Franco Magnani - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di CONEGLIANO
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Franco Magnani

Gen. FRANCO MAGNANI
L’eroica vita del Gen. F. Magnani rievocata da Aldo Rasero
Fiamme Verdi Aprile 1965

Il Generale Magnani è sempre stato un caro amico della nostra Sezione e lo abbiamo avuto presente alle nostre più notevoli manifestazioni che Egli frequentava sempre volentieri specie quando fu a Belluno quale Comandante del 7° Reggimento nato proprio qui nella nostra Città.
Alla notizie della Sua improvvisa scomparsa, il Presidente Comm. Curto ha inviato alla Famiglia Magnani il seguente telegramma:
«Costernati dolorosa notizia repentina scomparsa eroico carissimo alpino Generale medaglia d’oro Magnani, alpini Sezione A.N.A. Conegliano chinano labaro et gagliardetti con profonda commozione et rimpianto».
Al Colonnello Aldo Rasero — notissima figura di alpino e di scrittore — abbiamo chiesto di rievocare per «Fiamme Verdi» l’opera immensa e valorosa di Franco Magnani, ed egli ha gentilmente aderito malgrado i suoi molteplici impegni militari ed associativi; a lui, Amico di Magnani e nostro, esterniamo la gratitudine degli Alpini coneglianesi e dei lettori del nostro giornale
In campo alpino si è ammainata un’altra bandiera. La magnifica figura di alpino e di soldato di Franco Magnani è salita al cielo degli Eroi a ingrossare le file delle  penne mozze» di Cantore.

Bandiera di italianità in prigionia, ha continuato ad esserlo in Patria dove, additando all’ammirazione i giovani alpini che vigilano ai confini, non mancava di bollare con severe espressioni qui pochi smidollati che tentano di esimersi dal loro sacro dovere accampando cervellotiche crisi di coscienza.
Nato a Mede, in provincia di Pavia, cinquantasei anni or sono, dopo aver prestato servizio di prima nomina come sottotenente degli alpini è richiamato a domanda ed inviato in Tripolitania. Il suo spirito ardente e giovanile trova sfogo nella dura e avventurosa vita dei meharisti che conduce con entusiasmo per lunghi anni fino a quando viene inviato in Africa Orientale. La guerra gli da modo di far rifulgere le sue doti di soldato e di combattente, il suo petto si fregia di due Croci di Guerra al Valor Militare e quando rimpatria, nel 1937, è tenente per meriti di guerra.
L’entusiasmo del vecchio combattente coloniale lo accompagna nei reparti alpini e sul fronte greco-albanese, nel 1940. è ferito in combattimento e decorato di una medaglia d’argento al valor militare. Sul fronte russo, capitano dell’8° alpini, si guadagna la promozione a Maggiore per merito di guerra che gli verrà conferita al suo ritorno in Patria.
A Valuiki, nel gennaio 1943 viene fatto prigioniero con i resti della gloriosa Divisione «Julia» ai quali la sorte non ha riservato un destino pari al loro leggendario valore. Durante dodici anni di prigionia gli stenti, le privazioni, le dure punizioni incidono sul suo fisico, ma ne rinvigoriscono l’orgoglio di italiano e di soldato. E la motivazione della medaglia d’Oro al Valor Militare concessagli ne è fulgida testimonianza:
«Magnifica figura di ufficiale e di combattente, già ripetutamente distintosi per l’incrollabile fede e l’eccezionale sprezzo dal pericolo — specie in una difficile e delicata operazione di guerra precedente alla cattura — durante la lunga prigionia sfidava a viso aperto minacce e sevizie, punizioni e condanne, tenendo alto e immacolato il nome di soldato e di italiano. Impavido nell’affrontare mortali sofferenze, tenace nel sopportarle, indomabile contro la persecuzione del nemico e l’avverso destino, dava prova di elevate virtù militari ed esempio sublime di incorruttibile onestà, di onore adamantino. Per il suo dignitoso contegno di assoluta intransigenza con le leggi del dovere guadagnò il martirio dei lavori forzati. Dimostrò così che si può anche essere vinti materialmente e restare imbattuti, anzi vittoriosi, nel campo dell’onore.
Guerra di Russia 1942 - 1954».
