1966 Commemorazione di Battiti Filzi e Chiesa
1966
A Trento il 17 Luglio 1966
L’Alpino Erizzo - vero spirituale esecutore testamentario di Battisti ha commemorato il sacrificio dei Martiri trentini
L’Alpino Erizzo - vero spirituale esecutore testamentario di Battisti ha commemorato il sacrificio dei Martiri trentini
Fiamme Verdi Agosto 2006
Circa ventimila Penne Nere sono affluite a Trento per la commemorazione del sacrificio di Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa.
Oltre milleduecento erano i partecipanti della nostra Sezione (quasi tre quarti della «forza» giunti compatti a Trento con una lunga serie di autocorriere e guidati dai consiglieri sezionali e dai capigruppo.
Imponente è pure stata la partecipazione delle sezioni all’estero e di tutte le regioni italiane.
Purtroppo è intervenuta una troppo consistente rappresentanza di... Giove Pluvio; la pioggia ha disturbato ma non impedito l’effettuazione di questo commosso appuntamento con la Fossa dei Martiri.
Non mi è possibile presentare una cronaca del grande raduno perchè proprio alla vigilia ho avuto un incidente di montagna che mi ha mezzo sfasciato una zampa; io stesso ho dovuto leggermi i quotidiani per sapere qualcosa, e finalmente L’Alpino per saperne a sufficienza.
Niente cronache quindi. Solo un grazie - sincero ed affettuoso anche a nome mio (qua la mano al «brontolon») - alla magnifica Sezione di Trento che ha saputo organizzare egregiamente questa adunata che rimarrà senza dubbio indimenticabile per quanti vi parteciparono.
Uno «strappo» alla regola di non incorrere in ripetizioni con il giornale nazionale L’Alpino, stavolta la faccio: riportando il testo dell’orazione ufficiale tenuta dall’Avv. Erizzo e che è bene rileggere.
M.A.
Il discorso di Erizzo
Alpini,
la vostra numerosa presenza qui, nonostante l’avversità del tempo, garantisce e dimostra la sincerità dei sentimenti che oggi vi hanno portato a Trento. Vi sono tra voi gli anziani che si possono idealmente considerare compagni d’arme di Cesare Battisti, vi sono i giovani che dimostrano di avere raccolto, imparato e serbato nel cuore l’insegnamento che ci è venuto dai tre grandi Martiri trentini: Cesare Battisti, Fabio Filzi, Damiano Chiesa, che oggi qui ricordiamo e onoriamo.
Ma oltre che a loro dobbiamo rivolgere un pensiero pieno di gratitudine ai mille Volontari Trentini, ai mille Volontari Triestini, a tutti gli irredenti che nel momento del bisogno sono accorsi a dare le loro braccia, ad offrire la vita per la libertà di queste terre. Dobbiamo ricordarli anche perchè quella loro spontanea offerta, in quei giorni lontani e tremendi, attesta la verità dell’insegnamento che era venuto dai tre che sono gli ideali condottieri di quella grande legione.
Damiano Chiesa - Fu chiamato il Protomartire Trentino perchè era ili più giovane e perchè su di lui, per primo, si è abbattuta la vendetta dell’Austria. Pareva che inconsciamente presago della brevità della sua vita, fosse animato da una particolare fretta, quasi temesse di non fare a tempo a dare, a fare abbastanza per l’Italia.
Fretta di indossare la divisa dell’esercito italiano; fretta di andare al fronte, e per arrivarvi prima assunse per pochi giorni le umili funzioni di attendente di un ufficiale che, diretto alla prima linea, lo portò con sé.
Questa sua fretta si tramutò in una meravigliosa calma davanti al plotone di esecuzione. Nel tragico silenzio della Fossa del Castello risuonò, forse involontariamente, la voce di un ufficiale austriaco: «Quel ragazzo sembra molto calmo». Era infatti molto calmo. Aveva dato tutto quel che poteva, non gli restava più che dare la vita. Aveva una calma sublime in quell’ora suprema.
