1986 I segreti degli alpini
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I SEGRETI DEGLI ALPINI
Fiamme Verdi Dicembre 1986
Fermiamoci a guardarli passare i Battaglioni Alpini; è proprio bello veder passare i Battaglioni Alpini, dappertutto è bello vederli passare, in Val D’Aosta, in Cadore, dappertutto e ascoltare quel che dicono, quel che cantano, quel che ridono, poterli guardare in faccia da vicino, e nei loro visi, nei loro occhi, sulle loro labbra, nei loro gesti, tentar di sorprendere i loro segreti, quei meravigliosi segreti che essi si confidano soltanto fra loro, che soltanto loro conoscono, i misteriosi segreti che ogni alpino ha nel cuore e che bisogna essere alpino, vero alpino, per conoscerli (e certe volte non basta, eh no, certe volte non basta).
E primo di tutti passa il Signor Colonnello, che è piemontese, naturalmente, ed è alto due metri, ha le spalle di atleta, i baffi corti e duri, le mani larghe e nodose, i piedi immensi, ed è asciutto, tutto ossa e tutto muscoli, e cammina con quei suoi passi lunghi e si guarda intorno con quella sua aria accigliata e beffarda, il Signor Colonnello, che ha due pugni come due masse da minatore, e quando si arrabbia la sua voce pare il rombo di una valanga che bisogna scansarsi per non farsi travolgere, e quando ride tutto il reggimento sussulta, e quando dice “cribbio” i muli si mettono a tirar calci, e quando gira la notte per il campo, fra le tende, i suoi alpini sotto le coperte drizzano gli orecchi al rumore di quei passi, e bisbigliano fra loro “l’é chi ’l sciur Colonel” e si accucciano sotto le coperte facendo finta di dormire; ma quando il Colonnello si allontana, un lieve mormorio nasce nell’accampamento perfino i muli fanno “crr crr”, e allora il Colonnello torna indietro, e con la sua voce di valanga grida, “Silenzio, cribbio: dormite!” e subito uomini, muli e cani, tutti si addormentano di colpo, di un sonno obbediente e profondo.
Prima passa il Colonnello; il Signor Colonnello ch’è sempre sveglio e non dorme mai e va in giro anche la notte per vedere se tutto è in ordine e noialtri ufficiali una sera alla Cantina della Visaille, gli mettemmo un sonnifero nella sua tazza di caffè, dopo cena, con la speranza che andasse a letto e ci lasciasse dormire in pace, e lui si bevve la sua tassa di caffè con dentro quattro pasticche di “Verenal”, e gli venne l’insonnia? il signor Colonnello che vuoi bene ai suoi alpini e li tratta come se fossero i suoi ragazzi, proprio dei ragazzi ancora con i calzoni corti, e una volta sul Col de la Seigne dopo due giorni che non si mangiava, quando finalmente arrivò un pezzo di pane ed una gran fetta di formaggio per ogni ufficiale, il Colonnello disse “mangerò più tardi” e si mise in tasca il suo pane e il suo formaggio: e poi li diede a qualcuno di quei suoi ragazzi, perchè il giorno dopo ci accorgemmo che s’era messo in bocca un pezzo di lapis rosso e turchino e se lo stava masticando adagio adagio, mandandone giù bocconi come niente fosse e aveva la bocca tutta rossa e turchina.
E quella volta che incontrò sul ghiacciaio l’alpino che s’era presa una scheggia nello stomaco e se ne stava seduto, solo e tranquillo, dietro una roccia, il Signor Colonnello se lo caricò sulle spalle, se lo portò per due ore come se fosse un fuscello, e brontolava fra i denti contro quel pelandrone di un alpino che per una semplice scheggia nello stomaco non ce la faceva a camminare, e diceva “quando sarai guarito ti aggiusterò io, te l’insegnerò io, ecc. ecc..,”, e quando s’accorse che era morto, non lo volle lasciare, non lo lasciò, quei suo ragazzo, là in messo alla neve, e se lo portò sulle spalle fino al posto di medicazione, e tirò un tremendo pugno al Tenente medico perchè quel povero Tenente aveva detto “non c’è più nulla da fare”, come fosse colpa del Tenente medico se non c’era proprio più nulla da fare.
