Cappellano Sezionale - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di CONEGLIANO
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Cappellano Sezionale

Mons. FRANCESCO SARTOR
Arciprete del Duomo di Conegliano,
Protonotario apostolico e nostro amatissimo cappellano sezionale
Ragazzo del '99, "el bonsignor" (così molti lo chiamavano a schietto riconoscimento della sua bontà) aveva combattuto sul Grappa, quale ufficiale del 7° Alpini e, con il Battaglione "Exillles", partecipò alla liberazione di Feltre.
Ordinato sacerdote nel 1928 (proprio nel suo Duomo), fu inizialmente cappellano a Serravalle di Vittorio Veneto, poi arciprete di Susegana dal 1943 al 1950 ed infine al Duomo di Conegliano.
Era direttore spirituale dell'Unitalsi veneta, fu promotore di numerose iniziative sociali e culturali; si deve a lui, coadiuvato da un comitato presieduto dal comm. Vazzoler, la realizzazione dell'impresa veramente coraggiosissima di affrontare l'opera di restauro del Duomo cittadino, che ora appare in tutta la sua originaria e squisita bellezza.
Le onoranze funebri furono celebrate dall'allora vescovo di Vittorio Veneto mons. Albino Luciani, nominato poi Patriarca di Venezia ed infine divenuto Pontefice "Giovanni Paolo I", il papa dei 33 giorni.

1931. Adunata di Genova, incontro di cappellani militari alpini. Segnato con la croce è don Francesco Sartor.

MONS. FRANCESCO SARTOR (1899-1969) cav. di Vittorio Veneto
È il primo e il più longevo cappellano sezionale. Ne sarà guida religiosa e spirituale per 40 anni, dalla sua ordinazione sacerdotale, 1928, fino alla morte avvenuta nel 1969.
Francesco Sartor era nato a Conegliano, città di alpini, nel 1899 e qui aveva avuto modo di familiarizzare con il 7° tanto che, al momento dell’arruolamento, chiese di essere assegnato ad un reparto di Penne Nere.
Ragazzo del 99, el bonsignor, così lo chiamavano affettuosamente i parrocchiani per la sua bontà, quale tenente del btg Exilles del 3° Alpini, combatté sul Grappa e tra i primi entrò in Feltre liberata. Nelle note caratteristiche il suo comandante così lo giudica: “Ottimo ufficiale subalterno alpino di complemento aiutante maggiore di battaglione”. Il settimanale diocesano L’Azione del 20 aprile 1969 così scrive: “Venuta la pace, fece la sua scelta per la vita. Non fece le cose a metà; fu tutto d’un pezzo sulla via scelta e a lui indicata dal Signore. Si aprì per lui una vita dedicata interamente a Dio e alla sua Chiesa, nell’amore di Dio e del prossimo. Il Signore, il Popolo e la Patria serviti con fedeltà, lealtà e amore, senza soste, fino alla fine.”
Nell'ottobre 1920 ricevette una lettera (n. 622 di Protocollo Riservato) da Vipiteno, sede dell’Exilles, a firma del comandante Carlo Arrigoni, indirizzata a tutti gli ufficiali del Battaglione: “…I momenti torbidi in cui viviamo (Biennio rosso, forti contrasti con la neonata Jugoslavia per la Dalmazia, n.d.a.), la bufera di odio che si scatena nel Paese, l’oblio voluto dei nostri casi e la misconoscenza delle nostre opere non debbono turbarci l’animo. Fieri del posto che occupiamo diciamoci il proponimento di superare qualsiasi difficoltà e troviamo in noi stessi la forza che ci sprona a proseguire per la nostra Via che è la Via della nobiltà, la Via della lealtà, la Via della moralità. Dati i principi che ci guidano non potrà mancare il trionfo di una causa così nobile, e le soddisfazioni che ci sono dovute. I nomi di: Paviolo, Arrigoni, Morbello, Paolucci, Penzi, Brusutti, Volante, Sartor, Marinoni, Ginestrone, devono significare un’unione fatta di comprensione reciproca dei propri meriti, e di proponimento di tutto dare per l’Italia nostra. Tutti per uno – uno per tutti.”


