Gli alpini nella guerra di Liberazione - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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Gli alpini nella guerra di Liberazione

Storia
Gli Alpini nella Guerra di Liberazione
Fiamme Verdi Luglio 2024, di Gen. B. (ris) Antonino INTURRI

Negli ultimi due numeri di “Fiamme Verdi” [1], abbiamo ripercorso alcune delle  vicende forse meno note del Secondo Conflitto Mondiale avvenute all’indomani dell’8 settembre 1943. Una ulteriore pagina di quel vertiginoso e complicato periodo storico è quella  relativa alla partecipazione e all’importanza dell’apporto delle Forze Armate  Italiane alla Guerra di Liberazione e, in particolare, al ruolo e all’impiego  delle Unità alpine.

Si tratta dei battaglioni alpini “Piemonte”, “Monte Granero” e, dopo la  liberazione dell’Abruzzo, “L’Aquila”.
Tra i protagonisti, troviamo il Gen. C.A. Giorgio DONATI [2], artigliere da  montagna, allora giovane Sottotenente, il quale visse la Guerra di Liberazione  inizialmente da Capo pattuglia O.C. (Osservazione e Collegamento) e poi come  Comandante di plotone mortai del btg. alp. “Piemonte”, e che rientrò nella sua  Torino (era nato a Moncalieri) il 2 maggio 1945 dopo ventuno mesi di campagna,  giorno nel quale ebbe a scrivere sul suo “libricino” di appunti: “Ora occorre  tirarsi su i pantaloni e ricostruire.”.

PROLOGO
La Campagna di Sicilia si era conclusa il 18 agosto del 1943. Nelle trattative  per la definizione di un armistizio con gli angloamericani avviate all’inizio di  quel mese, gli Alleati si erano espressi per un “resa incondizionata”  dell’Italia, imponendo condizioni durissime che in pratica svuotavano di  qualsiasi capacità bellica (peraltro già ridottissima) l’apparato militare  italiano. Eppure, già durante i colloqui che avrebbero portato alla firma  segreta dell’armistizio del 3 settembre, poi reso pubblico il seguente 8  settembre, il rappresentante del Gen. BADOGLIO, il Gen. CASTELLANO, aveva  dichiarato la disponibilità degli italiani a “collaborare con le armi alla  liberazione del loro Paese dai Tedeschi” [3], suscitando, peraltro, negli  interlocutori diffidenza, riluttanza e sfiducia, evidenziando la loro  determinazione a evitare qualsivoglia coinvolgimento di unità italiane in  combattimento. Ciononostante, pur se gli angloamericani prospettavano per gli  italiani un impiego nelle retrovie (difesa delle linee di comunicazione e  servizi di retrovia) [4], venne concessa, su pressione del Mar. BADOGLIO e delle  Autorità Militari, la possibilità di predisporre una piccola unità integralmente  motorizzata il cui compito, nella prospettiva alleata, avrebbe dovuto essere  pressoché simbolico.