Rientrato nei ranghi della giovane Brigata Alpina «Julia» comanda il «Feltre» e successivamente il «Gemona» da lui ricostituito. I suoi alpini, come quelli dei 7° che comanda dopo la promozione a colonnello, trovano in lui un comandante appassionato e capace che, oltreché l’addestramento, cura il culto della tradizione e del valore alpino senza mai parlare del suo valoroso passato.
Assume poi il comando della Scuola Militare di Napoli la «Nunziatella». Il suo animo paterno si impone all’ammirazione dei giovani allievi che io adorano per la sua azione educativa e di comando veramente proficua ed efficace.
Promosso generale comanda la Brigata Alpina «Taurinense ». Lo ritroviamo spesso, alpino tra i suoi alpini, e la sua caratteristica imponente figura, incorniciata dalla barba bianca, spicca tra quelle degli alpini dell’Associazione che si riuniscono per le loro festose adunate.
La morte, che tante volte gli era passata accanto nella sua avventurosa vita di soldato, lo attende beffardamente sull’autostrada. Di ritorno da Aosta, dove era stato a salutare il figlio ufficiale degli alpini, esce di strada al volante della sua macchina. Le sue condizioni sono preoccupanti, ma la sua forte fibra resiste strenuamente e quando già parla della sua brutta avventura come di un lontano ricordo il collasso e la morte improvvisa.
Sono le ore 17 del 1 marzo.
Gli sono accanto con la moglie i due figli, uno ufficiale alpino e l’altro ufficiale medico.
Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale Giuseppe Aloia dirama un Ordine del Giorno all’Esercito.
«Con profondo cordoglio partecipo l’improvvisa scomparsa della Medaglia d’Oro Generale di Brigata Francesco Magnani.
Con Lui, l’Esercito perde una eroica figura di Combattente, il Suo valore rifulse su molti campi di battaglia, dalle torride sabbie libiche alle ambe dell’Africa Orientale e alle impervie giogaie greco-albanesi, per assurgere ad epico eroismo nella campagna di Russia.
Durante il duro travaglio di una lunga prigionia, fu esempio di incrollabile fede e di indominabile dignità.
L’Esercito inchina le sue Bandiere nell’estremo saluto alla Medaglia d’Oro Generale Francesco Magnani, che addita al esempio alle nuove generazioni.
Roma, 2 marzo 1965»
Le Forze Armate gli tributano gli onori dovuti al suo rango di soldato e di combattente. I numerosi alpini lo accompagnano con l’affetto che ha saputo meritarsi. La folla di Torino, al passaggio delle sue spoglie sull’affusto di cannone, dei reparti in armi con musica e Bandiera, del suo medagliere, si inchina riverente e commossa. Il suo paese natio lo riceve con dolore e fierezza.
Cantore nel Cielo degli Eroi lo accoglie con un abbraccio.
ALDO RASERO

MAGNANI VIVO
Fiamme Verdi Giugno 1965 di Tom Jmson

La stampa alpina ha ricordato con affettuoso dolore il Generale Franco Magnani recentemente scomparso. Era un po’ d’obbligo sottolineare l’eroismo che Egli ebbe ad esprimere durante e dopo l’odissea di Russia e che gli valse il conferimento delle medaglia d’oro ai valore militare ma indubbiamente, affinché la lezione terrena di tale Uomo venga — più che a destare stupore ed ammirazione — capita e maggiormente seguita, è opportuna una indagine più profonda nel tempo e della quale trarre gli elementi più semplificati e palesi che già anticipavano le posizioni eroiche che avrebbe assunto il combattente Magnani.
Questi elementi nuovi mi vengono recati dal dott. Tom Jnsom il quale presenta un Magnani non certo contrastante con quello che abbiamo conosciuto ma indubbiamente più completo tanto da sentirlo ancora operante e quindi vivo.
Tom Jnsom, che ha fatto la guerra da valoroso e da scienziato, dirà anche a voi lettori come conobbe e va conosciuto Magnani. Degli uomini egli — medico — conosce profondamente il corpo, ma come pochi sa valutarne lo spirito grazie al suo non comune perfezionamento interiore maturato dagli studi (tra l’altro conosce almeno venti lingue e dialetti di ogni continente) e dagli avvenimenti dai quali mai è retrocesso nella convinzione — provata — di bene operare per la Patria e la società.
