Rino Piai
RINO PIAI
un Alpino del ‘24, soldato e prigioniero
un Alpino del ‘24, soldato e prigioniero
Fiamme Verdi Luglio 2005 di Renzo Sossai
Ecco la storia di Rino Piai, partito da Collalto per la guerra a 19 anni, tornato a casa dopo due anni e mezzo. Una storia semplice fatta di sacrificio e sofferenze estreme esalta il valore dell'amicizia anche tra soldati di fronti opposti.
La recluta Rino Piai - in abiti civili
L'alpino Rino Piai (a sinistra) - Rino Piai con tre commilitoni a Pieve di Cadore
Nel corso del 2° conflitto mondiale i coscritti del 1924 furono gli ultimi ad essere arruolati dal Regio Esercito Italiano.
Essi si trovarono a svolgere il loro servizio di leva, giovanissimi ed inesperti, nel momento più ambiguo e controverso dell’intera tragica vicenda bellica: l’8 settembre 1943.
Alcuni di quei ragazzi d’allora, sono ancora viventi e fanno parte della nostra Sezione A.N.A..
Ho raccolto le desolate vicissitudini di uno di loro: Rino Piai del Gruppo di Collalbrigo. Egli è nato a Collalto di Susegana il 21 aprile 1924. Il padre Arcadio, classe 1896, che nella vita civile fece come Rino l’agricoltore, era un Cavaliere di Vittorio Veneto avendo combattuto nella grande guerra come artigliere alpino del Gruppo Conegliano: Il 24 maggio 1943 Rino fu chiamato alle armi, assegnato alla Compagnia Comando del Btg Pieve di Cadore del 7° Rgt Alpini a Pieve di Cadore. L’addestramento ed il conseguente giuramento al Re ed alla Patria avvenne ad Agordo. In seguito fu mandato a Bassano del Grappa e poi a Schio. Proprio in quest’ultima località vicentina, la notte fra l’8 e il 9 settembre 1943 Rino fu fatto prigioniero in circostanze che appaiono ancora strane a distanza di oltre sessant’anni. Rino che aveva appena terminato il servizio di guardia, fu recluso assieme a molti altri commilitoni da un plotone di tedeschi improvvisamente penetrati nella caserma. Da quel momento iniziò la sua odissea e quella di tutti gli altri sventurati compagni. Caricati dai militari tedeschi a calci e a spintoni su una tradotta ferroviaria diretta in Germania, capirono subito quale trattamento avrebbero ricevuto. Rino e gli altri furono chiamati da quel giorno “badogliani” che nell’immaginario collettivo tedesco significava vili, traditori, come se fossero stati loro i responsabili della decisione presa dagli alti comandi del Regio Esercito Italiano.
Ricorda come fosse ieri il tentativo di fuga di alcuni dei prigionieri. Essi morirono trucidati sulle rotaie, falciati dai mitra dei tedeschi, senza alcuna pietà. Il viaggio durò circa 8 giorni, nei quali i prigionieri furono lasciati senza cibo e l’acqua per dissetarsi e per la minima igiene personale proveniva da alcune botti e probabilmente non era neanche potabile. Gli rimane nel cuore, nell’unica fermata fatta dalla tradotta a Mantova, la solidarietà di alcuni civili che gettarono dentro i vagoni delle angurie rischiando la feroce reazione nazista. Arrivarono a Neu brandenburg dove per circa 20 giorni con zappe e badili allargarono e pianificarono la pista del campo d’aviazione militare. La fame era sempre l’altro grande nemico da sconfiggere e quando i prigionieri zappando scorsero delle piccole patate sul fondo del terreno non resistettero. Le raccolsero e le nascosero fra le falde dei pantaloni sino a quando qualcuno dei sorveglianti scoprì tutto ciò riservando loro alcune nerbate al grido di “maledetti badogliani”.
