2013 Addio a Teofilo Bonanni, reduce di Russia - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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2013 Addio a Teofilo Bonanni, reduce di Russia

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Addio a TEOFILO BONANNI, reduce di Russia
Fiamme Verdi Settembre 2013 di Giovanni Lugaresi



Non si è fatto in tempo a trarre un respiro di soddisfazione al ritorno dall’adunata nazionale di Piacenza illuminata dal sole, e già due eventi luttuosi ci hanno preso: Vittorio Trentini, avvocato, 101 anni, da Bologna, già Presidente nazionale dell’ANA, e Teofilo Bonanni, 97 anni, carnico di origine (Raveo), “naturalizzato” coneglianese, entrambi reduci di Russia, sono andati avanti.
Non è che a una certa età, la morte sorprenda; è fra l’altro nella natura delle esistenze, ma colpisce certamente, per via d’una vicenda, di una storia, che già quando un protagonista è ancora in vita rappresenta una “memoria”. E’ il caso soprattutto di Teofilo Bonanni, che chi scrive ebbe la ventura di conoscere, intervistare, pubblicare, pronubo l’amico alpino Lino Chies, attento a certe vicende particolarmente “originali” del popolo degli alpini. E quella di Teofilo lo era indubbiamente, come adesso ci piace ricordare, seppur in sintesi.
Prima sul fronte greco-albanese (congelamento del pollice della mano destra), poi, campagna di Russia: 14^ Batteria del Gruppo Conegliano della Julia. Teofilo Bonanni, alto un metro e ottantacinque, robusto, forte, prima capopezzo, poi addetto alla fureria. E in quanto tale, su un quaderno a righe, in bella grafia, ecco nomi e cognomi dei componenti il reparto. Un quaderno che conservava gelosamente nella sua dimora coneglianese. Accanto ad ognuno di quei nomi, una maiuscola: P o D: P a significare Presente, D Disperso. Ed ecco il ricordo nitido, preciso (ancorché avesse da poco superato un ictus) di Teofilo.
Nella ritirata, su una slitta erano stati caricati la cassaforte del reparto con i documenti (ruolini, elenchi di nomi dei soldati della batteria) e un alpino ferito. Ad un certo punto, con il mulo stremato, la slitta che sprofondava nella coltre nevosa, i casi erano due: scaricare la cassaforte… o il ferito. Non ebbe dubbi, Teofilo: salvaguardare il commilitone, e gettò la cassaforte… Una lunga marcia, fino al 30 gennaio 1943, fin quando cioè quegli sventurati arrivarono alle linee tedesche. E fu lì che il furiere ebbe un rimorso: nella cassaforte c’erano gli elenchi della forza della batteria e lui non li aveva salvati. Doveva rimediare: il senso del dovere (militare e umano) glielo imponeva. Con un vecchio taccuino e un lapis che aveva conservato in una tasca si mise alla ricerca… Incontrava un commilitone: chi sei? Come ti chiami? Hai visto qualcuno dei nostri uscire dalla Sacca e arrivare fin qui? Alle risposte, ecco allora le citate sigle: P, D. L’operazione continuò per il resto della marcia e quindi sul treno per Gomel. Giunto nella natìa Raveo, trascrisse il tutto e quindi alla fine della guerra fu in grado di dare notizie alle tante famiglie che gli chiedevano informazioni sui loro cari.
Ecco la storia di guerra di Teofilo Bonanni, come la apprendemmo dalle sue semplici parole tanti anni fa, raccontata con immediatezza, con toni piani, senza alcunché di superbia, come era nel suo stile. Aveva fatto quello che la coscienza gli dettava, prima gettando la cassaforte nella neve e tutelando il commilitone ferito, poi compiendo quella sorta di appello per constatare i presenti e… gli assenti.
Muratore da giovane, fino all’arruolamento nel 1939, dopo il conflitto Bonanni venne assunto dalla Sade lavorando in vari cantieri, e prendendo casa a Conegliano. Non era mancato alle adunate nazionali dell’ANA fino a quella di Genova (2001), poi per motivi di salute, non ce l’aveva più fatta, ma il mondo delle Penne Nere aveva continuato a rappresentare il “suo” mondo. Nell’album fotografico di famiglia ci sono diverse immagini eloquenti, significative: in una appare con Mario Rigoni Stern, in un’altra circondato da Penne Nere coneglianesi, con il sindaco Floriano Zambon e il vicepresidente nazionale dell’ANA Nino Geronazzo in testa. Lui è al centro, in carrozzella, un plaid sulle ginocchia, contento. Il “vecio”, il più vecio della Sezione di Conegliano, è andato avanti, e a ricordarlo sono in molti della città, della Marca, del Veneto, anche non alpini.

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