Non premetto questo per presentare l’amico Jnsom (ne avrei un rimprovero dalla sua esemplare modestia) ma perchè si possa percepire l’importanza di quanto egli dice a me e ai lettori con la sua «documentazione» limpida, rigorosa e genuina sul Generale Magnani.
Carissimo Altarui,
scrivo a te, in confidenza, perchè sono convinto che soltanto un autentico alpino può capire un altro autentico alpino.
Voglio parlarti di Franco Magnani.
Tutti o quasi tutti conoscono di Lui le manifestazioni più gloriose ed eroiche ed il parlarne, per quanto con spontaneità di sentimenti, assume per effetto di chi legge od ascolta, un carattere retorico.
Molti giovani, leggendo, credono che l’uomo nasca eroe, ed Eroe diventi fatalmente, sicché sentendosi normali, comuni, banali nell’ordinario vivere, non sentono né emulazione né incitamento ad emulare come puledri in strupo, senza genealogia, che accanto ad altri puledri di razza, si sentono brocchi prima di esserlo e trascurano perfino di paragonarsi, magari da lontano con quelli che saranno, e dovranno essere cavalli da corsa.
Ciò premesso ritengo che sarà giusto e legittimo per la burocrazia militare che si scriva e si parli del Generale di Brigata Francesco Magnani; ma io sono certo, come di stare in questo momento, scrivendo a te, che lassù, Franco Magnani ha fatto un ruggito, perché
il Generale di Brigata Francesco Magnani non può essere Lui; Lui è il Generale di Brigata Franco Magnani.
E ti dirò perché ne sono sicuro. Ho conosciuto nel rigidissimo inverno del 1928-29 l’allievo ufficiale degli Alpini Franco Magnani, o se vuoi Magnani Franco, perchè eravamo nella medesima 2° Compagnia, alla Caserma «Italia» in Milano.
Le due compagnie erano state formate seguendo criteri precisi (non ho detto logici): messi gli allievi in ordine alfabetico, la prima compagnia avrebbe riunito quelli dall’A in poi e la seconda avrebbe accolto quelli dalla Z in su. Il punto d’incontro sarebbe stato determinato dalla proporzione numerica.
Le due compagnie risultavano così necessariamente equilibrate per numero.
Se nonché ho saputo, per radio-scarpa, che la cosa non era potuta finire con la dovuta precisione perchè la «I» che di solito era poco rappresentata in quel tempo registrava due unità (per la cronaca Insom ed Introito) -
Avrebbero dovuto in ossequio alla proporzione numerica registrare il primo nella prima compagnia il secondo nella seconda. Ma allora si sarebbe sacrificato il criterio alfabetico.
Insomma il comandante della 2° compagnia la spuntò ed i due «I» entrarono e rimasero nella 2°.
Tra la I e la M c’erano poche unità e quindi poche brande di distanza in camerata.
Nella prima camerata io ero il primo e Franco era l’ultimo.
Tutto questo spiega i rapporti di relazione.
Franco Magnani era il più alto di tutti gli Allievi Ufficiali della Scuola, compresi i Bersaglieri che coabitavano. Poteva guardarsi negli occhi, in posizione normale, soltanto col Colonnello Comandante, Cavaliere di S. M. Seissel d’Aix.
Tra persone di struttura atletica era il più vistoso e dotato, vuoi per l’armonico sviluppo del torso e degli arti, vuoi per la necessariamente dilatata espansione toracica e delle spalle.
Non l’ho mai visto adirato (e penso che ciò dipendesse dal suo naturale buon carattere di persona sana e di robusta costituzione, e dalla prudenza, nei suoi confronti, dettata al prossimo dal buon senso) mentre si arrabbiava facilmente.
Allora muoveva lentamente le braccia a mani aperte a mo’ di pale (che chiudeva ed apriva come tenaglie), si metteva a gambe divaricate, bene piantate in terra, gonfiava il vasto torace e, minacciando cogli occhi, apriva le mascelle e lanciava un ruggito.
Dalla prima volta che manifestò così il suo stato d’animo, Franco Magnani fu detto e rimase il Leone della Lomellina; e quando fu?
