2018 Adunata nazionale a Trento
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Adunata a Trento tra luci e ombre
Col tuo paese nel cuore. Mario, un alpino mai visto prima, lo incontro a Trento nell'osteria La vecchia dove a ogni adunata viene a salutare Lino, compagno di naja a Belluno. Quella notte maledetta del 9 ottobre '63 segnò per sempre l'esistenza della popolazione di Longarone ma incise segni indelebili anche nell'anima dei militari accorsi a prestare i primi soccorsi. L'adunata è l'occasione per rinnovare quei ricordi. "Sono sempre due le mie sfilate - mi dice - ma domani sfilo solo con la Sezione della Jugoslavia." La cosa mi incuriosisce. È un fiume in piena, Mario, il suo racconto nitido e particolareggiato. Lui non è il classico alpino della seconda naia, la sua città, Fiume, dovette lasciarla nel 56 quando il padre capì che per gli Italiani lì la vita sarebbe stata difficile. Quindi un'esistenza da profugo in giro per l'Italia, dalle Marche al Piemonte e fino a Vicenza. Un peregrinare incessante, tra precarietà e diffidenze di ogni genere, una vita di lavoro, tanto lavoro, fino alla realizzazione di una piccola azienda. Ogni tanto ci torna a Fiume, per rivedere la sua casa, il suo cortile. Perché i luoghi dove sei nato te li porti per sempre nel cuore. Poi ... poi improvvisamente il racconto si interrompe, perché sono solo lacrime e un definitivo blocco alla gola. E io a chiedermi come un uomo forte e coraggioso, tetragono contro tante avversità, che ha raggiunto il successo nel lavoro e nella vita possa ancora essere sopraffatto dai ricordi.
Non finiscono mai di sorprendere le Sezioni estere. Quegli alpini che hanno dovuto lasciare i loro paesi, i loro borghi, la chiesa e il campanile. Ma come hanno potuto, come sono stati capaci di farlo, che non c'è un paese e un borgo più bello di quello dove sei nato. E' che in questa terra, bellissima, il lavoro non bastava mai, e se ne sono andati a guadagnarsi il pane in altre terre sconosciute portandovi anche l'orgoglio d'aver fatto la naia con la divisa grigioverde e lo spirito alpino.
Sfilano orgogliosi, anche se sono sempre meno: sono due quelli della Sezione inglese, uno porta il gagliardetto, l'altro lo segue con una cornamusa.
Avanti Carnica, Conegliano avanti, avanti Vittorio Veneto ... e mi risuona l'epico "Tridentina avanti" urlato a Nikolajewka da sopra un carrarmato dal generale Reverberi. Ora la mia attenzione è tutta sul "mossiere", l'alpino che da un palco improvvisato di tubi innocenti governa l'ammassamento e la partenza della sfilata. E' uno dei 200 alpini del Servizio d'Ordine Nazionale dell'ANA (S.O.N.), assicura il regolare svolgimento dell'Adunata. Forse non è chiaro a tutti che mentre il resto del mondo alpino fa festa loro sono silenziosi guardiani dell'adunata, sempre pronti a intervenire con simpatia ma anche con fermezza. Ho assistito, infatti, a più di un battibecco con qualche alpino che all'adunata non vorrebbe regole. Ecco che ora il mossiere rimprovera un alpino che inizia la sfilata con un abbigliamento inadeguato. "Ho fatto la naia prima di te" ribatte l'alpino. E dal palco: "se hai fatto la naia prima di me allora dovresti sapere che non si sfila con i pantaloncini corti"... E bravo il mossiere!