IL "RAGGRUPPAMENTO MOTORIZZATO" [5]
Il 28 settembre 1943, venne costituito a San Pietro Vernotico (BR) il I  Raggruppamento Motorizzato, forte di 5500 uomini, al comando del Gen. Vincenzo DAPINO, che, completato il ciclo addestrativo in Puglia, venne prima dislocato  ad Avellino, ai primi di novembre, per essere impiegato sul fronte della V  Armata USA da dove poi raggiunse la zona di Maddaloni alle dipendenze del II  Corpo d’Armata americano.
L’8 dicembre, i fanti italiani del I btg. del 67° rgt. e una compagnia  bersaglieri ricevevano il battesimo del fuoco, dando l’assalto a una importante  posizione della “linea Bernhard”, Monte Lungo, “un aspro rilievo che, più  collina (un montarozzolo) che monte, molto simile ad una delle tante alture  carsiche, sbarrava – da nord – la depressione di Mignano.” [6]. Da lì, bisognava  far sloggiare un battaglione del 15° rgt. “Panzer Grenadier”.
Ma l’azione fallì, soprattutto a causa degli scarsi risultati ottenuti dal 143^  reggimento di fanteria americano al quale era stato affidato lo sforzo  principale. L’attacco fu ripetuto qualche giorno più tardi e, grazie a una  pianificazione più razionale e a una condotta impeccabile, l’azione fu un  successo. Il 13 dicembre, il Raggruppamento poté riscattarsi dall’insuccesso  iniziale, dimostrando all’Alleato “una ferrea volontà di battersi.” I due  combattimenti di Monte Lungo avevano riacceso simbolicamente la speranza di  riscossa di un intero popolo proprio “quando era, per i fratelli smarriti,  vanità sperare e follia combattere…” [8].
Paradossalmente, l’entusiasmo per il successo conseguito a Monte Lungo cominciò  a spegnersi dopo poche settimane: l’impazienza degli Alleati di riavere subito  in linea il Raggruppamento italiano si scontrò con la necessità di quest’ultimo  di riorganizzarsi e con il disagio morale che attanagliava il personale il quale  si considerava destinato “ad un sicuro sacrificio.”
A riprova di tali difficoltà, giungevano ripetuti ordini e disposizioni che  facevano trasparire la volontà alleata di disgregare il Raggruppamento,  impiegandone i reparti come unità lavoratori.
Fu in questa delicatissima fase che, il 24 gennaio 1944, il Gen. DAPINO venne  avvicendato dal Gen. Umberto UTILI. Fu la svolta. Il Gen. UTILI era un volitivo,  dalla dialettica vivace, un trascinatore di uomini, preparato, coraggioso che in  breve tempo raggiunse il suo primo obiettivo: conquistare il cuore dei suoi  “ragazzi”.
Il secondo fu convincere il Gen. CLARK, Comandante della V Armata, a recedere  dalla decisione di relegare il Raggruppamento a compiti ausiliari e non di  combattimento.
Il Gen. UTILI chiese e ottenne un colloquio col Gen. CLARK all’indomani del suo  insediamento. “Il Comandante dell’Armata mi accolse sorridendo… l’istinto mi  suggeriva di avere fiducia… Non potevo credere che i suoi sentimenti verso di  noi fossero cambiati: combattere aveva per il nostro Paese un significato  vitale… Bisognava darmi il tempo ragionevole perché potessi raccogliere e  rendere omogenea la mia unità.”. E CLARK, al termine della conversazione, non  poté che affermare: “I suoi soldati combatteranno con noi e sono certo che  combatteranno bene.”.
E gli Alpini? Facciamo un passo indietro.