Dapprincipio non ci conoscevamo per nome bensì soltanto per caratteristiche somatiche. Io ero «il barba», Lora Lamia ora «l’occhialuto» e si distingueva da me, occhialuto pure, perchè non aveva la barba, De Laurentis era «panza» anche se in effetti non fosse per nulla un panciuto, ma in una comunità di gente senza pancia, tutti veltri, lui poteva sembrare panciuto, lui ce l’aveva, Zaretti era il «pertichino» perchè tra la norma il più alto ed affilato, c’era un trentino di cui in questo momento mi sfugge il nome, che incominciava con Z, che era il «sofo» per il suo aspetto meditativo, e c’era l’«alto» che era Magnani perchè usciva dalla «norma» di media; lui ed io uscivamo di norma per motivi diversi, lui perchè avrebbe dovuto essere in Artiglieria da Montagna, quindi «panzalonga» io perchè avrei dovuto essere in Sanità.
Per prendere dimestichezza coi nomi di ciascuno, si ripetevano gli appelli e contrappelli e le adunate e non c’è dubbio che i primi ad applicare a ciascuno il suo vero nome furono i Graduati, i Sottoufficiali e gli Ufficiali.
Durante un’adunata accadde che si conobbero i nomi anche tra noi e qualcuno chiamò Magnani Francesco: e quella fu la prima occasione nella quale l’«alto» manifestò d’essere arrabbiato nel modo che ho detto più su.
Incominciava col lento drizzarsi della testa sul collo e facendo lo sguardo torvo e guatatorio, poi allungava e stendeva le braccia, quindi apriva e chiudeva le mani, ecc. fino a terminare nel ruggito più o meno rimbombante,
— Sia ben chiaro a tutti che io mi chiamo Franco ed intendo che nessuno si provi a chiamarmi Francesco, ché se mio padre e mia madre l’avessero voluto avrebbe potuto essere anche il mio nome, come Eusebio o Prospero ed io l’avrei gradito lo stesso. Ma loro mi hanno chiamato Franco. Non vorrei diventare un Cecco, un Ciccio o cosa so io.
Press’a poco questo è stato il suo discorso: e tutti ne hanno tenuto conto debitamente.
Ma un giorno accadde che venne all’adunata un Ufficiale, il Tenente Canale, all’aspetto un damerino e di femminino aveva la timidezza, l’arrossire ed impallidire dal volto facile e ci chiamò per cognome e nome per vederci in faccia.
Ad un certo punto scandì:
— Magnani Francesco...
Nessuno rispose.
Ripeté controllando lo scritto e parlando più forte:
— Magnani Francesco...
Tutti immobili sull’attenti senza fiatare.
Io avevo già capito.
Il Tenente Canale arrossì e gridò:
— Magnani Francesco...
Allora, rischiando di infrangere il regolamento, gli Alpini incominciarono a sbirciar e poi a muovere la testa come per cercare chi fosse l’appellato e se ci fosse. Infatti c’era ed anche lui, più alto del solito, sbirciava sopra le teste degli altri quasi cercasse qualcuno.
— Insomma — gridò il Tenente Canale — non c’è nessun Magnani Francesco tra voi?
Fu allora che Magnani fece un passo avanti e disse:
— Magnani sono io; ma il mio nome è Franco.
— Ma qui è scritto Francesco — ribatté il Tenente.
— Non l’ho scritto io — replicò il Leone della Lomellina.
Così deve risultare dai registri dello Stato Civile — fu la precisazione dell’Ufficiale.
— Perchè Franco non c’è sul calendario rispose calmo ed imperturbabile Magnani.
— Ne riparleremo dopo — concluse il Tenente — ritorni al suo posto
Chi si aspettava che Franco Magnani difendesse l’inalterabilità del suo nome solo di fronte alle persone sulle quali poteva esercitare la sua preponderante prestanza fisica evidentemente fu deluso.
E fu un’altra lezione inequivocabile sull’Uomo.
Non ho parlato o detto a vanvera, né per mera presunzione, che il Generale di Brigata, Medaglia d’Oro, Eroe, ecc, non è Francesco Magnani, bensì Franco Magnani e non può essere che lassù, vicino a Cantore Lui non abbia fatto un ruggito.
