1965 Anagrafe maggio giugno
1965
ANAGRAFE
Fiamme Verdi Giugno 1965
IL FATIDICO SI
* Renato De Iseppi socio dal Gruppo di Falzè di Piave, ha sposato il 24 aprile la signorina Graziella Breda.
* Il socio Fregolent Secondo — pure del Gruppo di Falzè — ha sposato … (il nome non lo sappiamo ma ci viene comunicato che la sposa è la prima figlia di Mario Filippi socio del vicino Gruppo di Sernaglia della Battaglia: più garantiti di così!).
* Il socio Fregolent Secondo — pure del Gruppo di Falzè — ha sposato … (il nome non lo sappiamo ma ci viene comunicato che la sposa è la prima figlia di Mario Filippi socio del vicino Gruppo di Sernaglia della Battaglia: più garantiti di così!).
IL PRIMO STRILLO
* Grazie alla consorte signora Gilma, il socio del Gruppo Città Vittorio Dal Bo è diventato papà dello scarponcino Antonio nato a Conegliano il 4 aprile.
* Il 13 maggio è nata Virna, «stella alpina» del socio del Gruppo Città Rag. Walter Cadorin e della consorte signora Silvana Zaccaron.
* Il socio del Gruppo di San Vendemiano Angelo Rosolen ha avuto in dono dalla consorte signora Cesira una bambina (che ci dicono bella ma della quale non ci segnalano il nome).
* Il socio Luigi Zanco del Gruppo di Falzè e la consorte signora Prisca hanno festeggiato la nascita del primogenito, lo scarponcino Roberto.
* Ciò a seguito dell’esempio del capogruppo di Falzè — Pietro Breda — che in collaborazione con la consorte signora Giustina ha festeggiato la nascita della terzogenita Fiorella.
* Il 13 maggio è nata Virna, «stella alpina» del socio del Gruppo Città Rag. Walter Cadorin e della consorte signora Silvana Zaccaron.
* Il socio del Gruppo di San Vendemiano Angelo Rosolen ha avuto in dono dalla consorte signora Cesira una bambina (che ci dicono bella ma della quale non ci segnalano il nome).
* Il socio Luigi Zanco del Gruppo di Falzè e la consorte signora Prisca hanno festeggiato la nascita del primogenito, lo scarponcino Roberto.
* Ciò a seguito dell’esempio del capogruppo di Falzè — Pietro Breda — che in collaborazione con la consorte signora Giustina ha festeggiato la nascita della terzogenita Fiorella.
ABBIAMO PERDUTO IL CARDINALE
Appena pochi mesi or sono avevamo gioito per la nomina a Cardinale di Padre Giulio Bevilacqua ed ora già ne piangiamo la morte.
Riparlare di Lui sarebbe necessario anche per completare le poche note che abbiamo pubblicato in occasione della Sua elezione alla Porpora, ma ne ha parlato a Trieste, con non nascosta ammirazione, il Ministro della Difesa On. Andreotti, e « la ecia» Bonaldi ha scritto nell’ultimo numero de L’Alpino un articolo bellissimo che tutti dobbiamo tornare a rileggere.
Qui vogliamo solo accennare a quanto Bevilacqua sia rimasto Alpino fino alla fine, con serenità, umiltà e povertà esemplari.
Prima della cerimonia dell’imposizione del galero cardinalizio, Padre Bevilacqua venne consacrato vescovo non essendo prima stato nemmeno monsignore, ma non aveva i soldi per acquistare la veste episcopale e indossò quella che aveva lasciato il defunto vescovo di Brescia; tantomeno aveva i soldi per acquistare gli abiti da cardinale ed accettò quelli che aveva a suo tempo indossato l’attuale Papa dei quale portava addirittura le scarpe tagliate
da un calzolaio per adattarle ai suoi piedi.
