2022 A tu per tu con Don Stefano Sitta
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A TU PER TU CON CON STEFANO SITTA
Dicembre 2022 di Giuseppe Pol
Intervista a "tutto tondo" per conoscere meglio la guida spirituale
sezionale
Lo
spunto per un'intervista al nostro Cappellano Sezionale, l'ho avuto visitando il
museo alpino sul ponte di Bassano, dove un quadro ritrae alcuni soldati al
fronte in un raro momento di serenità, durante la Santa Messa, affidavano la
propria vita al Signore, riconoscendo nel sacerdote una guida spirituale.
L'intervista a Don Stefano Sitta, guida spirituale degli alpini della Sezione di Conegliano, vuole far conoscere il proprio pensiero sugli alpini e temi di attualità.
Sitta Stefano è nato a Belluno il 03.06.1959 e vive a Pellegai di Mel (Bl) dove frequenta le scuole elementari.
Entra nel 1970 in Seminario a Vittorio Veneto per i tre anni delle medie e un anno di magistrale.
Esce dal Seminario per frequentare a Mel le superiori, conseguendo il diploma di Congegnatore Meccanico.
Successivamente alla Caserma Salsa, al 7° Alpini di Belluno svolge il servizio militare e nel 1979 lavorerà alla Ceramiche Dolomite di Trichiana fino al 1993.
Già dal 1991 inizia il cammino "Diaspora" proposto dalla Comunità Vocazionale con sede a Premaor (Tv) intraprendendo il cammino verso il sacerdozio.
L'ordinazione sacerdotale arriva il 23 giugno 2001 e nel 2003 viene nominato parroco di Villa di Villa di Mel, nel 2009 sarà sacerdote a Cimetta e Cimavilla e collaboratore pastorale di Codognè e Roverbasso.
A luglio 2013 Don Stefano Sitta, viene nominato parroco di Barbisano e Collalto.
L'intervista a Don Stefano Sitta, guida spirituale degli alpini della Sezione di Conegliano, vuole far conoscere il proprio pensiero sugli alpini e temi di attualità.
Sitta Stefano è nato a Belluno il 03.06.1959 e vive a Pellegai di Mel (Bl) dove frequenta le scuole elementari.
Entra nel 1970 in Seminario a Vittorio Veneto per i tre anni delle medie e un anno di magistrale.
Esce dal Seminario per frequentare a Mel le superiori, conseguendo il diploma di Congegnatore Meccanico.
Successivamente alla Caserma Salsa, al 7° Alpini di Belluno svolge il servizio militare e nel 1979 lavorerà alla Ceramiche Dolomite di Trichiana fino al 1993.
Già dal 1991 inizia il cammino "Diaspora" proposto dalla Comunità Vocazionale con sede a Premaor (Tv) intraprendendo il cammino verso il sacerdozio.
L'ordinazione sacerdotale arriva il 23 giugno 2001 e nel 2003 viene nominato parroco di Villa di Villa di Mel, nel 2009 sarà sacerdote a Cimetta e Cimavilla e collaboratore pastorale di Codognè e Roverbasso.
A luglio 2013 Don Stefano Sitta, viene nominato parroco di Barbisano e Collalto.
Cosa pensa degli alpini?
Degli alpini non posso che pensare bene. Un gruppo sempre attivo per ogni genere
di necessità, nel volontariato ad ogni livello, nel sociale. Sempre pronti, in
prima linea ad ogni chiamata.
Penso ai vari eventi naturali che hanno colpito l’Italia e continuano anche in questi anni, dove c’è sempre la presenza attiva degli alpini per soccorrere le famiglie, le persone in difficoltà.
Penso anche alle varie ricostruzioni opera sempre degli alpini. La loro presenza però c’è sempre anche in cose più spicciole. Un gruppo vicino alle famiglie anche nei momenti di lutto per la perdita di un loro caro e socio del gruppo, manifestata sempre con la numerosa presenza alle esequie.
