Giovanni Battistella - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
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Giovanni Battistella

Giovanni Battistella, 100 anni alpino nel cuore e nell’anima
Fiamme Verdi Giugno 2015 di Gianfranco Dal Mas

Il decano della Sezione ANA di Conegliano sfila al Triveneto accompagnato dal nipote alpino Christian, racconta la sua naja, la sua guerra e la sua “villeggiatura” in Albania

Nel ‘36 è arruolato nel 3^ Artiglieria da Montagna Gruppo Conegliano a Osoppo.
In caserma si mangiava bene, ricorda Giovanni, ma il vino era pessimo e spesso rimaneva sulla tavola, si vociferava che fosse fatto col sangue di bue. Dopo sei mesi viene rispedito a casa, in congedo per motivi familiari: il fratello Domenico (classe 1890) era caduto sulle Tofane nella Grande Guerra.
Dal marzo ‘41 al settembre ‘42 Giovanni è impegnato sul fronte albanese. Li avevano caricati tutti su un treno diretto a Brindisi e per la gran parte dei suoi commilitoni era la prima volta che vedevano il mare e il resto d’Italia. Se ne stavano tutti seduti sui carri bestiame con le gambe penzoloni guardando fuori meravigliati.
Poi in nave fino a Durazzo e quindi a piedi sulle montagne. Si dice che dal punto di vista militare quella di Albania fu la più sporca e stupida di tutte le guerre. Perché fu la guerra dei pidocchi, del fango, della fame. Tanti morirono di freddo in montagna, altri di malaria in pianura.
Se si esclude la drammatica ritirata del Don, la guerra in Albania fu peggiore anche di quella di Russia. Ma Giovanni Battistella ebbe la fortuna di non essere mai impegnato in prima linea.
L’Albania fu l’inizio di quella che, se si eccettua la concitata fuga dopo l’8 settembre, per lui (lo ripete sempre) fu come una lunga villeggiatura. Ricorda che in Albania dovette anche cimentarsi in un’operazione di grande delicatezza, quale quella di occuparsi della corrispondenza rosa di alcuni commilitoni. C’era, infatti, chi a casa aveva la morosa ma non sapeva scrivere, chi aveva la morosa e non sapeva cosa scrivere. E c’era chi non sapeva come cominciare, chi non sapeva come finire... Scrivere e dettare lettere per le morose altrui è molto meno facile di quanto si possa immaginare. Lui la morosa l’aveva.
E nel gennaio del ’42 ottenne la licenza matrimoniale e a Lutrano si unì in matrimonio con Èlia. La licenza si protrasse oltre i limiti stabiliti perché le ferrovie erano sempre più in difficoltà a causa delle distruzioni provocate dai bombardamenti, e giunto a Mestre lo rimandavano sempre a casa in attesa di un treno che lo portasse a Brindisi.
Nel settembre del ‘42 si trova nella caserma La Marmora a Ivrea dove viene ricostituita la fanfara alpina di cui Giovanni entra subito a far parte. Fin dall’età di 15 anni ha preso lezioni di clarinetto dal prof. Antonio Zanandrea del Collegio Brandolini e dal ‘31 è il primo clarinetto nella banda di Oderzo, che diventerà poi Opera Nazionale Balilla.
A Ivrea la guerra sembra essere lontana, tant’è che il nostro Giovanni risolve spesso le serate al cinema della città. La situazione non peggiora di tanto quando lo spediscono in Francia, sua nuova destinazione. Giovanni ricorda la tradotta che andava via via riempiendosi di militari e a Genova traboccava di uniformi grigioverdi.