Ortigara. È chiaro a tutti ormai che sono due le adunate, quella sacra e quella profana. E' così da tanti anni, ma si ha la sensazione che qualcosa stia sfuggendo di mano agli alpini. La città presa d'assalto da ambulanti, suonatori, bancarelle di ogni genere, questa volta ci sono perfino i raccoglitori di firme per le cause più svariate, e molto, molto altro ancora. Ci manca solo che spuntino i figuri con i tavolini del gioco delle tre carte. Questi sanno però che è meglio starsene alla larga dagli alpini. E' il prezzo da pagare quando la festa è popolare. Ma se quelli che sfilano sono sempre meno e i numeri dell'adunata sempre più grandi significa che qualcosa non torna. "Forse la vera adunata è quella che si celebra sull'Ortigara" confessa un vecio che di adunate ne ha fatte parecchie. Poi arriva il momento delle emozioni forti, e allora per gli alpini tutto il resto sono dettagli insignificanti. La messa del sabato, che rappresenta uno dei momenti più alti dell'adunata, si celebra dentro quelle mura dove è stata scritta una pagina importante della storia del mondo occidentale. Il duomo (una delle navate laterali è interdetta al pubblico essendo in corso lavori di restauro) può contenere le autorità e i rappresentanti dei Gruppi e delle Sezioni con i rispettivi labari e pochi altri alpini. Per cui un folto stuolo di penne nere segue la cerimonia dal maxischermo installato nella piazza. La cerimonia si apre con Stelutis alpinis, brano composto quasi 100 anni da fa da un friulano profugo in Toscana che forse gli alpini non li conosceva nemmeno. Brano che per i suoi contenuti fa parte da sempre del repertorio alpino. Nessuna poesia, nessun canto, nessuna preghiera ha meglio descritto il lamento profondo, la sofferenza provocata dalla tragedia della guerra, dalla lontananza, dalla morte sul fronte. Bastano le prime note, le prime parole e il brivido si trasforma in emozione violenta che ti serra la gola, una rasoiata che ti taglia l'anima. Sull'altare è stata deposta l'icona della Madonna del Don, prelevata dalla chiesa di Mestre, ove è custodita, uno dei simboli a noi più cari. E mi chiedo se la letteratura, la leggenda, tutta la storia e l'epopea degli alpini sarebbero le stesse senza gli avvenimenti che gli alpini vissero in Russia. Mentre le penne nere in piazza seguono le varie fasi della messa come se fossero in duomo, bande e fanfare assordanti si alternano con lo sconquasso dei loro tamburi in un infinito girotondo attorno alla fontana del Nettuno. Però sti alpini ...
Paradossi. Ma veniamo al dunque. Abbiamo in mente altre adunate in cui l'accoglienza non è stata straordinaria. E tutti ricordiamo le perplessità con cui partimmo per Bolzano, città che finì poi per abbracciare gli alpini con un calore unico. Nei giorni precedenti l'adunata trentina, sui media abbiamo letto, fra le tante, frasi del tipo "assisteremo alla calata degli Unni, saranno tre giorni in cui centinaia di migliaia di uomini ubriachi, maneschi e sessisti se ne andranno per le strade della città che subirà spettacoli di ogni genere ... Anche se gli alpini vengono spesso ricordati come eroi, ci si dimentica sempre del loro ruolo reale nella storia. Ci si dimentica degli stupri in Russia, Albania, Grecia, di un corpo fedele al fascismo e alla monarchia e di tutte le loro violenze e nefandezze, delle missioni di "pace" in giro per il mondo di oggi (Somalia, Iraq, Afghanistan, Libano), e sempre con quella maledetta penna nera sul cappello, intrisa però di un sangue innocente che non va dimenticato. Che l'accoglienza sia calorosa a questo branco di ... ". E quella parola, agghiacciante, che non oso riportare. Quella parola che ho visto poi scritta in rosso sulle pietre di un palazzo. E noi che pensavamo di essere accolti con il racconto del lavoro immenso e bellissimo che gli alpini hanno fatto e fanno affiancando la protezione civile, garantendo cure, assistenza, aiuto a chi ne ha bisogno; raccontandoci la ragione per cui gli alpini sono amati e rispettati; che raccontassero gli alpini come i più lontani dalla retorica della guerra, che li ha visti sempre vittime di scelte scellerate, costretti a morire a tremila metri, tra i ghiacci, nella grande guerra e poi in Russia, a farsi massacrare in una ritirata disumana; che gli italiani amano le penne nere, perché sanno che arrivano sempre dove c'è bisogno di loro, ecc, ecc ... La risposta degli alpini a tali accuse? Nessuna, la fede nei loro valori è troppo forte per essere scalfita. Paradossalmente alcuni alpini si sono invece lamentati del fatto che, a un mese dall'adunata, Trento ospiterà l'orgoglio omosessuale, il gay-pride. In poche parole: gli alpini con la loro sfilata hanno "santificato" le strade di Trento, come può, poi, questa città permettere che le stesse strade ... Francamente i conti non tornano!