E dopo vengono gli ufficiali, e poi vengono gli alpini, con le maniche rimboccate fino al gomito il collo della camicia aperto sul petto arrossato dal gelo, e son quasi tutti bergamaschi, e bresciani, e di Lecce, e di Como, e della Valtellina, e camminano con quei loro passi lunghi, un tintinnio di fucili e di piccozze, parlando fra loro, ridendo, cantando, e gridando “ciao, pais” e hanno il faccione puerile, le mani gonfie di muscoli, quelle teste rotonde da montanaro e quella bocca rossa, quegli occhi ingenui e buoni, quegli occhi che paiono di bambini, e camminando si raccontano fra loro tutti i loro segreti e i segreti passano da uomo a uomo, da squadra a squadra, da plotone a plotone, da compagnia a compagnia. da battaglione a battaglione: ma se li interroghi per sapere che cose si raccontano fra loro, se lasci capire che vorresti capire i loro segreti, gli alpini si arrossiscono, ti guardano fissi e stanno zitti, non rispondono, perchè i loro segreti se li tengono per sé, non li rivelano a nessuno, e poi perchè sanno che è difficile, che è impossibile capire i loro segreti, e poi perchè ci sono dei segreti che un alpino non dice neppure al proprio compagno, dei segreti misteriosi di cui ciascuno è geloso, dei segreti meravigliosi che ciascuno si tiene per sé, e poi perchè è così bello aver dei segreti che nessuno conosce che capirebbe: e così gli ufficiali degli alpini, quelli che son montanari davvero e nascono con la penna sul cappello, non domandano mai nulla ai loro alpini, perchè sanno che a un alpino non si deve domandare qual’è il suo segreto e poi perchè sanno che è inutile voler sapere, è inutile voler capire; ciascun alpino ha il suo segreto, come ha il suo fucile, ed è altrettanto geloso del suo segreto quanto del suo fucile.
Come quell’alpino dell’Edolo che, mentre il battaglione avanzava sotto il fuoco delle bombarde e delle mitragliatrici nemiche, entrò per la finestra in una casa e andò a cascare in un mastello di SERUN (il serùn è quel siero di formaggio che puzza terribilmente) e da quel giorno non riesce a togliersi d’addosso quel terribile fetore, che anche i muli storcono il muso quando gli passano vicino ma se gli domandi che cos’è quella puzza lui non te lo dice, perchè e un suo segreto, non re lo dice che è cascato in un mastello di serùn perchè è un suo segreto e i compagni benché sappiano la storia del serùn, non gli dicono che lo sanno, perchè quello è un suo segreto, e bisogna rispettare il segreto di un compagno! Come quell’alpino di Tirano, che andando a riempire un secchio nella Dora di Veny, sotto il ghiacciaio della Brenva, vede ad un tratto una marmotta che si affaccia alla sua tana, lo guarda incuriosita, e mette dentro la testa, e poi la sporge di nuovo, e di nuovo la ritira, e così via come prenderlo in giro. L’alpino del Tirano si avvicina adagio adagio alla buca, dove la marmotta s’affaccia e scompare, fa capolino e sparisce: e quand’è a pochi passi di distanza, e la vede affacciarsi le si butta addosso, ficca la testa nella tana, ci ficca dentro la testa fino al collo, ma rimane preso col collo nella buca, non può più uscirne, e così si mette a dimenarsi, ad agitare le gambe, a mugolare. Alcuni alpini che passavano di lì, vedono il compagno con la testa sotterrata gli si mettono intorno, gli domandano: “ehi, balùrd che fai lì dentro?” ma quello, zitto, e gli altri “si può sapere che cosa sta a fare lì dentro?” e quello, zitto. E allora lo pigliano per le gambe, cominciano a tirare e tira, tira, l’alpino viene fuori e ha la bocca piena di terra, e sputa terra, e ai compagni, che gli domandano che cosa diavolo stesse facendo in quella buca, non risponde, e sta zitto, col viso rosso e sudato, sta zitto, perchè quello è un suo segreto, e non vuole dire a nessuno quel che gli ha detto la marmotta, è un suo segreto, ed è nel suo diritto non rivelarlo a nessuno.
Come quell’alpino di Morbegno che rimase seduto sul ciglio della mulattiera quando gli passò davanti il signor Maggiore e non si alzò in piedi e il signor Maggiore gli disse: “alzati non sai che si salutano i superiori?” ma l’alpino stava zitto, rimaneva seduto, e allora il signor Maggiore s’infuriò; gli andò vicino, gli gridò: “alzati, fìol d’un can!” , e l’alpino si alzò ma subito cadde tra le braccia del signor Maggiore, perchè un scheggia gli aveva fracassato una gamba, e non lo voleva dire, e stava zitto e non aveva forse il diritto di tenerselo per sé il suo segreto?
No, non si è mai saputo e non si saprà mai: è un segreto. E non soltanto un segreto suo ma di tutti gli alpini. E il segreto di cui gli alpini sono più gelosi. E nessun alpino andrà mai a dire perchè gli alpini non vogliano andare indietro, perchè gli alpini si fanno ammazzare sul posto. È un loro segreto, e anche il Signor Colonnello dice che i segreti degli alpini bisogna rispettarli, cribbio, che bisogna rispettarli, cribbio, i segreti degli alpini.
CURZIO MALAPARTE
(Non si conosce la pubblicazione dalla quale fu rilevato l'articolo, che fu inviato all’amico gen. Libero Tonel da sua madre, molti anni fa, quando si trovava ancora in servizio, e che noi ringraziamo per la collaborazione.)