1965 Natale con gli alpinini del Don
1965
Natale con gli Alpini nel Don
Fiamme Verdi Dicembre 1965
Le sigarette del Capitano Fannucchi
Mancano pochi minuti alla mezzanotte di Natale. Son qui al caldo, vicino alla stufa, e tocco con mano l’albero e il presepe costruito dai miei piccini. Ci sono le candeline, le statuette, i pastori, le pecore vagolanti nel muschio verde e, in alto, la stella dalla lunga coda sfavillante. Il Bambino giace nella paglia, sotto la grotta fatta con pezzi di legno e corteccia rugosa. La Madonna e S. Giuseppe sono chini su Lui, in muta contemplazione estatica. Il bue e l’asinello ruminano assorti, benché un angelo vestito di rosa stia sonando celesti canzoni sulla grotta di Betlem.
Tra poco esploderà lo squillo giulivo delle campane ad annunziare, ancora una volta, che Gesù è nato per noi, e sentirò, viva nel cuore, l’eco dell’infinita letizia che si diffonderà nel mondo, al rinnovarsi del grande prodigio: il Natale. Gran ventura è questa di poterlo vivere in famiglia, nella dolce intimità della casa, accanto ai bimbi che stanno sognando nei lettini morbidi e bianchi! Il pensiero corre così ad altri Natali, spogli di questa gioia profonda e cara, e affiora dai ricordi lontani, un pacchetto di sigarette nazionali.
Natale del 1942. Gli Alpini del 5° erano schierati sulle bianche scarpate del Don. La 52° dell’Edolo, arroccata in due capisaldi, dominava il fiume grande lastricato di ghiaccio, tutto candido e liscio. Solo dei cumuli qua e là, rompevano l’uniforme levigatezza del fiume gelato:
nascondevano ruderi di carri armati colpiti dall’artiglieria, lasciati li a morire, anch’essi ammantati di bianco.
La nostra casa erano le trincee affondate nella neve dura come cristallo ed avevamo il passamontagna incollato al viso da una patina di ghiaccio. Vicino a noi le canne dei mitragliatori sporgenti dalle feritoie, il luccichio sinistro di quelle bocche orlate di gelo. Di tanto in tanto mordevano l’aria diaccia con rabbia di scariche fitte, tagliavano la notte con sciabolate luminose di pallottole traccianti.
Di là dal fiume c’erano i Russi annidati in mezzo alle armi, pronti come noi a dar morte o a morire, anch’essi protesi a spiare il buio infinito da brevi pertugi inguainati di neve. Bisognava tenere gli occhi puntati verso l’opposta sponda, irta d’insidie, per sorprendere ombre nemiche fra i reticolati e le mine. Ma la tenebra si popolava di volti di mamma, di luci, di chiesa, di i o- colare, di bianche tovaglie imbandite. Dal fondo dei ricordi, sembravano scaturire lontani rintocchi di campane. E, il fulgido sogno durava fin quando una bomba di mortaio, spaccava l’incanto e ti scagliava, di nuovo, nell’orrore di una notte di guerra a temperatura polare.
Anche allora nasceva Gesù, per portare nel mondo i suoi doni: ma nessun segno annunciava che fosse Natale anche per noi. Passò così la notte santa, senza però che i Russi attaccassero, senza che niente arginasse l’onda dei ricordi che disperatamente premeva sul cuore.
Ma, quando il livido chiarore dell’alba si aprì su quel sepolcrale mondo di gelo, in tutte le postazioni e i buncher sotterranei, comparve il capitano Fannucchi: l’«arcangelo» che non sapeva cosa fosse paura, che perlustrava il terreno scoperto, come se passeggiasse tra aiuole fonte, che maneggiava le mine come giocattoli e a noi faceva rizzare i capelli sul capo.
Lo accompagnavano due attendenti caricati di grossissimi zaini; e a tutti gli alpini suoi diede, con una stretta di mano, un piccolo dono. A me toccò un pacchetto di sigarette nazionali. Vorrei averlo qui quel pacchetto, dinanzi a me, messo in cornice come una sacra reliquia: ed incentrarvi il cuore per gustare ancor più la poesia di questo Natale, l’ineffabile commozione di questo istante in cui Gesù sta per rinascere nel mondo.
Domani, fattosi giorno, sarà festa grande in casa e i miei piccini intorno al Presepio faranno giochi e strepito giocando. Ma io rivedrò i camminamenti ghiacciati del Don e barbe ispide di alpini e squarci di bombe. Capitan Fannucchi è rimasto nel gelo della trincee sbriciolate dalle katiusce: perchè quando niente più pareva salvarsi nell’uragano di fuoco, che forò palmo a palmo i ghiacci del Don, volle dare, agli alpini suoi, l’insegnamento supremo: come si dovesse impavidamente morire. Domani, Egli, in bianca divisa chiazzata di sangue, ritornerà ancora una volta a portarmi il suo dono: la sua vita, offerta un poco anche perchè io potessi tornare a godere di questo nuovo Natale.
VITTORIO BOZZINI