I muri di Trento. La sfilata si snoda tra muri lordati di scritte nere e rosse, parole piene di odio, minacce di mettere questa città a ferro e fuoco. I muri di Trento, un pessimo biglietto da visita. Oggi non percepisco il clamore e gli applausi lungo il percorso, non colgo le note della fanfara. Lo sguardo fisso sulla selva di penne che stanno davanti, non voglio incrociare ancora quella parola maledetta, che sembra incombere e risuonare sulla sfilata, quella accusa assurda, cattiva, ignobile, falsa e ingiusta. Soprattutto falsa e ingiusta. Rino, è anche per te questa parola. Rino Minet, classe '22, andato avanti 8 anni fa, persona mite e pacifica, l'esperienza in Russia l'aveva fatto un umile e silenzioso testimone di pace. "Sei la prima persona cui racconto la mia storia - mi disse un giorno - poi non la racconterò più a nessuno". Rino c'era a Nikolajewka, quel 26 gennaio 1943. Vide l'orrore. Si trovò su una nuda collina imbiancata, facile bersaglio del tiro diretto dei micidiali katiuscia, con i compagni che cadevano, con la neve che si alzava a nuvole sotto i colpi vicinissimi ai suoi piedi ... Poi la precipitosa fuga verso ovest, in una pista innevata dove affluivano soldati allo sbando da tutte le direzioni. Una scia interminabile di uomini disperati che si trascinava nella neve, camminando giorno e notte, 40 gradi sotto zero, un'apocalisse dove chi si fermava era perduto, cade va e non si rialzava più. E la notte il silenzio era rotto solo dai passi che calpestavano la neve appiccicosa. Poi finalmente la tradotta. Salire su quella tradotta che portava in salvo feriti e congelati non fu facile, perché i vagoni non erano sufficienti a contenere tutta quell'umanità derelitta, ammucchiati peggio delle bestie. Era il 15 marzo 43 quando il treno varcò il confine. Degli otto commilitoni, partiti con lui da Conegliano, ritornava solo lui. Un mese di licenza, poi di nuovo in caserma a Bolzano, nonostante alcune dita di mani e piedi devastate dal congelamento. E qui lo sorprese l'8 settembre. La mattina del 10, soldati tedeschi, pochi ma organizzatissimi, circondarono la sua caserma intimando la resa e la consegna delle armi. Nella confusione riuscì anche a sgattaiolare fuori dalla fila, ma furono proprio due altoatesini a bloccarlo e riconsegnarlo ai tedeschi. Quindi il carro bestiame, destinazione Limburg, Germania. Qui il duro lavoro coatto in una fornace assieme ad altri militari italiani. La fornace distava 5 chilometri di marcia, mattina e sera. La fame smisurata. Si portavano appresso una marmitta con del minestrone immangiabile, lo stesso che consumavano la sera. Tre giorni alla settimana un filone di pane veniva diviso in tre e quattro giorni in quattro. C'erano i turni per fare le parti, chi tagliava sceglieva la sua parte per ultimo. In venti mesi, mai vista la carne. Otto ore di lavoro d'inverno, nove d'estate, sei giorni la settimana, la domenica controllati nella baracca. Poi la liberazione e il rientro, ancora in treno. Nessun comitato di accoglienza, nessuno a chiedergli della sua prigionia, nessuna autorità politica o militare a informarsi di come erano andate le cose. Poi ancora una volta sul treno, emigrante con destinazione prima la Svizzera poi Torino. E altre vicende difficili e dolorose che Rino ricordava con una serenità e un distacco sconcertanti. "E allora cosa vuoi che sia quella parola - sembra dirmi - in confronto alle tante ferite che mi sono impresse ancora nell'anima." Ricordava che alla stazione del Brennero appena cessato lo sferragliare delle ruote del treno, dalla gente si era alzato uno strano clamore che prima sembrava un applauso di benvenuto e invece era un angosciato elenco di nomi e cognomi, cercati e invocati, con fotografie di giovani ventenni sorridenti. Volti che non aveva mai visto e che se anche avesse visto non avrebbe più riconosciuto, ricordando solo le facce stravolte dei compagni di ritirata. Lui si era affacciato, barbuto e lacero, pieno di pidocchi, ma uno del treno l'aveva tirato indietro: "ma dove vai, non vedi che fai schifo". E anni dopo un giovane che poteva essere suo figlio, cappello alpino in testa, gli aveva detto di vergognarsi che era andato in Russia a combattere un popolo inerme. E quell'altra volta, in osteria, un altro giovane: "tasi ti che te à pers la guera". E Rino aveva taciuto per sempre.