Penso ai vari eventi naturali che hanno colpito l’Italia e continuano anche in questi anni, dove c’è sempre la presenza attiva degli alpini per soccorrere le famiglie, le persone in difficoltà.
Penso anche alle varie ricostruzioni opera sempre degli alpini. La loro presenza però c’è sempre anche in cose più spicciole. Un gruppo vicino alle famiglie anche nei momenti di lutto per la perdita di un loro caro e socio del gruppo, manifestata sempre con la numerosa presenza alle esequie.
Come vede i veci alpini e il futuro dei boce alpini?
I veci alpini, sono quelli dalla tempra dura come la roccia di granito, nel
senso buono naturalmente. Coloro che l’essere alpini ce l’hanno nel sangue e nel
cuore, coloro che sono attaccati al cappello alpino con grande senso di
appartenenza.
A tal proposito racconto un episodio di qualche mese fa. Stavo passando per Pieve diretto a Barbisano, dopo un funerale, e davanti a me un’auto con sulla capotta il cappello alpino.
Ad un certo punto naturalmente il cappello è caduto e mi sono fermato a raccoglierlo. Ho cercato di correre veloce per fermare la macchina, ma niente. Attraverso i social e il Presidente Sezionale si è potuto risalire al proprietario che il giorno dopo è venuto a prenderlo in canonica. Non vi dico l’emozione nel ricevere il ritrovato cappello alpino. “Non ho né mangiato né dormito stanotte al pensiero di aver perso il cappello”. Più contento di lui non c’era nessuno. Un esempio concreto per dire appunto il grande senso di appartenenza.
Anche tra i giovani i cosiddetti “boce” si respira questo senso di appartenenza. A dire la verità non sono più tanti i giovani alpini. Questo a causa che la naia è stata tolta ormai da parecchi anni e quindi gli ultimi che l’hanno fatta hanno già i loro anni. Sulle motivazioni per le quali è stata tolta si può discutere ma ormai è così.
Certo è che, secondo me, era un'occasione per condividere del tempo con altri, mettersi al servizio degli altri dimenticando te stesso, imparare a stare alle regole, imparare anche a tenerti le tue cose in ordine, una certa disciplina.
Io lo ricordo così l’anno che ho fatto e per certi versi dispiace che adesso non ci sia più.
Il futuro?
Penso lo immaginiamo tutti come sarà. Sarà come tanti altri gruppi che purtroppo andranno via via scemando. Gli alpini perché non c’è più la naia, altri gruppi perché non c’è ricambio.
È difficile ai nostri giorni trovare giovani che portino avanti certe tradizioni, perché è impegnativo e quando ci si prende un impegno bisogna portarlo avanti.
Viviamo in una società del "se mi piace” del “non mi sento” “del non donare del tempo per il bene comune”, del cambiare continuo.
Un impegno che duri nel tempo fa paura.
A tal proposito racconto un episodio di qualche mese fa. Stavo passando per Pieve diretto a Barbisano, dopo un funerale, e davanti a me un’auto con sulla capotta il cappello alpino.
Ad un certo punto naturalmente il cappello è caduto e mi sono fermato a raccoglierlo. Ho cercato di correre veloce per fermare la macchina, ma niente. Attraverso i social e il Presidente Sezionale si è potuto risalire al proprietario che il giorno dopo è venuto a prenderlo in canonica. Non vi dico l’emozione nel ricevere il ritrovato cappello alpino. “Non ho né mangiato né dormito stanotte al pensiero di aver perso il cappello”. Più contento di lui non c’era nessuno. Un esempio concreto per dire appunto il grande senso di appartenenza.
Anche tra i giovani i cosiddetti “boce” si respira questo senso di appartenenza. A dire la verità non sono più tanti i giovani alpini. Questo a causa che la naia è stata tolta ormai da parecchi anni e quindi gli ultimi che l’hanno fatta hanno già i loro anni. Sulle motivazioni per le quali è stata tolta si può discutere ma ormai è così.
