2022 Alpini soldati di pace - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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2022 Alpini soldati di pace

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ALPINI SOLDATI DI PACE
Fiamme Verdi Dicembre 2022 di Gen. Antonino Inturri



150 anni sono senz’altro un traguardo ragguardevole, ma nonostante l’età “avanzata” il Corpo degli Alpini gode di ottima salute.
Gli Alpini sono soldati dotati di un altissimo livello di efficienza psico-fisica e di disciplina, formati e addestrati per essere impiegati in ogni situazione, anche in condizioni ambientali estreme, e ovunque essi abbiano operato hanno costantemente offerto di sé l’immagine della concretezza, della professionalità, dell’affidabilità, della competenza, dell’altissimo senso del dovere e dell’abnegazione.
Il periodo storico preso a riferimento è quello del secondo dopoguerra. In una nazione ancora lacerata, divisa e da ricostruire, la ricostituzione dell’Esercito Italiano e, conseguentemente, delle unità alpine iniziò con l’adesione dell’Italia alla NATO nel 1949. Il 15 ottobre dello stesso anno venne ricostituita la Brigata alpina “Julia” e, a seguire, la “Tridentina”, la “Taurinense”, l’”Orobica” e la “Cadore”. Le Grandi Unità elementari con i battaglioni alpini d’arresto, i supporti e la Scuola Militare Alpina di Aosta andarono a formare così il IV Corpo d’Armata alpino.
Da qui in poi, per gli Alpini sarà un susseguirsi di impegni e impieghi senza soluzione di continuità. Già nel novembre del ’51, molti furono gli alpini a recarsi in licenza straordinaria per soccorrere borghi e famiglie sommersi dall’alluvione nel Polesine che colpì gran parte del territorio della provincia di Rovigo e parte di quello della provincia di Venezia (Cavarzerano). Nel giugno del ’57, tra il 14 e il 18, un’altra alluvione, questa volta nel Cuneese, in Valle Varaita, richiese l’intervento delle penne nere che nello specifico fu guidato e coordinato dai Comandi militari, contribuendo così a limitare i danni della calamità. Per giorni, gli artiglieri alpini fecero affluire viveri alle popolazioni isolate, aprendo mulattiere sui fianchi delle montagne.


