Angelo Bet
ANGELO BET
Dicembre 1998 di Renzo Sossai
UN "VECIO" DEL 3° RGT GRUPPO CONEGLIANO: ANGELO BET
Angelo Bet è nato a Santa Lucia di Piave il 2 settembre 1917.
Viene chiamato al servizio militare il 29 marzo 1938 ad Osoppo, ove inizia l’addestramento, per poi essere destinato a Tolmezzo alla caserma "Gen. Cantore" nella 13a Batteria Gruppo Conegliano 3° Rgt Art. Alpina Divisione Julia, con l’incarico di conducente e servente al pezzo.
Già dalla metà di aprile del 1939. Egli si trovava in Albania: infatti il 3° Art. Montagna Gruppo Conegliano con la 13a, la 14a e la 15a batteria faceva parte con altri reparti della Julia, del Corpo di Spedizione d’occupazione dell’Albania.
Fino all’autunno del 1940 l’attività è di routine.
In settembre la Julia, abbandonato il compito di presidio, raggiunge la zona di Podgradec (Lago di Ocrida) per poi trasferirsi nella zona di Erseke-Leskovik dalla quale in Comando di Stato Maggiore Italiano prevede di muoversi per attaccare la Grecia.
Il 28 ottobre 1940 alle ore 6 del mattino, l’Italia varca il confine greco dichiarando guerra allo stato ellenico.
Doveva essere, secondo le fantasiose e drammaticamente illusorie previsioni dello Stato Maggiore italiano, un conflitto lampo, si rivelò, invece, la prima grande tragedia della gloriosa Divisione Julia. Raggiungere Metzovo era l’obiettivo ordinato alla Julia, la quale con stoico eroismo arrivò a meno di mezza giornata di cammino della suddetta località epirota, tra l’11 e il 12 novembre 1940, al che dovette fermarsi perché accerchiata da numerosi battaglioni nemici.
In circa 15 giorni di strenue battaglie la Julia aveva perso 49 ufficiali e 1625 uomini fra sottufficiali e truppa, motivo principale: i greci si erano rinforzati sin prima dell’estate del 1940, richiamando persino le classi dei riformati e il loro esercito ben conosceva il clima e le insidie dei rilievi montuosi dell’Epiro.
Ecco il ricordo di Angelo Bet:
"Varcammo il confine sotto la pioggia battente, eravamo inizialmente 5 batterie, poi diverranno 36 in tutto il conflitto. Avevamo pochi muli per di più poco addestrati, calzavamo dei miseri scarponi con fasce, eppure, nonostante l’insidioso e irregolare terreno montuoso che ci costringeva a portare sui muli lo stretto necessario con viveri e vettovaglie misurati, riuscimmo, passando per il Ponte di Perati, strisciando fra i colpi nemici a conquistare terreno su terreno sin quasi a Metzova. Ad ogni battaglia più cruenta o più sporadica, tanti erano i nostri compagni lasciati sul campo"
La Julia con pochi viveri e munizioni, stremata nel fisico e nel morale, resistette fino all’arrivo dei rinforzi, poi dovette, a seguito della controffensiva incalzante dell’Esercito greco, ritirarsi entro il confine albanese, ripassando con dure perdite il Ponte di Perati, l’unico non distrutto dal nemico.
Per tutti il 1941, con alcune soste per i ripristino delle forze, la Julia assieme alle altre Divisioni Alpine venne impegnata strenuamente da un nemico mai domo.
"In quei frangenti – come ricorda il nostro Angelo Bet – per la scarsità del rancio, i comandanti diedero l’ordine di macellare alcuni muli"
I greci si arresero solo il 22 aprile 1942, dopo che ai corpi italiani ebbero fato man forte le armate tedesche reduci dal fronte di Romania.
La Vojussa, il fiume che attraversa buona parte dell’Albania, era rossa del sangue dei nostri alpini.
Con la nave "Principe di Piemonte" il nostro Angelo Bet, assieme agli altri reduci del 3° Art. Montagna, nel marzo 1942 ritornò dal fronte, con sosta nell’Albania settentrionale ove per alcune settimane vennero rifocillati e curati per rinforzare la stremata Divisione Julia.
Come disse l’indimenticabile autore di "Centomila gavette di ghiaccio" Giulio Bedeschi, reduce dai fronti di Grecia/Albania e di Russia e autore inoltre di "Fronte greco/albanese: C’ero anch’io", questa campagna era stata "sbagliata nelle premesse, sbagliata nelle impostazioni, sbagliata nell’organizzazione, negli intenti e nella conduzione sia politica che militare ad ogni più alto livello".
Anni di autarchia avevano portato in Italia una effettiva povertà. Nel periodo bellico, in certi momenti la sopravvivenza fu legata anche ai pacchi mandati al fronte dai familiari che arrivavano tutti già precedentemente aperti. Come del resto la corrispondenza che, prima di arrivare al destinatario, veniva letta e forse in certi casi censurata. Il regime controllava così lo scoramento al fronte.
Tornato in Italia ad agosto, Angelo Bet assieme ai suoi commilitoni apprese che la rifondata Divisione Julia era ormai prossima ad incominciare un’altra avventura.
Già nella primavera del 1942, si vociferava di un prossimo invio di truppe alpine in Russia. Si ritenevano particolarmente adatte per vincere le asperità del Caucaso.