Francesco Sartor, ufficiale alpino durante la Grande Guerra.

È indubbio che questo forte richiamo abbia segnato profondamente il suo successivo impegno, anche nella veste di sacerdote, nell'ANA. Quand'era ancora studente di teologia (con ottimi voti viste le pagelle), da buon reduce, nel dopoguerra si attivò per fondare la Sezione alpini di Conegliano di cui divenne, fin da subito, il padre spirituale. Fu ordinato sacerdote nel 1928 e inizialmente destinato come cappellano a Oderzo e poi a Serravalle di Vittorio Veneto. Nel 1934 fu nominato parroco a Susegana e nel 1950 monsignore del Duomo della sua Conegliano, nomina che lo riempì di immensa gioia, come ebbe poi a confessare. Direttore dell'Unitalsi Veneta, si prodigò in numerose e variegate iniziative sociali e culturali. Tra le più importanti, e onerose, va ricordato il restauro del duomo di Conegliano con il loggiato e la facciata, considerata il più vasto libro murale dipinto sulla strada, affrescata da grandi artisti cinquecenteschi quali il Pozzoserrato, Francesco da Milano e il Previtali. Inaugurazione fatta dal ministro Gui.
Troviamo mons. Sartor officiante in tutti i momenti importanti della vita sezionale: la nascita dei nuovi Gruppi, il primo raduno del 7°, l’inaugurazione della Gradinata degli Alpini, le onoranze alle spoglie rientranti della M.O. Giovanni Piovesana, la benedizione della targa commemorativa del 7° alla Marras. Per il cinquantenario della Vittoria, decide di erigere nel suo Duomo, un Altare-Monumento a ricordo del sacrificio degli Alpini del 7°. “La magnifica notizia non era del tutto inattesa,- si legge nella stampa -in quanto Mons. Sartor aveva da tempo in animo di fare questo inestimabile dono che, attraverso il particolare ricordo del Reggimento che nacque a Conegliano, giunge a riconoscimento dei sacrifici e dei meriti di tutti gli Alpini d’Italia. L’Altare sorgerà con la semplicità e le caratteristiche consone alla monumentalità del Tempio il quale risale al XIV secolo e che, per la sua importanza artistica e storica, è giustamente soggetto alla vigilanza della Sovrintendenza ai Monumenti. Un Crocifisso romanico-bizantino del XV secolo, già custodito nella Sala dei Battuti, dominerà dall’alto dell’Altare, abbracciando simbolicamente tutte le Penne Mozze del 7°, valorizzando ancor più il sacrificio dei Morti, le sopportate sofferenze dei superstiti e la dedizione delle nuove e delle future generazioni del Reggimento; quella Croce rappresenterà le tante croci infisse sulle tombe del 7° e di ogni Penna Mozza d’Italia, e supplirà tutte le croci che mancano di contrassegnare i resti dei poveri Alpini spesso travolti da bufere belliche tanto violente da non consentirne la sepoltura e l’indicazione cristiana dell’estremo sacrificio.”
Si spense il 12 aprile 1969 e le esequie vennero celebrate dal vescovo di Vittorio Veneto mons. Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, il papa dei trentatre giorni che nell’omelia, con l’umanità e la modestia che lo contraddistinguevano, disse: “Ricorderemo con simpatia la sua figura. La sua bontà ha superato i difetti che tutti abbiamo, a cominciare dal vescovo che vi parla.”


Francesco Sartor con gli altri ufficiali dell’Exilles.

