1968 Lubrificante marca «naja» di Ferruccio Ceselin - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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1968 Lubrificante marca «naja» di Ferruccio Ceselin

1968
LUBRIFICANTE MARCA «NAJA» di Ferruccio Ceselin
Fiamme Verdi Giugno 1968

All’alpino Borsotti Pietro, piacentino, classe 1921, non faranno mai un monumento per il modo in cui si prese la croce di guerra. Intanto perchè una croce di guerra è troppo poco per un monumento: e poi perchè, subito dopo l’inaugurazione, metterebbero dentro lo scultore, Borsotti e il sottoscritto per oltraggio al pudore in luogo aperto al pubblico: cosa che non mi stupirebbe, specialmente se le maestre vi avessero portato i bambini delle scuole.
Naturalmente anche la motivazione l’ho dovuta censurare, E’ venuta fuori più o meno la solita pappa retorica con dentro lo «sprezzo del pericolo» e il «forte esempio dato ai commilitoni». Certe cose non si possono scrivere nemmeno al Ministero della Difesa, tanto più che ora nei distretti lavorano anche le dattilografe e quelle magari sono capaci di pensare che lo faccio apposta e sono uno scostumato.
Comunque, in quel giorno di febbraio del 1941, in Montenegro, la faccenda andò così.
Si scarpinava dal giorno prima nella neve, con una temperatura che stava scendendo con l’avvicinarsi della sera. Pareva che tutto fosse tranquillo: niente attacchi, niente sparatorie, una azione di tutto riposo. E invece, d’un tratto, ecco da qualche parte il tac-pum staccato di quei loro fucili, ecco uno, due alpini cadere fulminati, eccoci tutti dispersi a cercare di ripararci da nemici che non si sa dove siano. Alla fine li scorgiamo: tra alcuni macigni, in una posizione ideale per farci fuori uno alla volta se tentiamo di passare.
Bisogna farli restare al coperto con raffiche di mitragliatore. E’ compito di Barsotti, questo. Ma c’è un primo inconveniente: la neve è così alta che il bipiede del Breda vi affonda completamente. Nessuna paura: un ragazzo si sdraia supino, si fa appoggiare l’arma sul petto, fa cenno a Borsotti di sparare.
Borsotti premette il grilletto: niente. Ricarica, preme di nuovo: ancora niente.
Prova una, due, tre volte: l’arma è bloccata. Il freddo prolungato l’ha congelata: l’olio non esce più dalla scatola di lubrificazione. Un pezzo di ferro da buttar via. E intanto i tac-pum ci inchiodano nelle nostre buche di neve.
E’ allora che Borsotti tira fuori quello che la motivazione chiama «encomiabile spirito di iniziativa mostrato ai compagni». Si alza in piedi, si sbottona i pantaloni sul davanti, allarga inequivocabilmente le gambe e fa la pipi. Proprio così: là, bello ritto, bersaglio ideale per i nemici che l’hanno subito preso furiosamente di mira, tra le risate e lazzi dei compagni dirige coscienziosamente sull’arma il getto dell’unico liquido caldo disponibile, maledicendo la naia, il mitragliatore e chi l’ha inventato: e si sa che il freddo di solito fa accumulare una riserva piuttosto lunga e abbondante. Poi torna a provare: mai sparato così bene.
Una raffica dopo l’altra: sembra che canti.
Diciamo la verità: chi potrebbe farlo, un monumento così?
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