1966 Onoriamo Nazario Sauro - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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1966 Onoriamo Nazario Sauro

1966
ONORIAMO Nazario Sauro
Fiamme Verdi Agosto 1966

NAZARIO SAURO fotografato nel carcere di Pola, alla vigilia della morte.
Nel corso di una solenne cerimonia svoltasi nel cinquantenario della morte dell’Eroe istriano,  è stato inaugurato a Trieste un monumento eseguito dallo scultore Alberti.

Nato a Capodistria il 20 settembre 1880, Nazario Sauro manifestò la propria italianità fin da fanciullo.
Aveva dieci anni quando baruffò con un gruppo di contadine slave che portavano il latte ai loro clienti e che esigevano un «evviva» contrastante col suo innato patriottismo; i recipienti di latte rotolarono sulla strada e il piccolo Sauro finì davanti al giudice difendendosi tanto efficacemente da farsi assolvere.
Quattordici giorni di prigione se li dovette fare in seguito per aver dato del «porco» al governo austriaco.
Comandante del «San Giusto», un piccolo piroscafo che faceva servizio nel golfo di Trieste, Sauro avvertiva le nostre autorità - durante la guerra italo-turca -durante la guerra italo-turca — ogni qual volta le navi austriache portavano armi e munizioni ai turchi in Albania.
Quando, nel 1914, l’Austria e la Germania proclamarono la guerra alla Francia, all’Inghilterra, al Belgio e alla Serbia, Nazario Sauro comprese subito che era giunta l’ora anche per ottenere l’affermazione dell’italianità della sua terra. Col pretesto di accompagnare il figlio Nino in collegio a Venezia, lasciò Capodistria svolgendo opera irredentista fino a che giunse il maggio del 1915.
Col grado di tenente di vascello della nostra Marina, Sauro partecipò - in quattordici mesi - a oltre sessanta azioni di guerra, meritandosi una medaglia d’argento al valore militare: partecipò alla posa notturna di banchi di mine, condusse a Venezia il piroscafo «Timavo» rimasto bloccato alla foce dell’Isonzo, penetrò nel porto di Trieste con la torpediniera 24 OS che silurò una nave carica di munizioni, effettuò un’altra incursione nel golfo del Quarnaro col sommergibile «Atropo» e silurò il cacciatorpediniere «Magnet».
Rimase famosa l’impresa di Parenzo compiuta a bordo del caccia «Zeffiro» per accertare l’esatta ubicazione di una serie di  rimesse per idrovolanti che l’esplorazione aerea non era riuscita a scoprire. Entrato di sorpresa nel porto, Sauro si fece addirittura aiutare da tre marinai austriaci per ormeggiare; sceso a terra con alcuni dei nostri marinai, Sauro si azzuffò con gli austriaci portandone uno prigioniero a bordo e ottenendo in tal modo le informazioni che cercava.
Giunse il 30 luglio 1916 e Nazario Sauro partì da Venezia col sommergibile «Pullino»; non gli piaceva navigare e nemmeno combattere coi sommergibili, ma obbedì ugualmente accettando la missione di impedire l’uscita da Fiume di alcuni piroscafi che dovevano recarsi a Cattaro con un carico di munizioni.
Poco dopo la mezzanotte di quello stesso 30 luglio, il sommergibile andò ad incagliarsi tra l’isola di Galiola e quella di Unie, nel golfo del Quarnaro.
La sorte di Sauro era ormai segnata.
Nel primo anno di guerra aveva sempre portato con sé un potente veleno, ma quando seppe dell’eroica fine di Cesare Battisti rinunciò al proposito di uccidersi se fosse caduto nelle mani del nemico. «Cesare Battisti ha ragione - disse ad un amico - l’ultima volta che si serve la patria bisogna darle il massimo tributo; il suicidio sarebbe un atto di liberazione e però d’egoismo. E’ necessario aver la forza di soffrire, di resistere; così l’Austria accrescerà l’onta con un altro vergognoso assassinio!».
A Pola, sebbene riconosciuto dal capitano austriaco Bebellic nativo da Capodistria, da diciassette abitanti di Trieste e della sua città, dal cognato Antonio Staffé il quale vilmente indicò ai giudici persino una cicatrice che il prigioniero aveva all’occhio sinistro, Nazario Sauro tentò di nascondere la propria identità e l’eroica sua madre e
sorella lo assecondarono negando di conoscerlo.
Intanto venne convocato telegraficamente il boia Lang, l’esecutore di Battisti e di Filzi, preparata la forca e anche la fossa fuori della cinta del cimitero; il processo rappresentava ormai una formalità che si svolse infatti il 10 agosto.
La condanna venne eseguita due ore dopo la lettura della sentenza di condanna a morte per impiccagione.
Nazario Sauro si avviò ai patibolo fischiettando tranquillamente. Appena fu nel quadrato delle truppe, dinanzi ai giudici e alle autorità cominciò a gridare: «Viva l’Italia! Morte all’Austria! Morte a Francesco Giuseppe! Morte all’imperatore degli impiccati! Abbasso il carnefice»; e infine, ancora, «Viva l’Italia!».
I carcerieri tentarono di farlo tacere a forza di pugni alla nuca: non smetteva; uno gli mise una mano in bocca e Sauro diede un morso feroce. Infine dimostrò la propria calma ascoltando serenamente la sentenza e accingendosi a morire. Volevano levargli il berretto di tenente di vascello della Marina da guerra italiana, ma si oppose dicendo che è un onore portarlo, per cui il boia dovette allargare il cappio in modo che vi passasse anche il berretto.
Un ultimo evviva all’Italia gli rimase strozzato in gola.
Il giorno della dichiarazione di guerra, già presago del proprio destino, Nazario Sauro aveva consegnato all’amico Silvio Stringari le seguenti due lettere scritte in data 20 maggio 1915.
La prima, indirizzata alla moglie:
Cara Nina, non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque figli ancora col latte sulle labbra; e so quanto dovrai lottare e patire per portarli e lasciarli sulla buona strada, che li farà proseguire su quella del loro padre: ma non mi resta a dir altro che io muoio contento d’aver fatto soltanto il mio dovere d’italiano. Siate pur felici, che la mia felicità è soltanto quella che gli italiani hanno saputo e voluto fare il loro dovere. Cara consorte, insegna ai nostri figli che il loro padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo.
La seconda era per il figlio primogenito.
Caro Nino, tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d’italiano. Diedi a te, a Libero, ad Anita, ad Italo, ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l’ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa Patria giura, o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli, quando avranno l’età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque, e prima di tutto italiani. I miei baci e la mia benedizione. Papà. Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me; amate vostra madre! E porta il mio saluto a mio padre.
La salma del Martire istriano decorato di Medaglia d’Oro al valore militare, venne esumata il 10 gennaio 1919 e, il 26 maggio, collocata in un sacrario a Pola; alla madre (che poi morì il 6 dicembre dello stesso anno) furono consegnate le stellette d’argento che l’eroe aveva durante l’esecuzione.
Ma il destino non lasciò Sauro alla sua terra, né la sua terra all’Italia; nel marzo del 1947 i profughi istriani traslarono a Venezia la salma di Nazario Sauro che ora riposa nel tempio votivo del Lido, dedicato a tutti i caduti della guerra 1915-18.
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