Facciamo ora un salto in avanti di sei anni. È la sera del 9 ottobre 1963. Il 7° alpini viene messo in allarme. “Sembra che sia successo qualcosa di grave alla diga del Vajont. Un primo contingente di Alpini viene equipaggiato, caricato sugli automezzi e avviato verso Longarone. Ma in località di Polpet, presso Ponte nelle Alpi, deve arrestarsi e proseguire a piedi: alla luce delle torce elettriche, si nota chiaramente che la strada è pressoché inesistente, coperta di fango e cosparsa di massi, pietre e detriti vari. Ciò che si presenta alla vista dei militari ha dell’apocalittico. Un paesaggio di estrema desolazione, stravolto dalla furia delle acque, punteggiato di cadaveri e carcasse di animali. Il 6° artiglieria giunge sul luogo della tragedia la mattina del 10. La presenza degli Alpini a Longarone e nelle zone vicine prosegue per molte settimane... E proprio per dare sicurezza e conforto alla gente, un distaccamento di Alpini rimase attendato a lungo dopo l’emergenza sul greto nonostante la stagione ormai inoltrata”. È il racconto asciutto, tragico e commosso dell’allora Capitano Italico Cauteruccio, Comandante di compagnia al 7° alpini a Belluno. Per il loro eccezionale contributo, le Bandiere dei due reggimenti, il 7° alpini e il 6° da montagna, furono decorate con la Medaglia d’Oro al Valor Civile.
Nel novembre del ’66 si registrò un altro intervento, questa volta in Trentino-Alto Adige e nel Bellunese devastati dallo straripamento dei fiumi.
Ad intervenire, tra gli altri, gli Alpini della 65a compagnia del battaglione “Feltre” con sede a Strigno.
È di questi anni l’impiego di quasi tutti i reparti alpini nel contrasto al terrorismo altoatesino.
Attentati ai tralicci dell’alta tensione, raffiche di mitra e mine antiuomo. Gli attentati di quegli anni causarono comunque vittime tra le forze dell’ordine e i militari impegnati in tale attività.
Un episodio tra tutti, l’eccidio di Cima Vallona in cui perirono quattro militari, tra i quali un alpino bergamasco.
Ma l’appuntamento più amaro fu quello della sera del 6 maggio 1976. Fu la notte dell’Orcolat, il mostro che secondo il folklore friulano è rinchiuso sottoterra, in Carnia, e che quando si agita scuote le montagne provocando i terremoti. Tutto ebbe inizio alle 21,02 quando una micidiale scossa lunga 59 secondi che raggiunse i 6,4° della scala Richter distrusse piccoli e grandi comuni in Carnia, in Val Resia, nelle province di Udine e di Pordenone.
Nella notte intervennero tutti i reparti della Julia, per quanto scossi e in lacrime per la morte di ventotto commilitoni.
L’entità dei concorsi forniti dalla “Julia” fu impressionante e riguardò ogni aspetto dell’emergenza, dall’assistenza sanitaria, al sostegno logistico, al ripristino dei collegamenti e della viabilità ordinaria e ferroviaria, alla sorveglianza dei centri abitati evacuati.
L’impegno della “Julia”, e di tantissimi altri reparti dell’Esercito Italiano e stranieri, (https:// www.paolacasoli.com/2016/05/esercito-terremoto-del-friuli-6-maggio-1976-reparti-medagliati/), proseguì nei mesi successivi e, grazie anche al sostegno dell’ANA, contribuì alla ricostruzione del Friuli secondo i due principi fondamentali del “prima le fabbriche, poi le case e infine le chiese” e del “dov’era e come era” che riguardava soprattutto il ripristino dei centri storici.
Sull’esempio di quanto compiuto dagli alpini, il Governo italiano varò la Protezione Civile che purtroppo verrà impiegata già nel terremoto dell’80 in Irpinia e in Basilicata dove intervennero le penne nere dei battaglioni Edolo, Morbegno, L’Aquila e Cividale.
Inoltre, l’inverno successivo, furono distaccate unità alpine autonome impiegate sulla Sila calabrese in occasione di nevicate di eccezionale intensità che avevano isolato diversi Comuni e Frazioni montani.
E le penne nere abruzzesi furono ancora in prima linea nell’aiutare la popolazione della propria Regione a seguito di due scosse di terremoto che il 7 e l’11 maggio 1984 colpirono un’area dell’Italia centrale a cavallo tra Abruzzo, Lazio e Molise.
Sappiamo quanto la nostra Italia sia fragile, molto spesso a causa dell’imperizia e dell’incuria dell’uomo. E così, purtroppo, si passa dalla catastrofe della Val di Stava del 1985 all’ennesima alluvione con frane in Valtellina del luglio 1987. In questa occasione, gli alpini delle Brigate Tridentina e Orobica accorsero con immediatezza e rimasero sul posto fino al termine dell’emergenza assieme a quelli iscritti all’ANA.
Ma non ci furono solamente interventi per le Pubbliche Calamità.
Siamo alla fine degli anni 80 e l’evoluzione del quadro strategico internazionale dopo la fine della Guerra Fredda e gli eventi criminosi connessi con la stagione delle stragi di mafia e dei rapimenti in Sardegna diedero una svolta all’impiego dell’Esercito e quindi delle unità del IV Corpo d’Armata Alpino.
La prima missione di pace inizia nel maggio del 1991, tre mesi dopo la fine della prima guerra del Golfo. Il Reparto di Sanità Aviotrasportato della Brigata Taurinense venne incluso nel Contingente” ITALFOR-AIRONE”, impiegato nella missione “Provide Comfort” condotta su mandato dell’ONU allo scopo di assistere i profughi curdi delle regioni settentrionali dell’Iraq.
L’ospedale da campo di Zahko, gestito dagli alpini della Taurinense e dotato di attrezzature d’avanguardia, fornì assistenza alla popolazione civile e al personale della coalizione.