Ne sei convinto caro Altarui?
E Franco Magnani non usò mai, ne sono certo come se parlassi di me stesso, in nessuna occasione dovunque e comunque, della sua preponderante prestanza fisica, abusando per sé medesimo, bensì sempre ne usò per soccorrere, aiutare, giovare ad altri, per correggere ingiustizie, per -salvare ed affermare l’onore e la dignità della Divisa, del Soldato, dell’Italiano più che la sua propria vita ed esistenza.
Ciò Io distinse, senza dubbio da molti altri, ne sono sicuro fin da bambino anche se non sono cresciuto con Lui.
Sinceramente umile, ma consapevole, Egli approva le mie parole ed i miei pensieri, perchè sono veri, non puzzano di adulazione, altrimenti... ed Egli intendeva migliora sempre se stesso anche per educare ed istruire con l’esempio.
Tutti così, o meglio di Lui, avrebbe voluto gli Uomini intorno a sé: non pretendeva lo fossero; ma voleva che ci si provassero. Ecco: e non tollerava il complesso del brocco. A chi non ce la faceva, provando, era sempre pronto e disposto a porgere una di quelle sue possenti mani, o se opportuno e conveniente, allungare uno dei suoi non meno possenti piedi...
Questo, Franco Magnani, vuole che si dica, non tanto per lui bensì per gli altri, per non essere morto, per non essere un Cimelio tra i Cimeli, ma per essere «vivo» imperituro, presente ad ogni Uomo degno di tal nome e meglio se Italiano.
Non può bastare a Lui la continuità fisica e morale, che, sono certo, è nei suoi Figli, Egli vuole continuare a parteciparvi come è nel suo diritto naturale e sancito da un codice che non ammette errori, revisioni od interpretazioni: quello dell’Onore e dell’Eroismo.
Ed ora ridiscendiamo alla rispettabile anche se imperiosa materialità, alla banalità.
Nei frequenti successivi contrasti di opinioni tra Alpini e Bersaglieri il Leone della Lomellina interveniva sempre, per lo più da lontano, facendo udire il suo ruggito e... bastava a temperare ogni contrasto, che, se per avventura sembrava essere troppo acceso per normalizzarsi, allora, dopo aver ruggito, il Leone si faceva vedere, e se ancora non bastava, lentamente si avvicinava minacciando gli uni e gli altri con assoluta imparzialità, ottenendo efficacissimi effetti.
Era un paciere che non teneva conto del numero né della qualità dei contendenti, ed aveva ottime ragioni per farlo.
La barba a pizzo dei sottoscritto fu tollerata tenendo conto del fatto che ero per età il più anziano e che ufficiosamente tutti sapevano quel che ufficialmente era assolutamente ignorato, cioè ero medico, laureato in Medicina e Chirurgia.
Allora tentò ed ebbe fortuna l’allievo Rho, bergamasco, il quale poté farsi crescere una barba da capra: frattanto anche Magnani si fece crescere una bella barbetta alla Sandokan.
Così nel giro di pochi mesi, proprio nella 2° compagnia, ci furono tre pizzi. E ciò contribuì a formare, tacitamente, un complesso da Tre Moschettieri, ciascuno a ruolo indipendente tra loro, ma come une persona sola nei rapporti con gli altri.
Ho detto tacitamente perchè nessuno dei tre avrebbe tollerato o permesso una distinzione non prevista né sancita dal Regolamento Militare e qualcuno che vi aveva accennato, con buone intenzioni e piacevolezza, si persuase che era cosa del tutto inopportuna perché reagirono tutti e tre (e sarebbe bastato uno soltanto).
Durante il campo, con base a Morbegno, la nostra Compagnia ebbe il compito di fare una «passeggiata» sul Pizzo dei Tre Signori.
Ai tre, di cui sopra, giunti sul colle, ammantato di neve, seguiti da qualche altro del bergamasco (che gambe e che fiato quei cammelloidi!) venne la voglia di salire in vetta, anche perchè la sosta della «mezzorina » era passata da un pezzo e cambiare l’acqua al... radiatore era una misura quanto mai opportuna.
Sicché i tre barbuti, lasciato il colle, si inerpicarono in vetta, dove appena giunti l’uno calcando le orme dell’altro, si ritrovarono accanto e ritti in piedi.
