1967 Altri quattro caduti sul fronte austriaco - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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1967 Altri quattro caduti sul fronte austriaco

1967
ALTRI QUATTRO CADUTI SUL FRONTE AUSTRIACO
Fiamme Verdi Agosto 1966

La guerra unilateralmente combattuta anche se non ufficialmente dichiarata - che va sempre più estendendosi nel territorio italiano in prossimità del confine con l’Austria - è costata altri quattro morti.
Il grave fatto del 25 giugno è ormai noto ai lettori in ogni particolare: le mortali trappole di esplosivo, predisposte dai terroristi con crudele determinazione a Forcella di Cima Vallona, hanno dilaniato l’alpino Armando Piva e poche ore dopo, il capitano dei carabinieri Francesco Gentile (sposato e padre di tre figli), il sottotenente dei paracadutisti Mario Di Lecce (divenuto padre da due settimane) e il sergente paracadutista Olivo Dordi; un altro paracadutista, il sergente maggiore Marcello Fagnani, è rimasto seriamente ferito.
Il tuono delle esplosioni ha avuto come eco i soliti telegrammi di cordoglio, le ricorrenti (e più o meno timide) proteste contro l’Austria chiaramente complice e corresponsabile, altre proteste di organizzazioni e della stampa. Tutta roba che passa nel giro di pochi giorni; rimangono solo le lacrime dei parenti delle vittime.
In considerazione dell’entità dell’eccidio qualcuno aveva proposto che venisse effettuata una giornata di lutto nazionale. Fortunatamente la proposta non ha avuto seguito; perchè questo nostro popolo è nella quasi totalità insensibile ai lutti nazionali. Preferisce agitarsi per il Vietnam, per gli affari interni della Grecia e del Congo, per la guerra nel Medio Oriente, per le guardie rosse cinesi, per altri problemi internazionali più o meno esistenti e più o meno gravi; ma per i problemi di casa nostra, no.
Una giornata di lutto nazionale sarebbe diventata una giornata festiva a tutti gli effetti. In Italia si avrebbe ballato ma non pregato; vi sarebbero state gite ai monti (quelli bassi, però) e al mare (soprattutto), ma pellegrinaggi a cimiteri di guerra o uno sbrigativo omaggio a un monumento ai caduti, niente affatto.
La sempre più esigua parte d’italiani che mantiene un po’ di sensibilità nazionale ha vissuto questo nuovo crudele lutto in se stessa, quasi timorosa di farselo scoprire dalla preponderante aridità degli altri.
Perchè questo dolore intimidito? Perchè noi italiani non ci amiamo per niente, in quanto manca quella coesione spirituale che è rappresentata dall’amor patrio, espressione questa che è persino pericoloso pronunciare senza arrischiare di farci ridere in faccia o magari trascinarci al manicomio.
Parlare di Patria in Italia equivale a farsi classificare: guerraiuolo, oppressore di popoli, schiavista, retrogrado, razzista, genocida e roba simile. E’ difficile far capire che l’amor patrio comprende ogni buon ideale del vivere civile con esclusione di ogni odio sia interno che internazionale; e forse impossibile sarà far intendere che amare la propria Patria significa anche rispettare la Patria degli altri, e che ogni programma sovranazionale non è sanamente fondato se ognuno non ama anzitutto e realmente la propria Patria.
Il nostro popolo è fondamentalmente buono e generoso; se ne hanno prove continue quando accade qualche calamità anche se altrove. E’ stato ammirevole nella catastrofe di Longarone come nella più recente alluvione; ha largamente risposto persino per dare da mangiare alle vacche e ai topi indiani, levando (non solo in senso figurato) il pane di bocca a molti dei suoi figli più poveri i quali non han vacche da adorare e che per poco non sono costretti a mangiar topi per sfamarsi.
Il nostro è però anche un popolo disorientato, alla ricerca – dopo tante prove dolorose - di un proprio equilibrio; un popolo che ebbe oppressori o cattivi o non buoni governanti prima, e che dopo non ebbe sempre dei buoni educatori. E tra gli educatori vanno qui compresi gli uomini responsabili del Paese, e via gradualmente – passando attraverso la scuola - fino ai capi delle famiglie.
Pensavo a ciò nel mio lutto interiore; e ancora cerco di convincermi che quei quattro morti, che si sono aggiunti alla tragica e ormai troppo lunga fila di Caduti in Alto Adige, possano scuotere l’insensibilità della nazione e far finalmente agire con fermezza i nostri governanti.
E mi è sorto il dubbio (anche a voi, vero?) che se noi fossimo stati migliori o anche solo meglio rappresentati, quei quattro caduti non ci sarebbero stati, come non ci sarebbe stato l’agguato di Malga Sasso e nemmeno molti degli altri innocenti straziati.
Bisognava svegliarci prima, ammesso di poterci considerare finalmente svegli oggi.
E’ per far suonare la sveglia che insistiamo con le nostre manifestazioni esterne, con le nostre adunate, con i nostri giornali; è per richiamare alla concordia ma anche alla dignità nazionale, al dovere di rispettare gli altri ma all’altrettanto incontrovertibile diritto di farci rispettare da tutti, anche dagli austriaci.
A molti non va questo nostro appello insistente, e forse vorrebbero, dopo aver ottenuto che non è da considerare reato la propaganda antinazionale, far diventare reato l’intendimento di diffondere un sano sentimento nazionale.
Ne è una prova indiretta quanto ho potuto leggere - nei giorni seguiti alla nostra adunata di Treviso - su un giornale tra i più seri d’Italia; l’articolista, anch’egli tra i più seri, affermava infatti che «da alcuni settori è stata avanzata la proposta di bandire l’adunata alpina dell’anno prossimo nella città di Bolzano, forse per dare al tradizionale incontro delle «penne nere» un suo senso politico, del tutto improprio ai regolamenti e alle abitudini dell’associazione».
Cosicché se andassimo a Bolzano (ma vedrete che ci sarà impedito) e se difendiamo l’Alto Adige almeno col cuore e la voce (cioè con quel che ci è ancora lasciato) noi faremmo della politica; è invece ciò che noi chiediamo alla politica, in quanto lassù muoiono soldati con le stellette ma non i professionisti della politica. E perchè il Tricolore è stato portato ai giusti confini dai nostri Soldati quasi cinquant’anni addietro, e ciò è costato 636.000 Caduti: che erano Soldati, non politici.
M. ALTARUI

L’alpino nostro conterraneo – Armando Piva di 22 anni, appartenente al «Val Cismon» - deceduto per l’esplosione di una mina il 25 giugno; diplomato perito tessile all’Istituto Marzotto di Valdagno e specializzato in meccanografia, era nato a Pederobba e risiedeva a Bigolino di Valdobbiadene.

I desolati genitori del bocia Armando Piva, durante i funerali dello sventurato figliolo svoltisi a Vidor il 27 giugno dopo le solenni onoranze ricevute nella mattinata a Belluno.
Lo scorso settembre, in occasione dei restauri al monumento ai Caduti del Castello, pure a Vidor, furono rinvenuti i resti di un combattente austriaco della Grande Guerra; del ritrovamento era stata subito avvertita l’associazione combattenti di Vienna e i resti vennero sepolti con tutti gli onori tra i Caduti italiani. Un modo assai diverso di interpretare la fraternità tra i popoli.

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