Ma il protrarsi del conflitto a Stalingrado e le macroscopiche ed errate valutazioni sullo sviluppo della Campagna, costrinse lo Stato Maggiore Italiano ad inviare Julia, Tridentina e Cuneense a fronteggiare il nemico sulla riva destra del Don. Voleva dire, concedere un vantaggio incolmabile ai russi.
Le truppe alpine non erano adatte a fronteggiare il nemico sulle infinite distese della steppa russa. Agli autoveicoli e alle armi automatiche russe, gli alpini potevano solo contrapporre i loro muli e i loro moschetti.
Partirono da Gorizia con le tradotte ai primi di agosto; fu un viaggio quasi interminabile, durato 15 giorni. Izjum era il capolinea delle tradotte ferroviarie verso il Don, da lì dovettero affrontare altre due settimane di marcia a piedi sotto un sole cocente.
Mentre altre divisioni erano concentrate a rispondere alle schermaglie del nemico, la Julia si appostava nei pressi di Rossosch. Era quasi autunno e urgeva preparare i ricoveri sotterranei, scavando lungo la linea del fronte.
Stava arrivando il terribile inverno russo che pesò notevolmente sull’esito finale dell’Operazione Barbarossa. A parte sporadici tentativi di infiltrazione da parte di qualche pattuglia di entrambi gli schieramenti, tutto filò abbastanza tranquillamente sino all’11 dicembre 1942.
Il Don completamente ghiacciato avrebbe ora favorito i Russi ed era nell’aria un possibile attacco, ma non si pensava probabile una tal offensiva con due armate, composte in totale da 125 battaglioni di fanteria dei quali 25 motorizzati con 754 carri armati, 300 cannoni contro carro, 200 lancia razzi Katjuscia e le più potenti Vaniuscia ed infine più di 2000 pezzi di artiglieria, che sfondarono la parte di fronte retto da due sole divisioni di fanteria "Cosseria e "Ravenna".
Iniziò così l’azione vera e propria della Julia, chiamata in soccorso dei malcapitati fanti.
Il 18 dicembre, dopo alcuni giorni di marcia, il 3° Art. montagna assieme alle altre forze della Julia, giunse a Mitrofanowka ove incrociò i rari sopravvissuti della "Cosseria" che stavano indietreggiando sull’incalzare del nemico.
Già in quei giorni, con la temperatura costantemente sui 30/35 gradi sotto zero, c’erano stati i primi congelamenti e alcuni muli erano morti assiderati. Alla Julia fu ordinato di tenere a qualsiasi costo le postazioni.
Fu un continuo susseguirsi si atti di eroismo con i russi che scorrazzavano avanti indietro con i loro carri, padroni della steppa e l’esercito italiano alla loro mercé, armato di pezzi d’artiglieria incapaci di scalfire la dura corazza.
Ma la Julia non cedette un metro e fu un Natale feroce e tremendo.
Durante tale periodo, oltre ai morti, 2000 furono gli assiderati e i congelati nelle trincee degli alpini. Davanti a Novo Kalitwa e Jvanowka si consumò la tragedia e la strage di una intera divisione.
Anche Angelo Bet subì il congelamento ai piedi. A gennaio 1943 il freddo toccò meno 40° ed oltre.
Ai russi perfettamente equipaggiati con calde tute mimetiche e calzanti i "Valenki", stivali di feltro senz’altro più idonei a riparare dal gelo, noi contrapponevamo i nostri alpini tremanti dal freddo, con i loro cappotti di lana autarchica e gli inutili scarponi chiodati.
Nonostante ciò la Julia riuscì a tenere fino a 35 chilometri di fronte.
Angelo Bet, mutilato per congelamento, venne richiamato in Italia. Fu curato a Rimini, ove il padre gli recandogli visita a stento lo riconobbe.
Continui, in quei giorni di atroce dolore fisico, furono i pensieri rivolti ai compagni rimasti in guerra, con la ricorrente domanda: "li rivedrò ancora?".
La convalescenza terminò all’incirca quando venne l’8 settembre 1943. Tale data segnò il ritorno alla vita civile per Angelo Bet. Ancora convalescente e dolorante, sfibrato da queste dure esperienze di guerra, dovette rimboccarsi le maniche e tornare ai lavori nei campi, essendo il padre già anziano e dovendo così sostenere il peso della famiglia.
Sino all’aprile 1945, dovette ancora fuggire a tutti i rastrellamenti dei nazi-fascisti che reclutavano persone per l’esercito della R.S.I. Alla fine del conflitto venne decorato con due Croci di Guerra per le Campagne di Grecia e di Russia.
Pur avendo un "dossier" di documenti e cartelle cliniche che certificavano il gradi di invalidità provocata dagli eventi bellici, non gli venne e non gli viene tuttora corrisposta una adeguata pensione. Ma tutto ciò non ha attenuato la fierezza d'aver fatto parte del glorio gruppo "Conegliano". L’amore per gli alpini lo portò ad adempiere per oltre vent’anni il compito di Alfiere del Gruppo di Mareno di Piave, ove si era trasferito.
Tornata a Santa Lucia, volle iscriversi al nostro gruppo, partecipando volentieri alla vita della nostra comunità alpina. Lo ricordo ancora, pur con tutti i suoi cronici problemi, partecipare con palpabile gioia ed entusiasmo all’Adunata di Vicenza 1991.
In questo frangente, ho cominciato a capire il perché l’alpinità possieda questa tale forza di spirito.
E’ fatta di uomini veri.