Mozambico - Operazione Albatros 1993

La successiva missione di pace degli alpini si svolse nel 1993 in Mozambico, Paese dell’Africa meridionale devastato da una guerra civile che aveva causato un milione e mezzo di vittime. All’inizio del 1993, l’ONU inviò in Mozambico l’ONUMOZ, una forza di 6500 uomini che doveva vigilare sul rispetto degli accordi sottoscritti dalle fazioni in lotta. Il Contingente “Albatros” costituito a livello reggimento, forte di 1030 caschi blu italiani, fu fornito dalla Brigata “Taurinense” e, successivamente, dalla Brigata “Julia”, rispettivamente su base 3° e 15° reggimento alpini. Il Contingente assunse la responsabilità operativa del controllo del Corridoio di Beira, via di collegamento principale tra lo Zimbabwe e l’Oceano Indiano, diventando di fatto “forza di riferimento” con funzioni di supporto logistico e sanitario a favore di tutte le forze ONU presenti nella Regione in ragione dell’alto livello di efficienza operativa e logistica dell’Unità.
A livello nazionale, negli stessi anni, si moltiplicarono le Operazioni di Concorso all’Ordine Pubblico e di contrasto alla criminalità organizzata.
I reparti alpini si succedettero nell’impiego in Sicilia, in Sardegna, Calabria e, con la sola Brigata “Julia”, lungo il confine nord-orientale. Si tratta delle Operazioni denominate “Vespri Siciliani”, “Forza Paris”, “Riace” e “Testuggine”.
Bosnia

L’impiego operativo proseguì anche con l’assistenza ai profughi bosniaci e albanesi e con l’interposizione dei battaglioni alpini tra le fazioni in lotta dopo l’estenuante guerra civile in Jugoslavia (ultima operazione, nel 1997, di un battaglione di leva, il “Tolmezzo”) e durante l’insurrezione del Kosovo.
Nel gennaio del 1997, elementi del 3° e del 9° reggimento parteciparono alle missioni Joint Endeavour e Constant Guard, condotte a Sarajevo e in altre località della Bosnia-Erzegovina tormentata dalla guerra civile.
Lo scopo della missione era di impedire scontri tra le fazioni locali, permettendo l’applicazione degli “Accordi di Pace di Dayton” firmati a Parigi il 14 dicembre 1995.
Ma appena spento il focolaio bosniaco, i Balcani ripresero fuoco questa volta in Kosovo, la provincia della Jugoslavia a maggioranza etnica albanese.
La Kosovo Force (KFOR), forza militare terrestre della NATO, entrò nel Paese il 12 giugno 1999 sulla base della Risoluzione 1244 dell’ONU con il compito di mantenere un ambiente sicuro e stabile, evitando scontri tra le fazioni e favorendo la creazione delle condizioni per la soluzione della crisi.
Gli alpini tornarono così nei Balcani quasi sessant’anni dopo le sofferenze della campagna di Albania e di Grecia.
L’11 febbraio 2000, il 3° reggimento alpini prese il controllo della città che i serbi chiamano Dakovica e gli albanesi Gjakova, per restarvi fino a giugno. Nei mesi successivi, il reggimento fu avvicendato dal 9° e poi dall’8° reggimento alpini.
Come accennato, i cambiamenti vengono imposti dalla geopolitica. La dissoluzione dell’URSS, la scomparsa dei blocchi ideologici, la cancellazione del bipolarismo hanno comportato il nascere di conflitti nei quali appare opportuno intervenire con unità specializzate e possibilmente composte da professionisti. Ricostituiti i reggimenti (1992), introdotto l’arruolamento di volontari a ferma breve e in servizio permanente e compiuta la soppressione delle Brigate “Orobica” e “Cadore” (la “Tridentina” verrà sciolta alla fine del 2002), il 1° ottobre 1997, il Comando IV Corpo d’Armata Alpino si trasforma in Comando Truppe Alpine.