IL BATTAGLIONE "PIEMONTE"
Alla proclamazione dell’Armistizio, al Comando Tappa di Bari, si trovavano 287  fra Ufficiali, Sottufficiali e alpini in attesa di imbarco per il Montenegro per  raggiungere la Divisione Taurinense lì dislocata. Altri 120 erano appena  rientrati e, al termine del previsto periodo di quarantena, sarebbero stati  inviati in licenza. A questi, si aggiunsero altri 150 superstiti del btg. alp.  “Fenestrelle” che, fortunosamente, dopo aver contrastato per due giorni i  tedeschi alle Bocche di Cattaro, erano riusciti a imbarcarsi sul piroscafo  “Diocleziano”. Giunti a Bari, resisi conto di essere troppo lontani da casa, che  l’Italia era divisa in due e che provenivano dagli stessi territori e vallate  degli alpini già lì dislocati, decisero di rimanere e di unirsi ai commilitoni.  A riunire, equipaggiare e riarmare gli “spezzoni” dei reparti in loco provvide  il Cap. Renato Maiorca, Aiutante Maggiore del 3° rgt. alp. della Div.  “Taurinense” e Ufficiale più anziano e alto in grado a Bari. L’Ufficiale chiese  e ottenne, per il tramite dell’Amm. AIMONE DI SAVOIA-AOSTA, non solo un  trattamento più dignitoso per i suoi Alpini (relegati nel frattempo a impieghi  da uomini di fatica da parte britannica), ma, in data 28 ottobre 1943, su  disposizione dello Stato Maggiore dell’Esercito, fu conferita a quel manipolo la  denominazione di “Reparto Esplorante Alpino” costituito da un plotone Comando,  tre plotoni fucilieri e un plotone mortai da 81. Successivamente, il 4 dicembre,  si costituiva a Nardò (LE), il btg. alp. “Taurinense”, così denominato per  l’origine piemontese della maggioranza dei suoi effettivi al comando del Ten.  Col. Nicola FORTI.
A Nardò, località prescelta per condurre l’addestramento e migliorare  l’amalgama, le condizioni ambientali e il rapporto con la popolazione locale non  erano idilliache. “Fatto si è che a Nardò questa gente (n.d.a. gli Alpini) ne  aveva combinata di tutti i colori, la popolazione aveva protestato e se ne era  occupata anche la stampa. Una conseguenza era stata il trasferimento del  battaglione a Cisternino dove sembrava che si tenessero più tranquilli. [9]” La  situazione creatasi, punteggiata da malumori e risse ed esasperata anche da  motivazioni politiche e ideologiche, costrinse quindi il Comando superiore a  disporre, il 21 dicembre, il trasferimento del battaglione a Cisternino (anche  se in realtà il movimento avverrà solo il 10 gennaio), 90 chilometri più a Nord.
È qui che giunge, a fine novembre, il Sottotenente DONATI: “Proseguo per Locorotondo (trulli, stranissimi!) – Nella batteria di Roggero 24 novembre a  Cisternino per costituenda batteria alpina – lavoro massacrante – il morale è  basso.”.
Nel frattempo, sempre a Nardò, il 1° gennaio 1944, si assistette al cambio del  Comandante di battaglione: al Ten. Col. FORTI subentrò il Magg. Alberto  BRIATORE, alpino ligure, di grande esperienza e determinazione. Ad affiancarlo,  il già citato Cap. MAIORCA, Aiutante Maggiore e fautore della costituzione del  primo nucleo del reparto.
A Cisternino, alpini e montagnini si riunirono. La batteria alpina aveva un  organico di 8 Ufficiali, 9 Sottufficiali e 223 artiglieri, 5 cavalli, 75 muli e  relativi conducenti, 3 obici da 75/13 Skoda someggiabili, 2 mitragliatrici.
La situazione generale cominciò a migliorare.
Gli inidonei vennero trasferiti e, successivamente, sostituiti con alpini  524°btg. Territoriale Mobile “Monte Nero”, al personale furono distribuiti capi  di vestiario e di equipaggiamento appropriati e il vitto fu adeguato e in linea  con quanto previsto per le unità in addestramento al combattimento.
Gennaio ’44 – Solita vita di lavoro pieno, tra speranze e delusioni, alti e  bassi di morale ma va meglio” annota il S. Ten. DONATI “siamo in “approntamento  spinto” e l’addestramento è intenso – piove sempre, tanto fango, ma siamo più  solidi e più preparati.”.
Di questo cambio di passo si accorse anche il Gen. UTILI il quale, visitando i  reparti in addestramento, poté affermare che “probabilmente il battaglione e la  batteria faranno parte del Raggruppamento stesso.”.
Il 10 febbraio 1944, giunse l’ordine del cambio di denominazione in btg. alp. “Piemonte”, che inquadrerà nel proprio organico, qualche giorno dopo, anche la  batteria di artiglieria (fino ad allora affiancata per esigenze addestrative)  con il nome di “Batteria alpina Piemonte”.
Il dado era tratto. Ancora il S. Ten. DONATI annotava: “18 marzo – Dopo aver  attraversato Puglia, Molise, Campania, arriviamo in linea a Fornelli-Colli al  Volturno (n.d.a. siamo nella provincia di Isernia - Molise). Ci contiamo: siamo  tutti!.”.
Gli Alpini sono a pieno titolo inquadrati nel I Raggruppamento il quale ora è al  completo e alle dipendenze del C.E.F. – Corpo di Spedizione Francese, sulle  Mainarde ! [10]