Certo è che, secondo me, era un'occasione per condividere del tempo con altri, mettersi al servizio degli altri dimenticando te stesso, imparare a stare alle regole, imparare anche a tenerti le tue cose in ordine, una certa disciplina.
Io lo ricordo così l’anno che ho fatto e per certi versi dispiace che adesso non ci sia più.
Il futuro?
Penso lo immaginiamo tutti come sarà. Sarà come tanti altri gruppi che purtroppo andranno via via scemando. Gli alpini perché non c’è più la naia, altri gruppi perché non c’è ricambio.
È difficile ai nostri giorni trovare giovani che portino avanti certe tradizioni, perché è impegnativo e quando ci si prende un impegno bisogna portarlo avanti.
Viviamo in una società del "se mi piace” del “non mi sento” “del non donare del tempo per il bene comune”, del cambiare continuo.
Un impegno che duri nel tempo fa paura.
Cimetta, Collalto, Barbisano.
Cimetta e Cimavilla, possiamo aggiungere, perché è nell’aver sostituito don
Domenico Perin che era parroco e che seguiva gli alpini, che mi ha portato ad
essere Cappellano Sezionale.
Degli alpini di Cimetta, Cimavilla e Codognè conservo un bel ricordo tant’è vero che ogni anno mandano gli auguri di Natale e anche quando vanno in gita.
Poi qui a Collalto e Barbisano sono stato accolto e mi sento bene con i due gruppi.
Quando c’è stato bisogno della presenza degli Alpini ci sono stati.
Degli alpini di Cimetta, Cimavilla e Codognè conservo un bel ricordo tant’è vero che ogni anno mandano gli auguri di Natale e anche quando vanno in gita.
Poi qui a Collalto e Barbisano sono stato accolto e mi sento bene con i due gruppi.
Quando c’è stato bisogno della presenza degli Alpini ci sono stati.
Cosa significa essere cappellano Sezionale?
E' una nomina ricevuta, come ricordato sopra, quando sono arrivato a Cimavilla.
Mi sento onorato di questa nomina perché mi dà l’occasione di far parte del Gruppo sezionale e nello stesso tempo percepisco che dentro il gruppo alpini si sente il bisogno anche di una guida spirituale.
E' pur vero che la mia presenza è limitata, però non è limitato il ricordo nella preghiera.
Poi è bello che un gruppo abbia anche un legame spirituale e questo non è di tutti i gruppi.
Poi mi fa sentire Alpino tra Alpini.
Mi sento onorato di questa nomina perché mi dà l’occasione di far parte del Gruppo sezionale e nello stesso tempo percepisco che dentro il gruppo alpini si sente il bisogno anche di una guida spirituale.
E' pur vero che la mia presenza è limitata, però non è limitato il ricordo nella preghiera.
Poi è bello che un gruppo abbia anche un legame spirituale e questo non è di tutti i gruppi.
Poi mi fa sentire Alpino tra Alpini.
Passioni: montagna, calcio.
Calcio e montagna: le mie due passioni. Ho messo per
primo il calcio perché fin da piccolo ho coltivato questa passione. Non ho mai
giocato in squadre ufficiali se non tra amici del paese quando si andava a
giocare nei prati altrui finché non arrivava il proprietario a mandarci via. Me
la sapevo anche cavare bene abbastanza insomma. La mia squadra del cuore fin
dalla nascita è il Milan. Ricordo che da bambino passavo parecchio tempo nel
cortile di casa a calciare il pallone su per il muro facendo anche la
radiocronaca chiamando in causa i vari Rivera, Pierino Prati solo per citare due
nomi di quei tempi.