Senza un segnale convenuto né accordi preventivi, ciascuno per conto suo e riservatamente, provvide alla bisogna.
Arrancando, in quel momento, sopraggiungeva un quarto, uno dei bergamaschi, il quale considerato lo spettacolo, scattò qualche foto e poi ridiscese.
I tre barbuti si riunirono poco dopo alla compagnia in procinto di ritornare alla base.
Quando dopo qualche giorno furono stampate le fotografie dei tre barbuti, tutti intenti, eccetera, ben stagliati tra la neve candida ed il cielo azzurro cupo, riconoscibilissimi, il fotografo passò momenti di ansia.
Come l’avrebbero presa i tre interessati?
Prima la fecero vedere a Rho, perchè era bergamasco come il fotografo; Rho senza commenti la fece vedere a me che sapeva più portato o scherzare che a prendere le cose sul serio, ed io, incerto, ma per l’occasione sorridente, la portai a Franco.
Come la vide parve andare tutto per il meglio; ma quando l’ebbe osservata più attentamente e notò i particolari, il mio sorriso si attenuò.
Certamente egli stava combattendo seco stesso... poi chiuse ed aprì lentamente la pala sinistra (con la destra reggeva la fotografia) ma dalla sua bocca non uscì il temuto ruggito, bensì una risata più rumorosa che mai.
Approfittai del momento favorevole, gli presi di mano il documento e sotto con mano ferma scrissi: «I tre signori del pisso che pissa sul Pisso dei Tre Signori».
La restituii a Franco che allora stentava a leggere il veneto, ed io gliela lessi come si conviene.
Un’altra risata omerica mi passò sopra la testa, malgrado il mio metro e settanta.
Diventò serio,quasi bruscamente, e con gesti lenti e solenni, tirò fuori la sua penna e vi aggiunse qualcosa che evidentemente mancava: la data.
Potrei ricordare molti altri aneddoti assai più comuni e banali di questo; ma per dimostrare soprattutto ai giovani, a quelli che hanno il complesso del brocco, che a parte le proporzioni fisiche e le caratteristiche somatiche che ognuno ha e riceve diverse dai genitori, c’entrino o non c’entrino i cromosomi, questo e non diverso era Franco Magnani, eroe e Generale di Brigate nella sua semplicità conforme l’ambiente e la situazione.
Diceva un giorno Franco agli arrabbiati con le matite della Fureria in dotazione alla Scuola:
- Non scegliere la matita con gli occhi: provala.
E qui c’è tutta o quasi tutta la Sua Scuola.
Questo è il cittadino borghese Franco Magnani entrato con me nella Caserma di Milano nel rigidissimo inverno del 1928-29; questo è l’Allievo Ufficiale degli Alpini Franco Magnani vissuto con me durante il periodo di istruzione ad addestramento a Milano e Morbegno dal Pizzo dei Tre Signori al Pizzo Badile, al Monte Disgrazia; questo è il Capitano degli Alpini Franco Magnani come l’ho incontrato in una fredda e grigia giornata d’inverno ad Udine al suo glorioso ritorno dalla Russia; questo è il Colonnello Franco Magnani come l’ho trovato nella intimità familiare a Mede Lamelima dove ho osato, e Lui ha permesso, entrare, e che poi più volte ho rivisto a Treviso, a Montebelluna ed altrove.
Non ho conosciuto il Generale di Brigata Franco Magnani; ma sono sicuro che non poteva essere diverso da quello che era stato, è e rimane.
Non è Lui che intendo onorare, né la Sua memoria: è ciò ch’Egli ha inteso che fosse Onorato, Amato, e Ricordato come Egli onorò, amò e ricordò in ogni momento della Sua normale ed eroica vita, col sorriso, colla bonaria minaccia, anche negli atti più banali e meno impegnativi del vivere.
Giovani che nel dubbio titubate, nell’incertezza non credete-, nella ignoranza non sapete a chi e cosa credere, specchiatevi, e non sarete delusi né illusi; questo mi sussurra quella voce che sapeva ruggire, tuonare e carezzare e che io sento il dovere di registrare, per voi, per noi, per tutti anche per Lui.
TOM JNSOM
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