Afghanistan 2003

Il 2002 è l’anno in cui si torna davvero in guerra. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU adotta la Risoluzione 1386 (20 dicembre 2001) che prevede lo spiegamento di una limitata forza di peacekeeping in Afghanistan, nella sola area della capitale Kabul, denominata ISAF (International Security Assistance Force), per supportare l’Autorità afghana ad interim nella transizione del Paese all’indomani della cacciata del regime talebano. La prima aliquota di alpini viene inviata a Kabul in maggio ed è una compagnia del Monte Cervino.
Nel gennaio 2003, nell’ambito dell’Operazione Enduring Freedom, la raggiunge il 9° alpini della Taurinense i cui 400 uomini proteggono le vie d’accesso allo scalo aereo della Capitale. Il reggimento si stabilisce a Khowst, 300 chilometri a sud-est di Kabul. Comincia così un’alternanza di reggimenti che porta a operare sul territorio reparti della Taurinense e della Julia. Nel 2003 un plotone rinforzato, composto da circa 40 uomini del Monte Cervino, viene inviato in Iraq dove è schierato e inserito all’ interno della Task Force “COBRA” nell’ambito dell’Operazione “Antica Babilonia” avviata nel quadro della lotta internazionale al terrorismo iniziata dagli USA con l'Operazione "Iraqi Freedom" per il rovesciamento del regime di Saddam Hussein.

Ma purtroppo si susseguono gli interventi nella Penisola dettati dalle calamità naturali. Andiamo al 2009, alle 3.32 del 6 aprile.
Il terremoto scuote un ampio settore dell’Abruzzo, devasta L’Aquila e decine di piccoli centri, uccide 309 persone e ne lascia altre 80.000 senza casa. Molti alpini del 9° reggimento hanno la casa danneggiata e parenti e amici sfollati, qualcuno ha delle vittime in famiglia, ma tutti intervengono senza indugio.
Nel 2010, la distruzione colpisce anche lontano dall’Italia, ad Haiti, dove un devastante terremoto causa oltre 220.000 vittime. Circa 900 militari italiani costituiscono il Contingente per l’operazione “White Crane”. Di questi, 200 sono alpini della Task Force a livello compagnia messa a disposizione dall’Esercito. Sono alpini del 2° reggimento Genio alpini di Trento, del 2° reggimento Trasmissioni di Bolzano, del 3° artiglieria da montagna di Tolmezzo e da alpini della Brigata Julia. Partito da La Spezia il 10 gennaio a bordo della portaerei Cavour, al suo battesimo, il Contingente raggiunge Haiti dopo 10 giorni. Si interviene con immediatezza per garantire acqua potabile ed energia elettrica, ripristinare le comunicazioni satellitari e assicurare l’assistenza sanitaria grazie a medici e infermieri specializzati della Marina Militare. Anche l’Associazione Nazionale Alpini partecipa all’opera di soccorso della popolazione civile con l’allestimento dell'ospedale da campo dell'ANA di Bergamo, l’impiego di sette medici nonché con la distribuzione di medicinali e viveri.
Nel 2010, Taurinense e Julia si alternano al comando del Comando Regionale Ovest (RC-WEST) nell'ambito della Operazione ISAF. Oltre ad addestrare le forze di sicurezza afghane tramite la missione NTM-A (NATO Training Mission Afghanistan, missione di addestramento in Afghanistan), vengono completate scuole, costruiti ospedali e poliambulatori, edifici pubblici e governativi, realizzate strade, infrastrutture militari, due centri di aggregazione per sole donne e il terminal passeggeri dell'Aeroporto di Herat.