MONTE MARRONE
Nei giorni seguenti, il C.E.F. venne ritirato per essere avviato a un meritato  periodo di riposo e il I Raggruppamento passò alle dipendenze della 5^ Divisione  “Kresova” del Corpo polacco del Gen. ANDERS senza che ciò apportasse variazioni  al compito affidatogli.
Ma una novità in effetti c’era. L’attenzione sullo studio di una azione  offensiva che avrebbe avuto proprio gli Alpini come protagonisti: l’occupazione  di Monte Marrone “prima che il nemico potesse mettervi piede”, un caposaldo che  non si poteva né aggirare né attaccare frontalmente e che sbarrava agli Alleati  la strada d’Abruzzo, “un baluardo roccioso e strapiombante – proprio roba da  alpini!”.
Seguiamo il racconto del S. Ten. DONATI. “31 marzo – Ore 03:30 parto come Capo  pattuglia osservazione e collegamento con la 3^ compagnia per l’attacco a Monte  Marrone. Saliamo per canaloni improbi, … buio pesto, neve, ghiaccio, carichi  come muli. Sorpresa riuscita. … Consolidamento rapidissimo – mine –  postazioni – ricoveri. Il “pezzo ardito” è in cresta, con le postazioni degli  alpini. ... scaramucce – qualche prigioniero... La neve sta sciogliendo.
Il “Piemonte” occupò di sorpresa il “balcone sul Volturno”, un magnifico  osservatorio che, in mano agli alpini, costituiva una spina nel fianco dello  schieramento nemico. I tedeschi provarono per due volte a sopraffare gli Alpini,  ma sia il 3 che il 10 aprile, la notte di Pasqua, il dispositivo del “Piemonte”  resse, resistette e respinse gli assalitori. Anche il “pezzo ardito” fece  sentire la sua voce, secondo la migliore tradizione dell’artiglieria alpina. La  magnifica azione condotta sul Monte Marrone ebbe il merito di far guadagnare la  stima dell’alleato e di riconoscere la professionalità e la dedizione dei  reparti italiani.
Monte Marrone si trasformò quindi in base di partenza per l’offensiva di  primavera, l’Operazione “Chianti”. Il “Piemonte” doveva ora penetrare per oltre  20 chilometri nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, “lungo uno stretto  fondovalle, percorso da un unico sentiero, con i fianchi coperti di vegetazione  vergine e solcata da forre, calanchi, dirupi ancora innevati…” [11]. Dal 27 al 30  maggio, gli Alpini, fiancheggiati a destra dal btg. par. “Nembo” e a sinistra  dal 4° rgt. b. e dal IX Reparto d’Assalto, continuarono ad avanzare, a fatica.  Il nemico, indietreggiando, moltiplicava le azioni di resistenza sfruttando le  posizioni dominanti e la copertura dell’artiglieria. Uomini e quadrupedi erano  messi a dura prova, ma non recedevano dal continuare la loro azione e avanzavano  ancora. Ma, inaspettatamente, giunse l’ordine di sganciamento, di ripiegare e  rientrare al più presto in quanto il Corpo Italiano di Liberazione-C.I.L.  (denominazione nel frattempo assunta dal I Raggruppamento a far data 18 aprile)  doveva trasferirsi sul Settore Adriatico.

