I Brugnera
I BRUGNERA
Dicembre 2000
Non saprei spiegarvi quanto
c'entrassero le campagne demografiche del Ventennio e quanto invece le
sollecitazioni di Santa Romana Chiesa. Fatto sta che nel mio paese (Castello
Roganzuolo di San Fior), in borgo Gradisca, negli anni 40-50, in 5 famiglie la
somma dei figli faceva 61. In via Larghe, nella sola casa Zanette di figli se ne
contavano addirittura 18. Nei due deschi della ...bifamiliare Tomasella-Dal Mas
si sedevano, si fa per dire, complessivamente in 70. Il grande palazzo dove
dimoravano, ora abbandonato al degrado totale, era un tempo centro vitale di
multiforme operosità, con grandi stalle e ampi granai ai lati del complesso, la
bottega del fabbro, il grande cortile col gioco delle bocce, il grazioso
tempietto dedicato a San Giovanni Battista, stracolmo ogni sera per la recita
del rosario, dove nel mese di maggio facevano tappa le rogazioni mattutine.
La situazione "demografica" di borgo Gradisca, di casa Zanette e Tomasella-Dal Mas era quella di tutti i borghi ed i paesi della Sinistra Piave nonché dell'Italia intera, dove le famiglie patriarcali rappresentarono per un lungo periodo la struttura sociale portante. L'ultima guerra segnò la fine del periodo aureo di questa struttura sociale, durante il quale la famiglia patriarcale fu, sia pure in modo particolare, asilo infantile (fatto spesso dai nonni), anelito di "apprendistato" e "formazione professionale", "cooperativa" di produzione e di consumo, luogo di svago e di amori (nei filò, nelle feste particolari), ma anche di educazione alla fede: insomma tutto o quasi. Sicuramente tanto. Con il passaggio alle attività industriali le grandi comunità andarono via via spezzettandosi e molte funzioni presenti in esse passarono all'esterno specializzandosi.
Un esempio incredibile di nucleo patriarcale rimane quello dei Brugnera di Visnà di Vazzola.
La famiglia Brugnera era costituita da circa 150 persone che appartenevano a 6 nuclei, tutti guidati da un unico capo, figura carismatica, rispettata e indiscussa. Coadiuvato da un consiglio formato dai capi famiglia, questi presiedeva all'organizzazione di tutte le attività, incentrate naturalmente, per quel tempo, sull'agricoltura. Venivano coltivati circa 300 campi, parte di proprietà, altri in affitto dalla contessa Corner di Venezia.
Nella grande famiglia, 154 persone nel 1909, ognuno aveva un compito ben preciso e tale compito doveva essere rigorosamente rispettato. C'erano gli addetti ai cavalli, quello ai buoi, quello ai carri, uno provvedeva alla macina recandosi quasi ogni giorno al mulino, un altro si occupava dei maiali, un altro ancora, più esperto, curava solo le api. Poi veniva l'addetto alla cantina, quello che accudiva alle pecore, ed ancora chi si occupava della provvista della legna. In tre addirittura erano i formajeri, specializzati ed impiegati solamente nella trasformazione del latte. Chi non aveva un compito specifico era impegnato nei normali lavori agricoli, organizzati in maniera meticolosa e disciplinata. Una gran quantità di forze veniva naturalmente assorbita dalla stalla, anzi dalle stalle, in quanto ve n'era più d'una. La stalla è sempre stata la ricchezza ma anche la dannazione di ogni famiglia contadina. Qui, intelligentemente, alle stalle provvedevano a turno, di settimana in settimana, le singole famiglie. Se uno era ammalato doveva vestirsi da festa in modo che fosse ben individuato e così ... nessuno podea comandarghe. C'era quindi il pericolo che a qualcuno venisse la tentazione di vestirsi da festa per ...fare l'ammalato. Dai racconti, infatti, abbiamo colto la sensazione che lo status di ammalato fosse molto appetibile. Ma ogni mattina, dai Brugnera, passava il medico che, constatata la malattia, firmava una specie di ricetta con cui veniva autorizzata una dieta speciale per il povero o ...fortunato ammalato. Per il resto la vita non doveva essere molto diversa da quella delle altre famiglie dell'epoca. La mattina, compatibilmente con gli impegni nella stalla, tutti gli uomini andavano a messa, poi nei campi.