Così lo commemora Fiamme Verdi:
“Malgrado il suo purgatorio terreno, era stato colpito da paralisi nel 1962 mentre celebrava la S. Messa nel corso di un pellegrinaggio a Lourdes, ed aveva poi avuto alterne crisi che comportarono lunghe degenze all’ospedale, la morte di Mons. Sartor ha dolorosamente sorpreso quanti ebbero la fortuna di conoscerlo e di beneficiare del suo sempre incoraggiante consiglio; anche a noi alpini sembrava, e quasi siamo ancora affettuosamente tentati a pensarlo, che Monsignore non dovesse mai cedere. L’abbiamo invece salutato per l’ultima volta domenica 14 aprile, nel suo Duomo traboccante di folla, per l’estremo commiato. Era presente il gonfalone del Comune di Conegliano e il nostro vessillo sezionale, le bandiere delle sezioni di Conegliano dell’Associazione Combattenti e Reduci e dei Mutilati ed Invalidi di Guerra, i labari dell’Unitalsi diocesana e di Conegliano, dell’Avis, della locale Associazione Bersaglieri e del Gruppo Marinai d’Italia, le bandiere della Scuola Media Brustolon, dell’istituto Professionale per il Commercio Cima, della Scuola Media Grava, il labaro del Sodalizio Ragazzi del 99 e del Gruppo Bandistico Città di Conegliano, i gagliardetti dei nostri Gruppi di Fontigo, Pieve di Soligo, Solighetto, S. Pietro di Feletto, Falzè di Piave, Corbanese, Mareno di Piave, Collalto, Barbisano, Godega-Bibano, S. Fior, Collalbrigo, S. Vendemiano, S. Lucia di Piave, Soligo e del Gruppo-città; ce n’erano degli altri e altre bandiere, dapprima schierati su un lato dell’altare maggiore, ma non fu possibile annotarli perché ad un certo momento è stato ordinato agli alfieri di insaccarsi in un impenetrabile angolo per lasciare libero lo spazio ad alcuni reverendi. E gli alpini, che diligentemente erano giunti con un sensibile anticipo per assicurarsi il posto giusto, hanno dovuto pur mugugnando spostarsi con quei gagliardetti che, guarda un po’, sono stati quasi tutti benedetti da Mons. Sartor. È impossibile enumerare le personalità intervenute alle onoranze funebri che sono state concelebrate dal Vescovo Mons. Albino Luciani con i parroci della città. Il nostro Presidente comm. Guido Curto è intervenuto con i vice presidenti e i consiglieri, altri dirigenti sezionali, capigruppo e innumerevoli soci oltre a numerosi reduci del battaglione Exilles che ebbero commilitone il nostro compianto monsignore. S. E. il Vescovo ha pronunciato un discorso con cui ha tratteggiato la vita dello scomparso, e ne ha ricordato l’affetto sempre conservato, e generosamente espresso, che ebbe per le Penne Nere. È stato doloroso privilegio degli Alpini quello di trasportare a spalla la bara mentre, sotto la Loggia del Duomo, rendeva gli onori militari un picchetto armato del reparto di artiglieria del Gruppo missili di Oderzo; la tumulazione è poi avvenuta nella tomba della Famiglia Vazzoler. Il nostro Monsignore se ne è andato così; e tutti si sentono privati di un grande affetto e di un determinante consiglio; i congiunti, la parrocchia e suoi fedeli, le organizzazioni religiose e civili, e noi alpini che, di nascosto, per non far fare brutta figura al nostro Cappellano, affranti lo piangiamo nel grato ricordo dell’opera preziosa che anche nella nostra Sezione egli ha voluto recare con esemplare volontà alpina.”

Così, invece, L’Azione chiude il suo articolo: “… è uscito dal suo Duomo sul tardi, come al termine di una laboriosa sofferta giornata. I soldati gli hanno presentato le armi e il trombettiere ha suonato il silenzio. Sei Alpini lo hanno caricato sul furgone funebre, che si è avviato mentre tutte le bandiere si chinavano al suo passaggio.”

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