SUL FRONTE ADRIATICO
Il “Piemonte” venne ridislocato a sud-ovest di Lanciano, in provincia di Chieti.
Dopo alcuni giorni di verifica della situazione, l’8 giugno iniziò l’offensiva  alleata che, in successione, portò alla liberazione di Chieti (9 giugno),  L’Aquila (13 giugno), Teramo (15 giugno), Ascoli Piceno (18 giugno).
Il 25 giugno entrarono in azione altri Alpini, i “veci” del “Monte Granero” [12] i  quali dopo l’8 settembre si erano battuti per la liberazione della Corsica.
Contemporaneamente, con la riarticolazione del C.I.L., si ricostituì il 3°  reggimento alpini, con, in organico, il btg. alp. “Piemonte”, il btg. alp.  “Monte Granero” e il “4° gruppo someggiato” da 75/13 costituito da due batterie  alpine per un totale di 105 Ufficiali, 132 Sottufficiali e 1915 alpini.
Gli Alpini, con gli altri reparti del C.I.L., proseguirono l’inseguimento dei  tedeschi verso nord: Macerata, Jesi – dove il “Piemonte” entrò la notte del 19  luglio dopo aver vinto la resistenza di un caposaldo nemico (“accoglienze  trionfali e commoventi”) – raggiungendo quindi il Metauro.
Motorizzati a piedi”, gli Alpini del 3° proteggevano i fianchi del V Corpo  britannico e poi del Corpo d’Armata polacco nell’avanzata verso la “Linea  Gotica” con i tedeschi che si facevano sempre più aggressivi.
Giunti oltre il Musone, il 19 agosto si attestarono in prima linea con i “veci”  del “Monte Granero” in vista di Urbino. Qui, la marcia del C.I.L. si arrestò: il  30 agosto, il Gen. UTILI ricevette l’ordine di far sospendere le attività  operative alle sue unità per avviarle su Assisi da dove avrebbero poi raggiunto  la zona di Benevento. Il 24 settembre, nella zona di Piedimonte d’Alife (CE), il  C.I.L. veniva sciolto per dar vita a due “Gruppi di Combattimento”: il “Folgore”  e il “Legnano”.
Dopo 500 chilometri, si concludeva la “Marcia della Volontà” costata 377 caduti  e 880 feriti [13].