Ero biondo al tempo e mi chiamavano Schnellinger. Col passare degli anni, in particolare dopo la naia, sono stato uno dei promotori del primo “Milan Club Sinistra Piave Bellunese”, del quale poi sono diventato anche presidente. Erano gli anni che sugli adesivi era scritto: “Il Milan è una fede”. Inutile dire che questo mi ha “portato” anche a vari viaggi allo stadio a San Siro, ma anche in altri posti all’estero.
E questo fino al 1990, poi piano piano sono subentrati altri interessi sicuramente più importanti.
Attualmente seguo ancora un po' ma non più con chissà quale assiduità, per dire mi fa lo stesso guardare una partita alla tv e farne a meno. Ormai le squadre sono tutte composte da giocatori stranieri, c’è ben poco di italiano. Gli interessi, i soldi la fanno da padroni. Non ci sono più i giocatori che sposano una squadra, una maglia a vita, ma vanno dove prendono più soldi.
E allora trovo più soddisfazione farmi una bella camminata in montagna. Altra passione, iniziata tardi. Infatti pur essendo nato con le montagne di fronte a casa mia fino ai quasi trent’anni non ero mai stato in cima ad una montagna, mai camminato. E qui devo ringraziare un prete don Egidio Dal Magro, altro appassionato della montagna, che per primo mi ha portato a camminare. La prima uscita in assoluto, con scarponi nuovi, zaino nuovo insomma tutto nuovo, quattro giorni di cammino: dai piedi delle Pale di San Martino a Croce d’Aune. Da allora bene o male ho sempre camminato.
Ringrazio don Egidio per altri motivi, ma mi ha iniziato ad amare la montagna con le sue fatiche, ma in particolare con le sue bellezze. Ho avuto la fortuna di scoprire posti bellissimi straordinari che stando a casa non si immagina neanche ci siano, scenari incantevoli mozzafiato che ti fanno sentire piccolo di fronte a tanta maestosità.
a montagna per così dire ti plasma, ti aiuta a superare le fatiche, gli imprevisti della vita di tutti i giorni e a fare i conti alle volte con i propri limiti a saper fermarsi.
Ero biondo al tempo e mi chiamavano Schnellinger. Col passare degli anni, in particolare dopo la naia, sono stato uno dei promotori del primo “Milan Club Sinistra Piave Bellunese”, del quale poi sono diventato anche presidente. Erano gli anni che sugli adesivi era scritto: “Il Milan è una fede”. Inutile dire che questo mi ha “portato” anche a vari viaggi allo stadio a San Siro, ma anche in altri posti all’estero.
E questo fino al 1990, poi piano piano sono subentrati altri interessi sicuramente più importanti.
Attualmente seguo ancora un po' ma non più con chissà quale assiduità, per dire mi fa lo stesso guardare una partita alla tv e farne a meno. Ormai le squadre sono tutte composte da giocatori stranieri, c’è ben poco di italiano. Gli interessi, i soldi la fanno da padroni. Non ci sono più i giocatori che sposano una squadra, una maglia a vita, ma vanno dove prendono più soldi.
E allora trovo più soddisfazione farmi una bella camminata in montagna. Altra passione, iniziata tardi. Infatti pur essendo nato con le montagne di fronte a casa mia fino ai quasi trent’anni non ero mai stato in cima ad una montagna, mai camminato. E qui devo ringraziare un prete don Egidio Dal Magro, altro appassionato della montagna, che per primo mi ha portato a camminare. La prima uscita in assoluto, con scarponi nuovi, zaino nuovo insomma tutto nuovo, quattro giorni di cammino: dai piedi delle Pale di San Martino a Croce d’Aune. Da allora bene o male ho sempre camminato.
Ringrazio don Egidio per altri motivi, ma mi ha iniziato ad amare la montagna con le sue fatiche, ma in particolare con le sue bellezze. Ho avuto la fortuna di scoprire posti bellissimi straordinari che stando a casa non si immagina neanche ci siano, scenari incantevoli mozzafiato che ti fanno sentire piccolo di fronte a tanta maestosità.
a montagna per così dire ti plasma, ti aiuta a superare le fatiche, gli imprevisti della vita di tutti i giorni e a fare i conti alle volte con i propri limiti a saper fermarsi.