A mezzogiorno il lavoro veniva sospeso e la sosta per il pranzo veniva annunciata dal suono di una campana. I Brugnera abitavano in più plessi attigui ma mangiavano tutti assieme. A quel tempo vi era una gerarchia anche nel posto a tavola, ma non tutti lo avevano. Infatti mentre gli uomini trovavano posto nella grande cucina, detta tinello, le donne e i bambini non vi entravano e mangiavano in piedi o seduti dove capitava. Il menù poi non era tanto vario, se è vero che i fagioli facevano la loro comparsa sei giorni la settimana e venivano fatte cinque polente al giorno, una la mattina, due a mezzogiorno e due alla sera. Per sollevare la caljera e sartar la polenta, veniva utilizzato un complesso sistema di argani e carrucole. Per fondal c'era un tavolo. La carne, cibo dei ricchi, faceva la sua comparsa la domenica e qualche volta, timidamente, il giovedì. Il pane? Mai visto a tavola. Se uno voleva mangiare pane doveva ...vestirsi da festa. Il vino, infine, veniva considerato qualcosa di veramente prezioso, tant'è che veniva partito (diviso) tra le varie famiglie; della sua parte poi, ogni nucleo disponeva come voleva, anche vendendolo. Ogni sera, dopo cena, i Brugnera si ritrovavano in stalla, dove il capo intonava il Rosario. Dopo la preghiera al Paron Grando, venivano le storie, le filastrocche, le chiacchiere sul lavoro, il tempo e spesso anche i canti. La sistemazione delle camere non risultava meno sorprendente: fatta eccezione per le coppie sposate, tutti i maschi non maritati dormivano in un'unica stanza e così le giovani, ma in plessi diversi. La solidarietà e l'ospitalità erano pratica normale: nel famoso tinello ogni giorno, assieme agli uomini, pranzavano dai dieci ai trenta estranei, poveri del paese e dei paesi vicini. Venivano ospitati e rifocillati, gratuitamente, anche i Catharut della Valcellina di passaggio. Alcuni rimanevano anche a cena, altri anche a dormire di notte, nel fienile o nelle stalle. Poteva accadere che tanta gente, priva di casa, passava lì l'intero inverno. Il numero dei commensali estranei aumentava la domenica e il giovedì (per via della carne) o quando si veniva a sapere che c'era la possibilità di una minestra calda. Anche gli zingari erano di casa, dai Brugnera. E non venne mai a mancare nulla, anche se le porte erano sempre aperte e senza chiavi (una chiave c'era, l'unica: quella della cantina).
Era tanta, allora, la povertà. Così capitava che l'addetto alla distribuzione della merenda nei campi, la mattina, al suo ritorno con l'asino trovasse sempre nel borgo qualcuno che lo aspettava, magari per una fetta di polenta fredda.
All'interno della famiglia Brugnera operavano vari mestieranti: c'era un fabbro, un falegname, un ciabattino, un barbiere e perfino un orefice. La loro opera, svolta fuori del normale orario di lavoro nei campi, veniva retribuita da chi ne usufruiva.
Non c'era nessuno che sapesse fare il sarto: un sarto doveva quindi essere chiamato da fuori; e lì passava gran parte dell'anno, regolarmente retribuito. La domenica i Brugnera facevano festa e cioè non andavano nei campi ma a messa, e si fermavano in piazza. Se eccezionalmente era necessario intervenire, o per il grano o per il fieno minacciato dal tempo, era consuetudine chiedere l'autorizzazione al parroco, autorizzazione che per altro veniva sempre concessa.
L'unico, e non si capisce perché, autorizzato a lavorare la domenica, era il barbiere. La sua professione comunque non doveva essere granché considerata, dal momento che veniva esercitata sempre e solo in stalla.
Quando c'era una festa grande venivano macellate due bestie. Ciò accadeva in occasione dei matrimoni, che venivano celebrati in primavera e autunno, anche due o tre per volta, ed in occasione dell'annuale visita della contessa Corner. Ai festeggiamenti in onore dell'illustre ospite, oltre ai soliti poveri, partecipava anche mezza Visnà. A pranzo gli invitati si accomodavano in tinello, mentre quelli di casa prendevano posto in tavoli allestiti nell'ampio cortile. A dicembre il rito dell'uccisione del maiale costituiva una festa più grande ancora della visita della contessa Corner: alle solite due bestie si "accompagnavano" ben 12 maiali. In questo singolare regime di economia, l'unico denaro "partito" fra le famiglie, era quello proveniente dalla vendita del miele e degli agnelli.
Nella grande famiglia Brugnera non ci furono mai beghe o baruffe. Sta in questa armonia, forse, l'unica spiegazione di come fosse possibile la convivenza di tante persone. Se qualche storia c'era, veniva messa subito a tacere dai vecchi e nulla trapelava all'esterno.