I GRUPPI DI COMBATTIMENTO. IL “LEGNANO” E L’IMPRESA DEL “PIEMONTE”
L’approntamento di unità di livello superiore rispondeva essenzialmente a  esclusive necessità di ordine militare, e non certo, o non solo, quale  riconoscimento della capacità operativa dei reparti italiani, tenendo comunque  conto che accordi in tal senso erano già in atto sin dal luglio del 1944.
L’imminenza della “Operazione Anvil” (lo sbarco alleato nel sud della Francia)  richiedeva la pronta disponibilità di unità in riserva a livello divisionale per  rimpiazzare quelle alleate di previsto impiego che, con tutta probabilità,  sarebbero state tratte da XV Gruppo di Armate del Mar. ALEXANDER. È così che il  Comandante Britannico ottenne l’approntamento di sei Gruppi di Combattimento  italiani: “Cremona”, “Friuli”, “Folgore”, “Legnano”, “Mantova”, ”Piceno”.
Il “Legnano”, ancora con il Gen. UTILI al comando, fu assegnato alla 5^Armata e  da questa destinato al II Corpo d’Armata americano per essere quindi schierato  in Valle Idice.
La costituzione del “Legnano” richiese: lo scioglimento del 3° rgt. alp. (con  avvio del btg.alp. “Monte Granero” in Sicilia in servizio di ordine pubblico) e  del 4° rgt. b. per formare il “Reggimento Fanteria Speciale”, al comando del Col. Galliano SCARPA nel quale confluirono il btg. alp. “Piemonte”, il btg. alp.  “L’Aquila”, di nuova costituzione, e il btg. b. “Goito”; l’assorbimento del IX  reparto d’assalto quale terzo btg. del 68° rgt.; l’inquadramento dell’11° rgt.  a. e di un btg. g. e serv..
A proposito di artiglieria, così il S. Ten. DONATI ricorda quel momento: “… addio ai muli e al 75/13. A tutti gli artiglieri viene posto il quesito:  volete continuare la guerra come artiglieri dell’11° reggimento artiglieria  campale o restare al battaglione alpini “Piemonte” come alpini nella compagnia  armi di accompagnamento? Brevissima assemblea. Risposta unanime: con il  “Piemonte” verso il Piemonte.”.
I mesi invernali furono dedicati al cambio delle uniformi, di armamento ed  equipaggiamento (inglesi) e all’addestramento di amalgama svolto, da fine  gennaio ’45, nella zona del Chianti [14].
Il “Legnano” entrò in linea il 18 marzo a sud-ovest di Bologna tra il 361° rgt.  f. della 91^ D. della V Armata americana a sinistra e la XXV Brigata della 10^  D. indiana dell’8^Armata a destra. Le posizioni avanzate erano assai infelici o  perché scoperte o perché dominate dai tedeschi: un terreno difficile e ben  organizzato. Gli Alpini iniziarono da subito le attività di pattugliamento,  duramente impegnati dal nemico. Nel corso di una di queste ricognizioni cadde il  Comandante del battaglione “L’Aquila”, Magg. Augusto DE COBELLI.
Nel contempo, giunsero ai reparti gli orientamenti operativi per l’imminente  offensiva di primavera che prevedevano l’attacco a tenaglia delle due Armate su  Bologna. Il “Legnano” fu chiamato a sostenere l’attacco, occupando delle quote  indispensabili a fornire protezione alle unità alleate, assegnando, in  particolare, al “Piemonte” la conquista di “q. 363, un formidabile caposaldo  incavernato e posizione chiave della difesa nemica sul contrafforte tra la Val Zena e la Val Idice e al “L’Aquila” la conquista del caposaldo di q. 160 e lo  scardinamento dello sbarramento di fondo valle. [15]”.
Il Gen. UTILI diede il via il 19 aprile. “Partono per primi gli alpini del  “Piemonte” con un epico assalto contro la quota 363, conquistata di slancio a  bombe a mano e all’arma bianca… sorprendendo numerosi tedeschi ancora nei  ricoveri. Nel frattempo “L’Aquila” si insinua coraggiosamente nella valle Idice,  verso le munite posizioni di San Chierico e Monte Armato, ottenendo nuovi  successi, non senza dolorose perdite [16]”.
Fondamentale per il successo, era stato l’incessante fuoco di preparazione e poi  di accompagnamento dell’artiglieria, serrato e ravvicinato, all’azione degli  alpini.
La cooperazione arma base-artiglieria funzionò quindi alla perfezione: gli  alpini giunsero fino a una trentina di metri dal ciglio tattico della posizione  nemica, da dove, con un assalto che rimarrà memorabile, irruppero sul nemico  contemporaneamente agli ultimi colpi dell’artiglieria, conquistando le posizioni  e catturando l’intero presidio [17]. Il 21 aprile, preceduti dai bersaglieri del “Goito”,  eredi delle tradizioni degli eroici ragazzi di Monte Lungo, gli Alpini del  “Reggimento Speciale” entrarono in una indimenticabile e delirante Bologna.
Dopo qualche giorno trascorso in città, il “Piemonte” partì per Brescia,  proseguendo per Bergamo per poi arrivare, il 2 maggio, a Torino.
“Arrivammo in Piazza Castello alle 17:30 – ero partito da Torino alla fine di  agosto del 1943. Incontro con i miei a Torino, dopo ventuno mesi di assenza, non  vi sono commenti. La guerra in Italia è finita! Ora occorre tirarsi su i  pantaloni e ricostruire.” [18].
Il S. Ten. Donati era tornato “a baita” [19].
 