Durante la consacrazione episcopale furono due alpini a porgergli la rituale offerta, per il divino Sacrificio, del pane e di un piccolo orciuolo di vino: al ricevere quest’ultimo Padre Bevilacqua lo scosse con le mani meravigliandosi che fosse pieno e, dopo il rito, ammise di aver temuto che gli alpini si fossero fregati il vino.
Gli alpini andarono a trovarlo anche nei giorni che precedettero la Sua morte; ad un nostro generale raccomandò che gli Alpini, dopo l’estrema visita che gli avrebbero reso ai funerali, andassero a bere un bicchiere per scacciare la tristezza e per conservargli un buon ricordo.
— Al mio funerale non voglio picchetti — egli disse — perchè non occorre disturbare i soldati, molte ore prima, per venirmi ad accompagnare. E poi il lutto non si addice ai soldati.
Volle una misera cassa e il carro dei poveri ma c’era intorno une immensa folla commossa.
Sulla bara era stato posto l’ampio mantello rosso cardinalizio con l’ermellino e la mitra bianca; un alpino uscì dalla folla e vi posò sopra il cappello d’alpino trasgredendo al cerimoniale riservato ad un Principe della Chiesa ma recando una grande ultima gioia al «vecio» che ci stava sotto.
Non era prevista nemmeno la scorta delle Penne Nere ai fianchi del feretro, ma gli Alpini ci andarono io stesso, con spontaneità: perchè senza Penne Nere al fianco e senza il cappello della nostra naja sulla bara un Alpino sarebbe veramente morto del tutto.
Riparlare di Lui sarebbe necessario anche per completare le poche note che abbiamo pubblicato in occasione della Sua elezione alla Porpora, ma ne ha parlato a Trieste, con non nascosta ammirazione, il Ministro della Difesa On. Andreotti, e « la ecia» Bonaldi ha scritto nell’ultimo numero de L’Alpino un articolo bellissimo che tutti dobbiamo tornare a rileggere.
Qui vogliamo solo accennare a quanto Bevilacqua sia rimasto Alpino fino alla fine, con serenità, umiltà e povertà esemplari.
Prima della cerimonia dell’imposizione del galero cardinalizio, Padre Bevilacqua venne consacrato vescovo non essendo prima stato nemmeno monsignore, ma non aveva i soldi per acquistare la veste episcopale e indossò quella che aveva lasciato il defunto vescovo di Brescia; tantomeno aveva i soldi per acquistare gli abiti da cardinale ed accettò quelli che aveva a suo tempo indossato l’attuale Papa dei quale portava addirittura le scarpe tagliate
da un calzolaio per adattarle ai suoi piedi.
Durante la consacrazione episcopale furono due alpini a porgergli la rituale offerta, per il divino Sacrificio, del pane e di un piccolo orciuolo di vino: al ricevere quest’ultimo Padre Bevilacqua lo scosse con le mani meravigliandosi che fosse pieno e, dopo il rito, ammise di aver temuto che gli alpini si fossero fregati il vino.
Gli alpini andarono a trovarlo anche nei giorni che precedettero la Sua morte; ad un nostro generale raccomandò che gli Alpini, dopo l’estrema visita che gli avrebbero reso ai funerali, andassero a bere un bicchiere per scacciare la tristezza e per conservargli un buon ricordo.
— Al mio funerale non voglio picchetti — egli disse — perchè non occorre disturbare i soldati, molte ore prima, per venirmi ad accompagnare. E poi il lutto non si addice ai soldati.
Volle una misera cassa e il carro dei poveri ma c’era intorno une immensa folla commossa.
Sulla bara era stato posto l’ampio mantello rosso cardinalizio con l’ermellino e la mitra bianca; un alpino uscì dalla folla e vi posò sopra il cappello d’alpino trasgredendo al cerimoniale riservato ad un Principe della Chiesa ma recando una grande ultima gioia al «vecio» che ci stava sotto.
Non era prevista nemmeno la scorta delle Penne Nere ai fianchi del feretro, ma gli Alpini ci andarono io stesso, con spontaneità: perchè senza Penne Nere al fianco e senza il cappello della nostra naja sulla bara un Alpino sarebbe veramente morto del tutto.
