1968 Idea matta però - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di CONEGLIANO
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1968 Idea matta però

1968
IDEA MATTA: PERO'...
Fiamme Verdi Ottobre 1968

Lo statuto dell’A.N.A, ricorda, all’art. 2, che uno degli scopi che dobbiamo proporci è quello di «promuovere e favorire lo studio dei problemi della montagna, sempre in armonia con gli scopi dell’Associazione, mantenendo i migliori rapporti con Associazioni ed istituzioni che abbiano scopi analoghi e collaborando con esse per la loro risoluzione».
Molti anni fa ebbi modo di ricordare, con un articolo su «Fameja Alpina», questo nostro impegno associativo, trovando ampi consensi nel giornale «Gente della Montagna» pubblicato dall'omonimo movimento fondato da sinceri e sensibili innamorati della montagna decisi a recare un determinante apporto alla soluzione dei molti problemi che condizionano la stessa sopravvivenza delle gente dei monti.
La voce del Movimento si è affievolita tra l’indifferenza delle autorità e della maggior parte dei cittadini il cui unico problema montano rimane quello di trovare un confortevole albergo per trascorrere un mese di soggiorno alpino e di disporre di comode funivie per raggiungere i rifugi ove acquistare numerose placche da attaccare al bastone destinato a non conoscere un sentiero, e variopinte decalcomanie con cui infiorare le autovetture lasciate al sottostante passo.
La montagna se n’è andata gradualmente alla malora e i montanari italiani si sono in buona parte dispersi in ogni continente a lavorare nei boschi e sulle montagne altrui poiché agli Italiani nulla importa dei propri boschi e delle proprie montagne.
Poi sono venute le grane; quella più appariscente, ma non ancora quella più grave, è stata l’alluvione del novembre ‘66, e allora ci si è ricordati che qualcuno ebbe a dire - e molti ad inutilmente ripetere - che la pianura si difende in montagna.
Colpa principale: il disboscamento incontrollato.
Sono state emanate numerose leggi e leggine per risolvere il problema montano, ma esse furono inadeguate o non rese operanti; spesso non vennero rese convincenti o accettabili a1 montanaro al quale, in taluni casi, sarebbe stato necessario farle intendere (come avveniva durante la naja) con qualche salutare pedatone nel sedere: anticostituzionale fin che si vuole (il pedatone, non il sedere), ma talvolta opportuno. Ma chi può ritenersi autorizzato a tirar pedate a povera gente che già eroicamente resiste più che può tra le montagne di casa, senza scuole e senza adeguate fonti di reddito, ai montanari dimenticati sempre ad eccezione di quando c’è da chiamarli soldati, disprezzati fino a quando non accade di mandarli a svenarsi su qualche fronte in nome di una collettività nazionale che prima gl’ignorava?
E’ il problema di fondo della montagna che non è stato risolto; si sono pro fuse centinaia di miliardi per il Mezzogiorno, ma anche in montagna il mezzogiorno arriva puntualmente ogni ventiquattr’ore a far constatare che per il montanaro c’è solo e sempre la solita polenta con quattro patate.
I montanari non hanno lasciato soltanto le loro case e le loro montagne, ma hanno abbandonato anche noi che viviamo al piano e che non li abbiamo considerati dei veri soldati votati a renderci amica la natura.
Il debito di stima verso i montanari l’abbiamo sentito con l’alluvione ma siamo alle prime rate di un saldo assai differito nel tempo, specie se si valuta l’ampiezza della necessaria opera di rimboschimento delle nostre montagne; impresa questa assai difficile dal momento che si mettono piante a dimora un giorno all’anno e per gli altri trecentosessantaquattro giorni si fa a gara a chi ne abbatte in maggior numero.
Dopo questa lunga premessa, e ricordando il pure secondario fine associativo, viene da chiederci se dobbiamo fare qualcosa noi alpini per collaborare in parte con la Forestale che è rimasta l’unica organizzazione a tutelare il residuo patrimonio boschivo italiano; e cosa potremmo fare in particolare noi alpini trevigiani.
Mi scuso con i Morti se mi appello a Loro per aggiungere un motivo sentimentale ai già consistenti argomenti logici. ma tanto vorrei che un’opera così essenziale venisse realizzata nel ricordo dei nostri Caduti alpini.
Se ci venisse affidate una montagna spoglia di piante (come il Cansiglio), potremmo rimboscarla noi dando una mano ai bravi uomini della Forestale (quasi tutti provenienti dagli Alpini) ed erigendo in tal modo un immenso e vivo monumento ai nostri Morti: una pianta per ognuno di Loro.
Tale intendimento avrebbe anche la finalità di censire (finalmente) i Caduti alpini della nostra provincie, in quanto - dobbiamo ammetterlo - è questa una lacuna assai poco perdonabile; i nomi sono in alcuni casi evidenziati nei monumenti dei singoli paesi ma il più delle volte non c’è indicazione del Corpo di appartenenza e ancor più frequentemente non vi sono addirittura i nomi.
Con ciò non voglio dire che sui monumenti si debba scrivere se un Caduto fu alpino, o fante, o marinaio; né si può pretendere che in un monumento - ad esempio quello di Treviso - vengano incise migliaia (purtroppo) di Nomi. Ricordo anzi che, all’inaugurazione di detto monumento, venne stampato un volume con elencati tutti i nomi dei Caduti ai quali la bella opera è dedicata. Per i Caduti del più recente conflitto non venne fatto nulla del genere; bastò, come ovunque, chiamare il monumento «ai Caduti di tutte le guerre» e amen.
La nostra organizzazione dovrebbe essere in grado di raccogliere meticolosamente i tanti nomi, ricorrendo alla solerzia dei funzionari comunali e dei Gruppi della provincia, ai ricordi dei più anziani, alle documentazioni disponibili, ad ogni fonte possibile in modo da formare questo ruolino provinciale delle Penne Mozze certamente lungo ma attualmente indefinito. Non si creda che basti chiedere al ministero; io ho chiesto notizie assai più semplici tre anni e mezzo fa (lettera raccomandata n. 1069 del 13 aprile 1965) ma l’ufficio destinatario non si è tutt’ora scomodato nemmeno per scrivermi negativamente.
Se questa triste contabilità non la rileviamo noi, con l’aiuto degli uffici comunali e con ricerche sicuramente non facili né brevi nessun altro lo farà. Chi è aduso alle scartoffie potrebbe dedicarsi a queste ricerche; chi è giovane e robusto potrebbe andare a piantare alberi sul monte.
Un albero per ogni Caduto alpino della nostra provincia, e possibilmente ben identificato col Nome: un grande schedario vivente delle Penne Mozze di tutta la provincia.
Sarebbe commovente poter ammirare di lontano il «Bosco degli Alpini morti», e poter inoltrarvisi ad ascoltare il sussurrio delle foglie e il vento che come un’anima enorme e collettiva respira soffiando in questa sacra selva di piante; e, ancora, sapere che questo bosco contribuisce a proteggere la pianura trattenendo con le crescenti radici l’acqua del disgelo montano per distribuirla, gradualmente benefica, alle sottostanti attività dell’uomo: immaginando almeno per un attimo, con commossa e per nulla sacrilega considerazione, che sono i nostri Alpini caduti a trattenere - con le loro braccia affondate nella terra – l’impeto delle acque che altrimenti travolgerebbero le nostre opere quaggiù, e che tengono vigorosamente imbrigliate le rocce che disastrosamente franerebbero sui villaggi dei vivi.
L’ho detto fin da principio che è un’idea matta; però...
M. ALTARUI
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