La donna? Sembra quasi non esserci in questa storia. Alle donne erano affidate la cucina e le cose domestiche, il pollame e l'orto. Conducevano i buoi, seminavano, vangavano, raccoglievano e trasportavano. Sommo era il rispetto per le pajolane tenute in grande considerazione e in regime di alimentazione speciale. Ma lo status di pajolana durava solo quaranta giorni, poi i piccoli venivano affidati alle anziane e l'ex pajolana, zappa in spalla, ritornava ai lavori nei campi. Si racconta che una donna, svanita nel nulla, fu ritrovata dopo mesi negada soto 'l fien: una storia che la dice lunga sulla condizione femminile d'un tempo nei nostri paesi. La grande guerra e portò povertà nera e fame, ma dai Brugnera la miseria sembrava più desolante che altrove. Non c'era nulla da mangiare. Partiti gli uomini per il fronte, tutti i lavori, anche i più duri, passarono nelle mani delle donne. Non fu però necessario che si sobbarcassero anche le fatiche della stalla: i Tedeschi si erano portati via tutto, bestiame compreso. Una mucca fu sottratta alla confisca e nascosta in cantina: veniva così in qualche maniera garantito il latte ai più piccoli. Mancava anche il fieno e la mattina da ogni pajon, a turno, veniva prelevato un cesto di scartosse per la povera bestia.
Dopo la guerra il clan si ricompose. Il vecchio capo famiglia era geloso di questa unità e per non dargli un dispiacere nessuno pensava alla divisione. Ma il parroco di Visnà era sempre più preoccupato: c'era il pericolo che i giovani della famiglia amoreggiassero tra loro. La cosa fu riferita al Vescovo e questi, in visita alla Parrocchia, si recò a colloquio col capo per convincerlo dell'opportunità che la famiglia si dividesse. "...Eccellenza, anche le api convivono numerose e d'accordo nell'alveare...". Ed il Vescovo: "Anche le api sciamano...". Non si sa quanto l'intervento del Vescovo sia stato determinante. Sta di fatto che alcuni gruppi lasciarono la grande famiglia comune e si stabilirono altrove. Forse si era anche rotto qualcosa nei meccanismi che garantivano la concordia; ed il più delicato di tali meccanismi era il già citato "partir", cioè il momento in cui il bene comune veniva diviso fra tutti. Nel 1929 nella grande casa i componenti la famiglia risultavano essere appena ...55. Nel grande tinello, loro, quelli rimasti, si guardavano muti e smarriti. E, raccontandomi questa storia, Marco Brugnera, scomparso l'anno scorso a novantasei anni, mi confessava: "Ne parea de esser persi... ".
La situazione "demografica" di borgo Gradisca, di casa Zanette e Tomasella-Dal Mas era quella di tutti i borghi ed i paesi della Sinistra Piave nonché dell'Italia intera, dove le famiglie patriarcali rappresentarono per un lungo periodo la struttura sociale portante. L'ultima guerra segnò la fine del periodo aureo di questa struttura sociale, durante il quale la famiglia patriarcale fu, sia pure in modo particolare, asilo infantile (fatto spesso dai nonni), anelito di "apprendistato" e "formazione professionale", "cooperativa" di produzione e di consumo, luogo di svago e di amori (nei filò, nelle feste particolari), ma anche di educazione alla fede: insomma tutto o quasi. Sicuramente tanto. Con il passaggio alle attività industriali le grandi comunità andarono via via spezzettandosi e molte funzioni presenti in esse passarono all'esterno specializzandosi.
Un esempio incredibile di nucleo patriarcale rimane quello dei Brugnera di Visnà di Vazzola.
La famiglia Brugnera era costituita da circa 150 persone che appartenevano a 6 nuclei, tutti guidati da un unico capo, figura carismatica, rispettata e indiscussa. Coadiuvato da un consiglio formato dai capi famiglia, questi presiedeva all'organizzazione di tutte le attività, incentrate naturalmente, per quel tempo, sull'agricoltura. Venivano coltivati circa 300 campi, parte di proprietà, altri in affitto dalla contessa Corner di Venezia.