LE SCARPE AL SOLE
• Il 10 aprile, con una rappresentanza sezionale si sono svolti i funerali della Signora Gobbo Ida in Moret, moglie del nostro socio Luigi Moret e mamma dell’ Artigliere Alpino Antonio Moret caduto in Russia.
• Il segretario del Gruppo di Falzè — Mori Mario — ha avuto la sventura di perdere il 22 aprile il proprio genitore Antonio Gaetano; alle esequie sono intervenuti numerosi alpini e varie rappresentanze di associazioni combattentistiche e d’arma.
• La Sezione ha perduto un’altra Penna Bianca: il nob. enot. Giulio Del Giudice deceduto a Udine il 14 maggio.
Nato a Conegliano il 3 ottobre 1897, Dei Giudice partecipò alla guerra 1915-18 quale ufficiale del btg. «Val Piave» del 7° Alpini (267° compagnia) e, a seguito dell’arretramento del fronte del novembre 1917, venne fatto prigioniero sul Cansiglio. Riuscì però a fuggire poco dopo, tentando invano di superare la linea del fuoco sul Piave e rimase nascosto nelle colline coneglianesi - rischiosamente favorito dalla popolazione - fino alla sopravvenuta avanzata italiana del successivo anno.
A seguito dei vari richiami l’Enot. Giulio Del Giudice — nobile figura di combattente e di cittadino — raggiunse il grado di Maggiore degli Alpini, ed era essai noto anche per la sua feconda e lunga attività di amministratore di aziende agricole e di organizzazioni cooperative in campo agrario.
Ai funerali, svoltisi nel Duomo di Conegliano dove il nostro Mons. Sartor ha celebrato il rito di suffragio, erano presenti il vessillo sezionale, i membri del consiglio direttivo e numerosi soci oltre a molte rappresentanze di altre associazioni ed enti.
In piazzale S. Martino il Presidente Comm. Curto si è reso interprete del cordoglio degli alpini della sezione, citando le benemerenze e l’esempio di operosità lasciato da Giulio Del Giudice e che gli assicurano il ricordo per lunghi anni avvenire.
• Il segretario del Gruppo di Falzè — Mori Mario — ha avuto la sventura di perdere il 22 aprile il proprio genitore Antonio Gaetano; alle esequie sono intervenuti numerosi alpini e varie rappresentanze di associazioni combattentistiche e d’arma.
• La Sezione ha perduto un’altra Penna Bianca: il nob. enot. Giulio Del Giudice deceduto a Udine il 14 maggio.
Nato a Conegliano il 3 ottobre 1897, Dei Giudice partecipò alla guerra 1915-18 quale ufficiale del btg. «Val Piave» del 7° Alpini (267° compagnia) e, a seguito dell’arretramento del fronte del novembre 1917, venne fatto prigioniero sul Cansiglio. Riuscì però a fuggire poco dopo, tentando invano di superare la linea del fuoco sul Piave e rimase nascosto nelle colline coneglianesi - rischiosamente favorito dalla popolazione - fino alla sopravvenuta avanzata italiana del successivo anno.
A seguito dei vari richiami l’Enot. Giulio Del Giudice — nobile figura di combattente e di cittadino — raggiunse il grado di Maggiore degli Alpini, ed era essai noto anche per la sua feconda e lunga attività di amministratore di aziende agricole e di organizzazioni cooperative in campo agrario.
Ai funerali, svoltisi nel Duomo di Conegliano dove il nostro Mons. Sartor ha celebrato il rito di suffragio, erano presenti il vessillo sezionale, i membri del consiglio direttivo e numerosi soci oltre a molte rappresentanze di altre associazioni ed enti.
In piazzale S. Martino il Presidente Comm. Curto si è reso interprete del cordoglio degli alpini della sezione, citando le benemerenze e l’esempio di operosità lasciato da Giulio Del Giudice e che gli assicurano il ricordo per lunghi anni avvenire.