Gfdm
Trento non brilla, gli alpini sì
Le adunate degli alpini sono belle a prescindere perché è bello passare alcuni giorni con le persone legate a te, da anni d’alpinità trascorsi assieme. Ci sono aneddoti vecchi da ricordare e ne sorgono di nuovi in questo stesso ambito che fanno egualmente sorridere o addirittura ridere a crepapelle. L’Adunata Nazionale degli Alpini è un evento unico nel suo genere. Porta la gente “alpina” a visitare l’Italia in lungo e in largo crogiolando legami morali non indifferenti e soprattutto ricreando atmosfere d’italianità.
Ecco, forse di quest’ultima ne ho trovata poca pur cercandola in ogni anfratto di Trento.
E’ vero, le adunate odierne non sono quelle di uno o due decenni fa, quando gli alpini con la A maiuscola erano molti di più e meno erano quelli farlocchi, quelli per intenderci che mettono in testa il cappello senza aver fatto il militare con le penne nere, solo per sentirsi autorizzati a far casino e ad ubriacarsi. Ma prima di diventare una sorta di “Ombralonga” o di “Oktoberfest” c’è ancora qualche step negativo da raggiungere e ci auguriamo tutti che non accada o per lo meno che passino ancora diversi anni prima di arrivarci. Non ho visto accoglienza calorosa in città, tuttalpiù qualche sorriso forzato o qualche approccio affettuoso con persone neppure originarie di Trento.
Le bandiere tricolori non erano tantissime, e soprattutto in centro alcune erano messe al contrario, mentre la bandiera con l’effige di Trento era sempre presente e posizionata al posto giusto. La città è indubbiamente bellissima, con edifici e Chiese ricchi di opere d’arte pittoriche e sculture, di colonnati costituiti da marmi raffinati che narrano la sua storia paleo-romana, medievale e mitteleuropea. Sembra che l’italica origine su cui non c’è dubbio, sia stata soppiantata dalla colonizzazione austro-tedesca lasciando di non teutonico forse un po' di eccessiva sporcizia rilevata qua e là. Il tempo che minacciava in anteprima nubifragi e disastri, non ha eccessivamente infierito nel secondo fine settimana di Maggio facendo passare meno disagi del previsto ai circa cinquecento/seicentomila convenuti.
Sono stati numeri incredibili sino a qualche decina d’anni fa, ricordo solo Udine 1996 con un’affluenza così diffusa. Ma allora più di vent’anni fa, i radunisti “veraci” erano due volte di più del numero attuale e la città di Udine vista dall’alto, era un “tappeto” di penne nere. Ora l’affluenza diffusa è data soprattutto dalla medianicità fin troppo esagerata dell’evento da parte delle varie televisioni e dei vari giornali. Ci sono stati anni in cui esisteva una misera cronaca in diretta o in differita della sfilata della domenica. Siamo sopravvissuti lo stesso, anzi eravamo “alpinamente” migliori senza avere l’egocentrismo di farsi riprendere dalle telecamere.