Amatrice 2016

Ma purtroppo, nel nostro Paese, la terra trema ancora. Il 24 agosto 2016, un altro violento terremoto (la scossa più forte è di magnitudo 6,0) devasta i borghi di Amatrice e di Accumoli nel Lazio, di Arquata e di Pescara del Tronto, a pochi chilometri di distanza dai primi, oltre il confine con le Marche. In ottobre, altre scosse colpiscono i centri umbri e marchigiani ai piedi dei Monti Sibillini.
Per la prima volta interviene il Reparto Supporti Generali (alpini e mezzi specializzati per sopperire alle emergenze di pubblica calamità) del 9° reggimento alpini. All’inizio del 2017, un’aliquota ancora del 9° alpini parte per Misurata, sulla costa della Libia, dove la missione italiana “Ippocrate”, forte di 300 militari, ha realizzato e gestisce un ospedale da campo specializzato nella cura di feriti di guerra. Gli alpini, che tornano per la prima volta in Libia dopo le sanguinose battaglie combattute a partire dal 1911, assicurano la protezione dell’ospedale e del suo personale.

Diga di Mosul 2017

Nell’autunno del 2017 la Taurinense invia 500 alpini del 3° reggimento alpini a Mosul, in Iraq, per mettere in sicurezza e proteggere da possibili attacchi dell’ISIS la diga da cui dipende il rifornimento idrico di ampie aree del paese. La diga, costruita tra il 1980 e il 1986 per volere di Saddam Hussein, sbarra il fiume Tigri, è lunga 3,2 chilometri e alta 131 metri, e permette l’irrigazione dell’intera provincia di Ninive. La sua rottura o distruzione provocherebbe un’inondazione catastrofica, e darebbe un colpo durissimo alla fragile economia del Paese. Oltre a proteggerla, i genieri alpini devono esaminarne la solidità. Le immagini delle penne nere appese con i loro macchinari alle pareti della diga fanno il giro dei telegiornali.
Ma l’Operazione che a tutt’oggi rappresenta l’impegno più oneroso per l’Esercito in termini di uomini, mezzi e materiali è “Strade Sicure” condotta sul territorio nazionale ininterrottamente dal 4 agosto 2008, per esigenze di prevenzione e contrasto della criminalità e del terrorismo. Attualmente, sono impiegati 6.000 donne e uomini delle Forze Armate (di cui 5.798 dell’Esercito Italiano) con l’intervento ininterrotto anche delle unità delle due Brigate alpine. Al momento, il 3° reggimento da montagna è impegnato in Val di Susa.
Il resto è storia di oggi. Gli alpini continuano a operare senza soluzione di continuità in Italia e all’estero, dalla Val di Susa alla Lettonia, per condurre attività addestrative/esercitative e integrarsi con i Battle Group della NATO, al Kossovo, dove nel 2017 il 3° da montagna ha costituito la base del Contingente multinazionale del Multinational Battle Group West, in Libano dove nel 2018, per la prima volta, ha operato la “Julia” seguita, tre anni dopo, dalla “Taurinense” e nel 2020 ancora in Afghanistan con la “Julia” per il suo quinto mandato.
Ci aspettano altri 150 anni di imprese ardite, di dovere pericolosamente compiuto, di difesa del Paese e della pace, di supporto e sostegno là dove gli Alpini saranno chiamati.
Gli Alpini saranno ancora qui, come lo sono le nostre cime e le nostre valli, con lo sguardo rivolto sempre verso il futuro senza dimenticare il nostro passato, la nostra Storia, a osservare compiaciuti i nostri “bocia”, gli Alpini che verranno.

Gen. Antonino Inturri

Fonti utilizzate:
Alfio Caruso: “Una lunga penna nera”.
Stefano Ardito: “Alpini. Una grande storia di guerra e di pace”.
Esercito Italiano: “Rapporto Esercito 2021”.
Gen. C.A. Italico Cauteruccio: “Intervento degli alpini nella tragedia del Vajont”.
Panorama: “Terremoto del Friuli 1976, la "Julia" e gli angeli in grigioverde”.
www.paolacasoli.com
L’Alto Adige - Quotidiano di Bolzano.
L’Alpino -Rivista dell’Associazione Nazionale Alpini.
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