Pezzo ardito sul Monte Marrone


Liberazione di Bologna


Gen. Umberto Utili


Fanti italiani sul Monte Marrone


Alpini in marcia sul Monte Marrone


Alpini del Piemonte sul Monte Marrone  

Note:
[1] N. 1/3 Luglio 2023 “Internati Militari Italiani (IMI)”. N. 2/3 Dicembre 2023 “La battaglia dello spionaggio”.
[2] Nato a Moncalieri (Torino) il 7 marzo 1924, il Gen. Giorgio DONATI ha comandato  il gruppo a. mon. «Susa» della B. alp. «Taurinense», il 3° rgt. a. mon. «Julia»  (1969-71), la B. alp. «Cadore» (1974-75), il 4° Corpo d’Armata Alpino (1980-81),  la Regione Militare Nord Est, il Comando delle Forze Terrestri Alleate del Sud  Europa (FTASE).
[3] Gabrio Lombardi “Il Gen. Umberto Utili nella Guerra di Liberazione” – USSME  “Memorie Storiche Militari 1978 – Biografie”.
[4] Arrigo Buzzi “Quelli di Montelungo” – Rivista Militare 12/1969.
[5] Ibid. nota 3.
[6] Ibid. nota 4.
[7] Gen. Walker, C.te della 36^ Div. f. americana. Ibidem nota 4.
[8] Epitaffio su una lapide presso il Cimitero Militare di Monte Lungo. Ibid. nota  4.
[9] Gen. Umberto Utili “Ragazzi, in piedi!” - Ed. Mursia -1979.
[10] Le Mainarde sono un gruppo montuoso situato a cavallo del Lazio (provincia di  Frosinone) e del Molise (provincia di Isernia).
[11] Gen. Giorgio Donati ”Con gli Alpini nella Guerra di Liberazione (1943-45)” –  Rivista Militare n. 2/73.
[12] Il btg. alp. “Monte Granero” era costituito da alpini di classi anziane  principalmente delle classi 1913 e anteriori e quindi, essenzialmente, quasi  tutti padri di famiglia e per questo chiamati il dialetto “papalòtu” (papà) dai  colleghi del “Piemonte”.
[13] Dati ricavati solo dal Diario Storico del Comando del C.I.L. essendo le altre  fonti incomplete.
[14] Dal 24 settembre 1944 al 24 gennaio 1945 (giorno della entrata in linea del  “Cremona”), il Regio Esercito è rappresentato in zona di operazioni, per quattro  mesi, unicamente da tre Divisioni Ausiliarie (oltre 40000 uomini): la 210^, la  228^ e la 231^ provviste di unità salmerie.
[15] Col. Galliano Scarpa da “L’Alpino” – Anno L n. 2 – Febbraio 1969
[16] Ibid. nota 11 – pag. 149
[17] Ibid. nota 14
[18] Gen. Giorgio Donati “La frontiera della libertà – Con il “Gruppo di  Combattimento Legnano” nel 1945 – Rivista Militare 5/2003
[19] Tornare a baita è un'espressione che l'Alpino Giuanin diceva spesso al Sergente  Maggiore Stern. Quando aveva paura chiedeva: «Sergentmagiù, ghe rivarem a  baita?», che significa: “torneremo a casa?”

Bibliografia:
a. Franco e Tomaso Cravarezza “ Il Battaglione Alpini Piemonte – Edizioni del  Capricorno (2015)
b. Giorgio Donati “Con gli Alpini nella Guerra di Liberazione” – Rivista  Militare 2/73
c. Giorgio Donati “8 settembre 1943” – Rivista Militare 6/83
d. Giorgio Donati “La frontiera della libertà con il Corpo Italiano di  Liberazione nel 1944” – Rivista Militare 4/84
e. Giorgio Donati “La frontiera della libertà con il Gruppo di Combattimento  Legnano nel 1945” – Rivista Militare 5/03
f. Gabrio Lombardi “Il Gen. Umberto Utili nella Guerra di Liberazione” – USSME  Memorie Storiche Militari 1978
g. Arrigo Buzzi “Quelli di Monte Lungo (8 e 16 dicembre 1943)” – Rivista  Militare 12/69
h. Arrigo Buzzi “Quelli delle Mainarde (febbraio – giugno 1944)” – Rivista  Militare 1/70
i. Arrigo Buzzi “Quelli del C.I.L (1 giugno – 30 agosto 1944)” – Rivista  Militare 3/70
j. Arrigo Buzzi “Quelli dei Gruppi di Combattimento” – Rivista Militare 7-8/70
k. Galliano Scarpa “L’eroica azione degli alpini dei battaglioni “Piemonte” e  “L’Aquila” per la liberazione di Bologna” – L’Alpino – Anno L, n. 2 – Febbraio  1969
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