Giovanni Battistella con la fanfara alpina e in un momento di relax

Allo sbarco anglo-americano nel Nord Africa, le forze dell’Asse avevano risposto con l’occupazione della Francia di Vichy, con lo scopo di ostacolare, dalla costa francese, l’insediamento degli Alleati. Si trattava di una fascia costiera che partiva dall’Italia e arrivava fino a Marsiglia.
L’occupazione, l’11 novembre 1942, di questa zona della Francia ancora libera non aveva trovato nessuna resistenza e aveva di fatto posto fine alla sovranità del governo di Pétain. In Francia era dislocata la Quarta Armata, agli ordini del generale Vercellino, con sede di comando a Mentone. Giovanni fu aggregato al Comando del 23^ corpo d’armata, con sede in un grande albergo balneare di 320 stanze nella cittadina di Hyeres, a 20 km da Tolone. Poteva anche uscire in città, ma nel regime di occupazione questa era priva tutto. Per variare un menù decisamente monotono, oltre che scarso, si sarebbe potuto fare qualche puntatina negli orti dei Francesi, ma, a differenza dei Tedeschi, arroganti e privi di ogni rispetto verso i cittadini dei territori occupati, i comandi italiani punivano molto severamente chi si prendeva queste libertà.
Nel ricordare Tolone, la memoria di Battistella va allo spettacolo di mostruosa devastazione cui poté assistere nel porto: i relitti della Marina Francese che l’ammiraglio De Laborde aveva fatto affondare per sottrarla ai tedeschi. Si era trattato di un concerto di esplosioni terrificanti. Le navi erano saltate in aria affondando in pochi minuti o si erano coricate sui fianchi: centinaia di unità di ogni stazza, corazzate, cacciatorpediniere, incrociatori, sommergibili. L’imponente spettacolo pirotecnico era stato organizzato proprio all’arrivo dei Tedeschi, che vi avevano assistito impotenti, e la notizia dell’autoaffondamento aveva suscitato grande emozione, perfino in Italia e in Germania, dove molti non avevano nascosto l’ammirazione per il gesto della Marina Francese, che ricordava quello della flotta imperiale germanica alla conclusione della prima guerra mondiale. L’immane spettacolo delle carcasse nel porto aveva qualcosa di impressionante e lugubre.
Da Hyeres Giovanni scriveva spesso a casa. Si serviva delle cartoline dell’esercito con l’effigie di Vittorio Emanuele III e la scritta trasversale “Vinceremo”, oppure “Taci, il nemico ti ascolta”. Le cartoline partivano e arrivavano a Lutrano col visto della censura, per cui l’unica cosa che poteva comunicare alla moglie Élia e alla famiglia, oltre alla città di residenza, era un rassicurante “tutto bene”. Tutto bene.
Ma il bello doveva ancora cominciare. Dopo una breve permanenza presso la Caserma Cesari Battisti di Acqui Terme nell’agosto del ’43 Giovanni è ancora in Friuli, a Nimis. Il 1943 è uno degli anni più infausti e bui della nostra storia. Quei giorni appartengono al periodo in cui la farsa si mescola con la tragedia e costituiscono la testimonianza della più alta prova di insipienza data dalla classe dirigente italiana in tutto il corso della sua storia. Il drammatico succedersi degli avvenimenti di quell’anno non risparmiò nessuno, ma i più coinvolti furono senz’altro coloro che vestivano la divisa militare. E così la vicenda di Giovanni Battistella rischiò di intersecarsi drammaticamente con gli eventi di quel periodo.
Nella caserma alpina di Nimis dopo l’8 settembre successe come in tutte le caserme d’Italia: soldati tedeschi, pochi ma organizzatissimi, circondarono l’edificio e, dopo aver intimato la resa e la consegna delle armi, catturarono tutti. Dal portone spalancato i militari uscivano a uno a uno, passando tra due tedeschi con la pistola in pugno, gettavano il moschetto in un mucchio e salivano sugli autocarri.
Si dice che l’abito non fa il monaco, ma nei giorni successivi l’8 settembre la divisa segnò il destino di migliaia di uomini. E tanti ebbero salva la vita solo perché riuscirono a sostituire la divisa grigioverde con un abito borghese. Giovanni scappò dalla caserma prima dell’arrivo dei Tedeschi senza essere riuscito a liberarsi della divisa militare. La sua fuga fu lunga, difficile e rocambolesca, lontano da strade e ferrovie. Attraversare la Pontebbana, già invasa dalle camionette tedesche, fu un’impresa. Nascosto dietro una siepe aspettò il cenno di una ragazza che osservava gli spostamenti dei Tedeschi, e proseguì quindi la sua fuga saltando fossi, guadando torrenti, nascondendosi tra i vigneti, camminando nei campi, evitando paesi, borghi, case, contatti umani.

Si va alla guerra in nave

Il premio del suo coraggio fu che, mentre migliaia e migliaia di militari italiani stipati nei carri bestiame prendevano la difficile, e per alcuni tragica, strada della prigionia in Germania, lui si guadagnava la libertà raggiungendo il suo paese e la sua casa. Aspettò la fine della guerra nella sua Lutrano, nascosto ma libero, protetto dalla sua famiglia, dai parenti e dagli amici.
Nel 1962 nasce a Conegliano la fanfara alpina di cui Giovanni fa subito parte. Ha partecipato a tutte le adunate (l’ultima quella di Aosta, 2003) e col suo clarinetto ha accompagnato manifestazioni alpine e non, feste civili e religiose che, altrimenti, sarebbero sembrate spoglie. Una fanfara non è solo un modo per suonare insieme, è anche la capacità di riaffermare il valore della musica come esperienza culturale e sociale, viva e condivisa, è espressione di libertà e di umanità, è soprattutto un gruppo di persone.
Stare in una fanfara non significa solo passione per la musica, vuol dire anche un modo particolare di vedere il mondo, amicizia, ottimismo. Amicizia, ottimismo, speranza nell’uomo, Giovanni è tutto questo.
Tutto questo (lo dice uno che Toni lo conosce) lo ha trasmesso al figlio, questo e la grande passione per la musica e il canto. Si sa, infatti, che quando s’accorge che le persone che gli stanno attorno sono un numero di cinque o più di cinque, il buon Toni s’avvinghia alla fisarmonica e… Due figli, otto nipoti, otto pronipoti. Un secolo di vita, attorno a lui il mondo si è rinnovato più e più volte, così come si rinnovano le stagioni, l’estate e l’inverno della vita.
E Giovanni è sfilato al Triveneto di Conegliano (Fiamme Verdi gli ha dedicato la copertina), con il nipote Christian, anche lui alpino della Julia. Alpino sempre, nel cuore e nell’anima.

La tessera ANA del socio Giovanni Battistella


La torta dei 100 anni, la festa di Giovanni Battistella

Giovanni legge (senza occhiali) i biglietti di auguri
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