio sul misterioso foglietto e rivela ai presenti che l’ordine proviene dal Comando di reggimento, situato a ben 30 chilometri dal loro Comando! Poi si accinge a buttar giù una risposta. Intanto Ziliotto e i suoi compagni pensano a riscaldare vicino a un fornello rudimentale e a rifocillare l’eroico animale che cerca di esprimersi roteando lentamente i suoi occhi quasi umani.
La sua taschetta viene riempita di carne, zucchero e cioccolato.
Alle ore diciotto il cane è già pronto per il ritorno... Lo si vede poco dopo uscire dal bunker scodinzolando e strisciare lungo il camminamento, inseguito da un mulinello rabbioso di nevischio.
ROMANO COCO. (da «Un Alpino della Julia»
Ed. Fabbri)