Il Papa e la Chiesa, verso quale futuro?
Abbiamo un grande Papa. Di Papa Francesco ammiro la sua semplicità. Parla in
modo semplice che tutti possano capire. Un uomo di grande fede. È un uomo che
ama davvero Gesù Cristo e la Chiesa. Un Papa al quale non si può non voler bene.
Molti lo criticano e purtroppo anche preti, cardinali e questo certamente non fa
bene alla Chiesa, non è una gran bella testimonianza.
Penso che dovremmo essere un po' più umili, vivere con più semplicità e umiltà e verità per ritornare ad essere credibili come Chiesa.
In questi anni per vari motivi che tutti sappiamo la Chiesa ha perso abbastanza terreno in credibilità. Però dobbiamo anche essere sinceri che non è mai mancata da parte della Chiesa l’opera caritativa, lo schierarsi dalla parte dei più deboli, dei poveri.
La Chiesa siamo noi, uomini e donne che non sono perfetti e quindi tutti dobbiamo aiutarci gli uni gli altri per riportarla su. Tutti siamo coinvolti in questo e non solo preti, frati e suore, ma tutti gli uomini di buona volontà. Tutto questo perché la Chiesa abbia un futuro migliore e in crescita.
Penso che dovremmo essere un po' più umili, vivere con più semplicità e umiltà e verità per ritornare ad essere credibili come Chiesa.
In questi anni per vari motivi che tutti sappiamo la Chiesa ha perso abbastanza terreno in credibilità. Però dobbiamo anche essere sinceri che non è mai mancata da parte della Chiesa l’opera caritativa, lo schierarsi dalla parte dei più deboli, dei poveri.
La Chiesa siamo noi, uomini e donne che non sono perfetti e quindi tutti dobbiamo aiutarci gli uni gli altri per riportarla su. Tutti siamo coinvolti in questo e non solo preti, frati e suore, ma tutti gli uomini di buona volontà. Tutto questo perché la Chiesa abbia un futuro migliore e in crescita.
Covid.
Da oltre due anni stiamo convivendo con l’esperienza del Covid questo virus che
ha colpito il mondo intero in forme diverse. Nessuno sicuramente avrebbe mai
immaginato nel 2020 di trovarsi ad affrontare una pandemia di così vaste
proporzioni. In questi due anni sono state tantissime le opinioni espresse in
merito, manifestazioni di ogni genere fatte, pareri di tantissimi esperti, ogni
giorno qualcuno di nuovo si può dire. Ma non è di questo che desidero parlare.
Restano nella mente certamente le lunghe file di bare, il numero di morti, la sofferenza di tantissime famiglie che si sono viste portare via i propri cari senza mai più vederli.
Resta nella mente la dedizione e la grande prova di professionalità dei medici infermieri, personale volontario.
Penso che questa pandemia ci abbia fatto riflettere anzitutto su quanto preziosa sia la vita e che grande dono è. Basta poco per rovinarla.
Sicuramente è stato un periodo, con le chiese chiuse o meglio senza celebrazioni con il popolo, nel quale si è pregato di più. Tante persone entravano in chiesa a pregare. Poi con il passare del tempo un po' meno. All’inizio si diceva che questa esperienza ci avrebbe cambiati, che non saremo stati più gli stessi ma cambiati in meglio. Mi sembra non sia così: facciamo le stesse cose che facevamo prima, non si rinuncia a niente. Anzi la pandemia ha creato malumori all’interno delle famiglie, tra amici, in particolare con la questione dei vaccini.
Concludendo questa risposta torno a dire che quello che potrebbe averci insegnato il COVID è che la vita e la salute sono un dono.