Nella grande famiglia, 154 persone nel 1909, ognuno aveva un compito ben preciso e tale compito doveva essere rigorosamente rispettato. C'erano gli addetti ai cavalli, quello ai buoi, quello ai carri, uno provvedeva alla macina recandosi quasi ogni giorno al mulino, un altro si occupava dei maiali, un altro ancora, più esperto, curava solo le api. Poi veniva l'addetto alla cantina, quello che accudiva alle pecore, ed ancora chi si occupava della provvista della legna. In tre addirittura erano i formajeri, specializzati ed impiegati solamente nella trasformazione del latte. Chi non aveva un compito specifico era impegnato nei normali lavori agricoli, organizzati in maniera meticolosa e disciplinata. Una gran quantità di forze veniva naturalmente assorbita dalla stalla, anzi dalle stalle, in quanto ve n'era più d'una. La stalla è sempre stata la ricchezza ma anche la dannazione di ogni famiglia contadina. Qui, intelligentemente, alle stalle provvedevano a turno, di settimana in settimana, le singole famiglie. Se uno era ammalato doveva vestirsi da festa in modo che fosse ben individuato e così ... nessuno podea comandarghe. C'era quindi il pericolo che a qualcuno venisse la tentazione di vestirsi da festa per ...fare l'ammalato. Dai racconti, infatti, abbiamo colto la sensazione che lo status di ammalato fosse molto appetibile. Ma ogni mattina, dai Brugnera, passava il medico che, constatata la malattia, firmava una specie di ricetta con cui veniva autorizzata una dieta speciale per il povero o ...fortunato ammalato. Per il resto la vita non doveva essere molto diversa da quella delle altre famiglie dell'epoca. La mattina, compatibilmente con gli impegni nella stalla, tutti gli uomini andavano a messa, poi nei campi.
A mezzogiorno il lavoro veniva sospeso e la sosta per il pranzo veniva annunciata dal suono di una campana. I Brugnera abitavano in più plessi attigui ma mangiavano tutti assieme. A quel tempo vi era una gerarchia anche nel posto a tavola, ma non tutti lo avevano. Infatti mentre gli uomini trovavano posto nella grande cucina, detta tinello, le donne e i bambini non vi entravano e mangiavano in piedi o seduti dove capitava. Il menù poi non era tanto vario, se è vero che i fagioli facevano la loro comparsa sei giorni la settimana e venivano fatte cinque polente al giorno, una la mattina, due a mezzogiorno e due alla sera. Per sollevare la caljera e sartar la polenta, veniva utilizzato un complesso sistema di argani e carrucole. Per fondal c'era un tavolo. La carne, cibo dei ricchi, faceva la sua comparsa la domenica e qualche volta, timidamente, il giovedì. Il pane? Mai visto a tavola. Se uno voleva mangiare pane doveva ...vestirsi da festa. Il vino, infine, veniva considerato qualcosa di veramente prezioso, tant'è che veniva partito (diviso) tra le varie famiglie; della sua parte poi, ogni nucleo disponeva come voleva, anche vendendolo. Ogni sera, dopo cena, i Brugnera si ritrovavano in stalla, dove il capo intonava il Rosario. Dopo la preghiera al Paron Grando, venivano le storie, le filastrocche, le chiacchiere sul lavoro, il tempo e spesso anche i canti. La sistemazione delle camere non risultava meno sorprendente: fatta eccezione per le coppie sposate, tutti i maschi non maritati dormivano in un'unica stanza e così le giovani, ma in plessi diversi. La solidarietà e l'ospitalità erano pratica normale: nel famoso tinello ogni giorno, assieme agli uomini, pranzavano dai dieci ai trenta estranei, poveri del paese e dei paesi vicini. Venivano ospitati e rifocillati, gratuitamente, anche i Catharut della Valcellina di passaggio. Alcuni rimanevano anche a cena, altri anche a dormire di notte, nel fienile o nelle stalle. Poteva accadere che tanta gente, priva di casa, passava lì l'intero inverno. Il numero dei commensali estranei aumentava la domenica e il giovedì (per via della carne) o quando si veniva a sapere che c'era la possibilità di una minestra calda. Anche gli zingari erano di casa, dai Brugnera. E non venne mai a mancare nulla, anche se le porte erano sempre aperte e senza chiavi (una chiave c'era, l'unica: quella della cantina).
Era tanta, allora, la povertà. Così capitava che l'addetto alla distribuzione della merenda nei campi, la mattina, al suo ritorno con l'asino trovasse sempre nel borgo qualcuno che lo aspettava, magari per una fetta di polenta fredda.
All'interno della famiglia Brugnera operavano vari mestieranti: c'era un fabbro, un falegname, un ciabattino, un barbiere e perfino un orefice. La loro opera, svolta fuori del normale orario di lavoro nei campi, veniva retribuita da chi ne usufruiva.