Fabio Filzi - La confluenza del sangue materno istriano e del sangue paterno trentino aveva forgiato quella meravigliosa famiglia che D’Annunzio chiamò: famiglia di leoni. Dei tre fratelli, uno soffrì per l’Italia il carcere austriaco, un altro accorse a combattere per l’Italia e da combattente italiano cadde sul campo, e Fabio, che idealmente appare figlio primogenito di Cesare Battisti. Fu ritenuto indegno di vestire la divisa dell’esercito austriaco: questa sua indegnità gli accordò l’onore di vestire nobilmente la divisa dell’esercito italiano. Ed ebbe la ventura di essere vicino al suo grande maestro nel pericolo del fronte, nel momento triste della cattura, nell’ora dei vituperi, degli sputi, delle ignominie quando entrambi, incatenati come due delinquenti venivano portati a Trento, alla morte.
E certamente quando il capestro del boia liberò dalla spoglia mortale di Fabio Filzi la sua grande ma generosa, era ad accoglierla in un mondo migliore la grande anima generosa di Battisti, che da pochi attimi l’aveva preceduto nell’aldilà.
E Cesare Battisti: il più grande, il più luminoso di tutti questi Eroi, di tutti questi Martiri.
In lui l’irredentismo non era un semplice slancio romantico; non era neppure soltanto l’anelito di libertà di un’anima nobile: era una convinzione profonda, nata dalla ricerca e dallo studio. Come colui che per attestare la nobiltà della sua famiglia, della sua stirpe, ne ricerca le origini e ne studia le vicende, così per tutta la sua vita Battisti ha cercato nella storia, nella lingua. nelle tradizioni del Trentino, le prove della necessaria italianità di questa terra, e, non pago di ciò, cercò tali tracce, tali prove, anche nella ossatura delle rocce, nella limpida corrente dei torrenti e dei fiumi di questa terra che amava.
Così dall’amore per questa sua terra nacque in lui quell’amore per l’Italia che egli testimoniò con la sua morte.
Ma nella vita di Battisti vi è un episodio che a mio avviso appare anche più grande e più nobile che non lo stesso sacrificio della vita.
Egli per tutta la vita aveva lottato per la libertà del Trentino; l’aveva difesa al Parlamento austriaco, nei suoi scritti, nei suoi discorsi, sempre. Ma egli sapeva che la libertà della sua terra avrebbe dovuto essere pagata col prezzo sanguinoso di una guerra. L’imperatore d’Austria aveva detto: «Io, il mio impero, la mia casa dovremo perire, prima che un lembo del Trentino sia abbandonato». Forse vi era una inconscia profezia in questa frase che Battisti ricordò quando, in un discorso del 1914, disse: «Sperare che l’Austria graziosamente ceda Trento e Trieste, od anche soltanto il Trentino, sarebbe come sperare che il lupo diventi protettore dell’agnello ».
Ma quando venne il momento supremo, quando già era scoppiata a Sarajevo la scintilla che doveva incendiare il mondo e l’urto fra la Serbia e l’Austria stava dilagando in un conflitto mondiale, Cesare Battisti ebbe un attimo di esitazione: non di paura! L’uomo che ha saputo guardare serenamente la forca che lo attendeva, non poteva esitare od avere paura per sé, ma la ebbe per la Patria. Quando nell’agosto del 1914 egli varca il confine, ha con sé un messaggio diretto al Re d’Italia che reca la firma sua, di Larcher e di Pedrotti. In esso ancora si esprime l’anelito per la libertà del Trentino, ma esso conclude dicendo: «Troppo noi amiamo la Madre comune per chiedere ad essa sacrifici compromettenti il suo avvenire». Ed in una lettera pubblicata in quei giorni, Battisti riafferma: «Se l’Italia non potrà occuparsi di noi irredenti, sia: piuttosto che arrecarle rovina noi soffriremo ancora il servaggio ».
Badate bene: per tutta la sua vita egli si era battuto per la libertà di questa terra, ma nel momento in cui l’esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, stava per affrontare uno dei più potenti eserciti del mondo, egli ha un attimo di esitazione per la Patria ed è disposto a rinunciare anche al suo ideale purché non ne venga male all’Italia.
Queste parole dovrebbero giungere come un monito rovente - o come uno schiaffo al viso - a certi politicastri che per il loro interesse non esiterebbero a mandare in malora l’Italia.