Restano nella mente certamente le lunghe file di bare, il numero di morti, la sofferenza di tantissime famiglie che si sono viste portare via i propri cari senza mai più vederli.
Resta nella mente la dedizione e la grande prova di professionalità dei medici infermieri, personale volontario.
Penso che questa pandemia ci abbia fatto riflettere anzitutto su quanto preziosa sia la vita e che grande dono è. Basta poco per rovinarla.
Sicuramente è stato un periodo, con le chiese chiuse o meglio senza celebrazioni con il popolo, nel quale si è pregato di più. Tante persone entravano in chiesa a pregare. Poi con il passare del tempo un po' meno. All’inizio si diceva che questa esperienza ci avrebbe cambiati, che non saremo stati più gli stessi ma cambiati in meglio. Mi sembra non sia così: facciamo le stesse cose che facevamo prima, non si rinuncia a niente. Anzi la pandemia ha creato malumori all’interno delle famiglie, tra amici, in particolare con la questione dei vaccini.
Concludendo questa risposta torno a dire che quello che potrebbe averci insegnato il COVID è che la vita e la salute sono un dono.
La guerra.
E adesso la guerra che ci tiene in ansia tutti quanti, almeno personalmente si.
Non si può restare indifferenti.
Nessuno penso si sarebbe mai aspettato di assistere ad una guerra nel 2022. E tutto ancora per il potere, per conquistare chissà che cosa.
È pur vero che le guerre non sono mai finite. La pace vera in tutto il mondo non c’è mai stata in quanto in certi posti si è sempre combattuto o quasi.
Questa guerra fa più paura perché non è tanto distante da noi, ma fa paura pensando alle armi che sono in mano ai potenti e che basta un niente per distruggere tutto in un attimo.
Abbiamo popoli che non hanno di che mangiare, non hanno neanche il minimo indispensabile per vivere e si spendono miliardi di euro per le armi.
In questi oltre due mesi di guerra quanti appelli di Papa Francesco alla pace, ma anche appelli venuti dalla gente comune e purtroppo rimasti inascoltati.
Bisogna dire che due guerre mondiali e tutte le altre guerre non ci hanno insegnato davvero niente. Non ci resta che pregare il buon Dio affinché tocchi il cuore di chi ha in mano il potere e faccia capire loro che prima delle conquiste, prima dell’avere viene la persona umana, viene la vita del fratello e sorella che ci vive accanto e chiede rispetto.
Nessuno penso si sarebbe mai aspettato di assistere ad una guerra nel 2022. E tutto ancora per il potere, per conquistare chissà che cosa.
È pur vero che le guerre non sono mai finite. La pace vera in tutto il mondo non c’è mai stata in quanto in certi posti si è sempre combattuto o quasi.
Questa guerra fa più paura perché non è tanto distante da noi, ma fa paura pensando alle armi che sono in mano ai potenti e che basta un niente per distruggere tutto in un attimo.
Abbiamo popoli che non hanno di che mangiare, non hanno neanche il minimo indispensabile per vivere e si spendono miliardi di euro per le armi.
In questi oltre due mesi di guerra quanti appelli di Papa Francesco alla pace, ma anche appelli venuti dalla gente comune e purtroppo rimasti inascoltati.
Bisogna dire che due guerre mondiali e tutte le altre guerre non ci hanno insegnato davvero niente. Non ci resta che pregare il buon Dio affinché tocchi il cuore di chi ha in mano il potere e faccia capire loro che prima delle conquiste, prima dell’avere viene la persona umana, viene la vita del fratello e sorella che ci vive accanto e chiede rispetto.
Conclusione.
Tante altre cose magari potrei aver detto forse più interessanti, ma questo è
quello che mi è venuto di getto spontaneamente. Ringrazio per l’opportunità che
mi è stata data per poter esprimere il mio sentire e così farmi conoscere un
pochino di più. Grazie e viva gli Alpini!