Non c'era nessuno che sapesse fare il sarto: un sarto doveva quindi essere chiamato da fuori; e lì passava gran parte dell'anno, regolarmente retribuito. La domenica i Brugnera facevano festa e cioè non andavano nei campi ma a messa, e si fermavano in piazza. Se eccezionalmente era necessario intervenire, o per il grano o per il fieno minacciato dal tempo, era consuetudine chiedere l'autorizzazione al parroco, autorizzazione che per altro veniva sempre concessa.
L'unico, e non si capisce perché, autorizzato a lavorare la domenica, era il barbiere. La sua professione comunque non doveva essere granché considerata, dal momento che veniva esercitata sempre e solo in stalla.
Quando c'era una festa grande venivano macellate due bestie. Ciò accadeva in occasione dei matrimoni, che venivano celebrati in primavera e autunno, anche due o tre per volta, ed in occasione dell'annuale visita della contessa Corner. Ai festeggiamenti in onore dell'illustre ospite, oltre ai soliti poveri, partecipava anche mezza Visnà. A pranzo gli invitati si accomodavano in tinello, mentre quelli di casa prendevano posto in tavoli allestiti nell'ampio cortile. A dicembre il rito dell'uccisione del maiale costituiva una festa più grande ancora della visita della contessa Corner: alle solite due bestie si "accompagnavano" ben 12 maiali. In questo singolare regime di economia, l'unico denaro "partito" fra le famiglie, era quello proveniente dalla vendita del miele e degli agnelli.
Nella grande famiglia Brugnera non ci furono mai beghe o baruffe. Sta in questa armonia, forse, l'unica spiegazione di come fosse possibile la convivenza di tante persone. Se qualche storia c'era, veniva messa subito a tacere dai vecchi e nulla trapelava all'esterno.
La donna? Sembra quasi non esserci in questa storia. Alle donne erano affidate la cucina e le cose domestiche, il pollame e l'orto. Conducevano i buoi, seminavano, vangavano, raccoglievano e trasportavano. Sommo era il rispetto per le pajolane tenute in grande considerazione e in regime di alimentazione speciale. Ma lo status di pajolana durava solo quaranta giorni, poi i piccoli venivano affidati alle anziane e l'ex pajolana, zappa in spalla, ritornava ai lavori nei campi. Si racconta che una donna, svanita nel nulla, fu ritrovata dopo mesi negada soto 'l fien: una storia che la dice lunga sulla condizione femminile d'un tempo nei nostri paesi. La grande guerra e portò povertà nera e fame, ma dai Brugnera la miseria sembrava più desolante che altrove. Non c'era nulla da mangiare. Partiti gli uomini per il fronte, tutti i lavori, anche i più duri, passarono nelle mani delle donne. Non fu però necessario che si sobbarcassero anche le fatiche della stalla: i Tedeschi si erano portati via tutto, bestiame compreso. Una mucca fu sottratta alla confisca e nascosta in cantina: veniva così in qualche maniera garantito il latte ai più piccoli. Mancava anche il fieno e la mattina da ogni pajon, a turno, veniva prelevato un cesto di scartosse per la povera bestia.
Dopo la guerra il clan si ricompose. Il vecchio capo famiglia era geloso di questa unità e per non dargli un dispiacere nessuno pensava alla divisione. Ma il parroco di Visnà era sempre più preoccupato: c'era il pericolo che i giovani della famiglia amoreggiassero tra loro. La cosa fu riferita al Vescovo e questi, in visita alla Parrocchia, si recò a colloquio col capo per convincerlo dell'opportunità che la famiglia si dividesse. "...Eccellenza, anche le api convivono numerose e d'accordo nell'alveare...". Ed il Vescovo: "Anche le api sciamano...". Non si sa quanto l'intervento del Vescovo sia stato determinante. Sta di fatto che alcuni gruppi lasciarono la grande famiglia comune e si stabilirono altrove. Forse si era anche rotto qualcosa nei meccanismi che garantivano la concordia; ed il più delicato di tali meccanismi era il già citato "partir", cioè il momento in cui il bene comune veniva diviso fra tutti. Nel 1929 nella grande casa i componenti la famiglia risultavano essere appena ...55. Nel grande tinello, loro, quelli rimasti, si guardavano muti e smarriti. E, raccontandomi questa storia, Marco Brugnera, scomparso l'anno scorso a novantasei anni, mi confessava: "Ne parea de esser persi... ".
Gianfranco Dal Mas