Del resto affidandoci ad agenzie di promozione per ottimizzare i costi dell’evento, si può incorrere in tutto ciò. Ma a questo punto sarebbe importante chiederci se vale la pena di creare mastodontici eventi che sanno raccogliere presenze infinite ma che fanno intristire ciò che rimane della vera alpinità. Addentrarci il sabato sera dell’adunata nella parte centrale è stata una vera impresa ma poco soddisfacente per chi ama togliere le originale sfumature del tipico convivio alpino, anche perché gli alpini erano in percentuale davvero piccola. In compenso non sono mancati come ad ogni ressa negli anni, i furti dei portafogli. In quanto all’organizzazione dell’evento, notiamo che ad ogni cambio dirigenziale del COA, si fa poco tesoro degli aspetti positivi precedenti. Ad esempio le toilette erano quasi tutte concentrate in massa in pochi posti, obbligando ad un lungo cammino i fruitori delle stesse. Questo era un problema che qualche anno fa era stato praticamente risolto dopo attenta disamina. Il problema nasce anche per la riluttanza e l’occultazione che spesso avviene da parte dei gestori locali di esercizi pubblici che vorrebbero solo che i clienti consumino e non usufruiscano dei gabinetti. Ha fatto specie giovedì pomeriggio quando arrivati in centro, abbiamo seguito le frecce che indicavano i servizi igienici e dopo aver percorso quasi un chilometro, trovarli chiusi con un operatore che indicava che se ne poteva fare uso solo da venerdì mattina. C’erano già tantissimi radunisti il giovedì!! Anche la cartellonistica con le indicazioni delle varie attività collaterali all’Adunata è apparsa assai scarsa ed insufficiente, con locandine poco più grandi di un foglio A4. Tra le cerimonie più importanti dell’evento alpino annuale, spicca l’arrivo della bandiera di guerra che quest’anno era quella del 2° Rgt Alpini Genio Guastatori. Tale manifestazione è la vera e la massima Commemorazione del Sacrificio e dell’Onore di quegli Alpini divenuti Eroi. La sua importanza va fatta entrare nel cuore della gente, la sua tela tricolore sgualcita dal tempo e dal sangue è intrisa dell’Onore e va mostrata alla visione di tutti i presenti. Già Piazza Duomo pur importante, con quell’avvallamento centrale, complica la visione e se poi le transenne sono messe troppo distanti dal suo passaggio con i gagliardetti e i vessilli, il tutto porta ad una pessima percezione visiva. La stessa sfilata partita dal Castello del Buonconsiglio è stata assai disordinata, con fila composte di alpini troppo allineate e da signore di una certa età sicuramente non alpine, confluite nell’ambito non si sa perché. Il SON , SERVIZIO ORDINE NAZIONALE ANA, nonostante il tangibile ed alpino impegno mostra talvolta dei limiti per l’età ormai tarda di alcuni e per il protagonismo di altri. Il ricambio sarebbe utile, ma sappiamo non è facile. Il servizio autobus navette ha avuto nei giorni dell’Adunata, un esaustivo funzionamento durante le ore diurne con purtroppo la negatività di alcune corse soppresse la tarda serata. A margine dell’evento alpino ci sono state sgradevoli azioni che non meritavano eccessiva pubblicità. Sono fatti incresciosi che rivelano la storica presenza in città di qualche piccola entità incapace di proferire altrui rispetto. Nella giornata di sabato le cerimonie si sono svolte tutte con discreto successo di partecipazione, come del resto i concerti corale e bandistici, ove hanno brillato come sempre il nostro coro ‘’Coro ANA Bedeschi’’ e la cara ‘’Fanfara di Conegliano’’. La sfilata di domenica è stata come negli ultimi anni, una lunga maratona con circa 80.000 marcianti con un’ottima rappresentanza della Sezione ANA Conegliano. Il percorso ha toccato in lungo e in largo la città. Con ai lati della sfilata un entusiasmo coinvolgente che ha ripagato le penne nere dell’accoglienza troppo tiepida dei giorni precedenti. A luci spente, mi sento di dire che non sarà nelle nostre memorie come l’adunata più bella, questa svolta a Trento. Comunque ritrovarci fra alpini è sempre un grande piacere.
Renzo Sossai