2004 Sono stato al Bosco delle Penne Mozze - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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2004 Sono stato al Bosco delle Penne Mozze

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SONO STATO AL BOSCO DELLE PENNE MOZZE
Fiamme Verdi Dicembre 2004

Egregio Direttore,
Sono stato un giorno al “ Bosco delle penne mozze” poco fuori l’abitato di Cison di Valmarino,  minuscolo e stupendo centro abitato tra Follina e Vittorio Veneto.  Questa volta da solo perché volevo stare da solo, perché volevo stare in silenzio in mezzo ad un  numero sterminato di compagni. Forse un’ora o forse più di riflessioni, seduto su una pietra mentre davanti avevo la lapide di un caporale alpino di 22 anni  caduto a Nikolajewka  nel gennaio del 1943. Il silenzio era rotto solo dallo stormire delle foglie e dal gorgoglio dell’acqua.  Riflessioni di pace velate da un pizzico di malinconia, dolce malinconia, di quella che ti fa stare un po’ meglio. Il Bosco delle penne mozze è un’intera collina piena di lapidi in ferro battuto, non una uguale all’altra, alte da terra quasi un metro,  con nome dell’alpino morto o disperso e il grado, dal semplice soldato, al tenentino, al generale. E tante medaglie al valore. E poi la data con la località, dal deserto dell’Africa, alla Grecia  fino alla sconfinata steppa russa.  Lapidi  disposte con grande sapienza lungo i sentieri ben curati. Frutto del lavoro degli alpini del luogo. Con dedizione assoluta, e direi anche con gioia, gli alpini ci lavorano ancora per migliorare e mantenere in buono stato l’intera collina con il suo carico pietoso.  Tutto ordinato, tutto bello,  pulito e solo un po’ triste. Al di là del profondo significato dell’iniziativa, colpisce anche la vastità del lavoro svolto.  Mi pare di aver letto che si tratta di quasi 2.500 lapidi.  Anni e anni di encomiabile impegno.  Certo che sono bravi questi alpini. !
Perché in ogni calamità naturale c’è sempre qualche alpino  che, senza tante cerimonie ma con tanta bravura e dedizione, interviene con prontezza per portare sollievo alle popolazioni colpite. Per fortuna i disastri non succedono ogni giorno, ma non per questo gli alpini della sinistra Piave se ne stanno con le mani in mano. Ma scherziamo? C’è da mettere a posto il piazzale, pulire il bosco, segnare il sentiero, mettere un nuovo sostegno al ponticello, organizzare la prossima festa paesana ecc. Sempre pronti e mai fermi.  “Mai fermi” potrebbe essere uno dei tanti motti che contraddistinguono i vari  battaglioni in armi.   Il mio motto,  al Car della Julia,  era “mai daur”  che in friulano  significa  mai indietro. Quello che maggiormente mi piaceva, perché conciso ed efficace,  era il  motto “Tasi e tira” che mi pare fosse del gruppo Udine, in quel di Tolmezzo. Io, pur avendo fatto negli anni sessanta  naja da vero alpino con fatiche ed imprecazioni, ma anche con tanta gioia, non ho nostalgie struggenti e ricordi strappalacrime. Anzi, mi sono quasi divertito e davanti alla lapide del caporale disperso in Russia mi sento confuso e imbarazzato, quasi indegno. Sono orgoglioso di far parte di questo genere  di persone pur non essendo un attivista. Nutro sconfinata ammirazione per i gruppi alpini che praticano un volontariato spontaneo e generoso.  Perché questi signori, che sono andati in Piemonte per l’alluvione, che sono andati in Umbria per il terremoto, che sono sempre i primi a rispondere presente, questi signori, dicevo, non pretendono nulla, non fanno propaganda,  lavorano sodo e si mangiano le ferie per ….pochi soldi. Quanti direte voi? Ve lo dico subito: con lo stipendio  mensile di qualche “volontario/a pacifista”, i nostri amici  vanno avanti una vita, ti puliscono una montagna, ti costruiscono un monumento, ti organizzano una gigantesca festa paesana. Ed avanzano pure qualcosa. Perché i pochi soldi cui alludevo sono  di esborso, non d’introito. Ho saputo che il vecchio  presidente del gruppo alpini di Vittorio Veneto versava la propria pensione di guerra nelle povere casse del gruppo! Perché gli alpini hanno sempre pagato di tasca propria e a volte, troppe volte,  hanno pagato con la vita.  Almeno così dicono le cronache perché con i beceri  mistificatori che ci sono in giro, va a finire che i morti nelle battaglie sul monte Nero sono propaganda,   va a finire che le centomila gavette di ghiaccio sono solo cinquanta, va a finire che nelle foibe sono state gettate solo delle galline, va a  finire che tutte la lapidi del bosco delle penne mozze sono dei falsi. Va a finire che mi fermo qua perché ….
E’ chiara a tutti comunque la enorme differenza fra volontario a proprie spese e volontario a spese di…? Ma per fortuna oltre agli alpini esistono tanti, tantissimi volontari veri, che non vanno sui giornali, non fanno cortei, non chiedono soldi.  So che sono tanti e a loro deve andare l’ammirazione e la gratitudine di chi non può o non ha modo di prodigarsi per il prossimo. Perché la solidarietà, l’aiuto reciproco, l’annullamento del proprio tornaconto sono parti essenziali del patrimonio genetico di molti di noi, maggioranza silenziosa. Ma attenzione: gli alpini hanno un’altra caratteristica. Sono silenziosi e tranquilli  ma non devi stuzzicarli e portarli a cimento. Perché sono combattivi e, nel caso,  difficili da superare.   
Sono tornato a casa un po’ meno cattivo, un po’ più propenso a considerare fratelli tutti i miei simili, un po’ meno insoddisfatto di me stesso. Ed allora ci ho ripensato su: non è solo  il ricordo degli alpini caduti che commuove ed esalta, è invece sapere che in tanti  si prodigano  per mantenere vivo quel ricordo  ma ancor di più per recare sollievo e chi è più sfortunato. Tra una grappa e l’altra?  Certo,  tra un bicchierino ed una cantata in compagnia.  A dimostrazione che la vita è  anche gioia.
U.B.
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