Furono poi trasferiti a Berlino ed infine nella periferia di Colonia ove furono impiegati in una fabbrica di bombe. Rino passava dodici ore filate per sette giorni la settimana forando con un trapano dei proiettili di grosso calibro. La sera tornava in camerata laddove un pagliericcio pieno di pidocchi lo attendeva. Il numero di matricola da prigioniero era: 102350 IIA. Il rancio era misero per quantità e qualità. Qualche patata, soprattutto bucce di patate cotte alle belle meglio su una pentola di rame, una fetta di pane nero e un gavettino di brodaglia puzzolente. A Natale e a Pasqua, una fetta di pane bianco diversificava un po il rancio, portando in compenso la nostalgia per le feste passate a casa con i propri cari. Ogni tanto arrivavano dai familiari i pacchi contenenti biancheria, biscotti, sigarette. Quest’ultime Rino le regalava ad un controllore, tale Kurt Projar, un buon uomo che in cambio gli dava qualche pezzo di pane e qualche patata. Per un ragazzo di vent’anni l’appetito non si placa facilmente ed un giorno, mentre si recava al lavoro, scorgendo delle carote sulla mangiatoia dei cavalli, istintivamente allungò la mano afferrandone una. Non riuscì a terminare il primo morso perché da dietro un anziano riservista gli sferrò diverse bastonate sulla schiena, caduto a terra lo colpì con calci al corpo, calpestandogli con cattiveria la spina dorsale ed infine per disprezzo lo colpì nuovamente con un calcio nel sedere. Il risultato di questo pestaggio venne a galla diversi anni dopo la fine della guerra, quando Rino cominciò ad avere problemi cronici alla schiena. Egli ritrovò gli anelli schiacciati tanto da diventare sempre più ricurvo. Intanto le fortezze volanti americane bombardavano senza sosta radendo al suolo le città tedesche. Il 14 aprile 1945, quando omai le sorti del conflitto erano segnate, la fabbrica di bombe venne chiusa ed i prigionieri si trovarono liberi e di fatto sbandati.
Rino camminò per tre giorni, dormendo all’addiaccio e nutrendosi di radici. Incontrò un prete che zappava l’orticello attiguo alla sua modesta dimora. Il sacerdote che non aveva nulla di commestibile da offrirgli gli regalò un “santino” che Rino conserva ancora considerandolo un po’ il portafortuna di quelle vicende sofferte. Passo dopo passo egli arrivò nei pressi di una fattoria ove ebbe la felicissima sorpresa di trovare come proprietario Kurt Projar il buon controllore della fabbrica. Quest’ultimo, che per Rino aveva sempre avuto compassione, lo rifocillò con pane e speck. Per circa 8 giorni, il nostro ricambiò l’accoglienza accudendo alle bestie della stalla, spaccando la legna e tagliando la siepe attorno alla casa. Sapendo della presenza di una latteria a qualche ora di cammino dalla fattoria, Rino, ricevuta dal Projar una certa quantità di carne di vitello macellata, la scambiò con formaggi e ricotte. Finalmente dopo tre anni aveva finalmente riempito lo stomaco a dovere, riscoprendo sensazioni ormai dimenticate. In quel preciso istante comparve la figura di un compaesano anch’esso ex prigioniero e sfollato. Rino lo accasò temporaneamente presso la fattoria del controllore. Il paesano, vedendo tutto quel formaggio, insistette nel consigliare il Piai di risparmiarne per ogni evidenza. La mattina successiva Rino, fattosi convinto a malavoglia, nascose per bene il formaggio vicino al pagliericcio, la sera ritornati dal lavoro rimasero sbigottiti davanti al fatto ormai compiuto. I gatti, affamati come i cristiani ancor più del solito, avevano fatta piazza pulita. Di là a pochi giorni, arrivò un’imponente colonna corazzata americana che senza grosse difficoltà s'impadronì del territorio. Furono requisiti vestiario e cibo destinati ai soldati alleati ed agli ex prigionieri. Rino assieme ad altri rimase aggregato agli americani per oltre cinque mesi. In autunno vi fu il sospirato ritorno in Italia. Una tradotta ferroviaria portò il nostro da Colonia a Bolzano ove le autorità italiane lo presero in consegna inviandolo a Verona. Nella città scaligera un camion con una crocerossina a bordo era venuto da Vittorio Veneto per riportare alle proprie case questi ragazzi. Il 18 ottobre 1945 l’automezzo non senza alcune peripezie, giunse a Collalto. Di quel momento in Rino è stampato nella mente il pianto dirotto della mamma Silvia che da oltre un giorno, precedentemente avvisata, aspettava assieme agli altri familiari il ritorno a casa del figlio. Tra gli altri cari vi era il fratello Bruno, classe 1922, anch’egli tornato da poco dalla prigionia.
Tornato finalmente alla vita civile, Rino Piai con tutta la sua famiglia si trasferì nel 1954 a Collalbrigo e nello stesso anno si sposò con Bertilla Lorenzetto. Dall’unione sono nati Valeria, Armando e Romano. L’anno scorso Rino e Bertilla, attorniati dall’affetto dei figli e dei nipoti, hanno festeggiato il 50° anniversario. A concelebrarlo assieme al parroco Don Antonio Della Giustina è stato Don Ovidio Festini che con Rino condivise la durezza dei campi di prigionia ed ha mantenuto nel corso di questi sessant’anni un rapporto fraterno.
Rino Piai, iscritto all’A.N.A. da oltre cinquant’anni, fino a quando i problemi alla schiena non si sono fatti sentire ha partecipato volentieri a molte adunate nazionali ed altri raduni locali.
Nel Gruppo di Collalbrigo egli ha ricoperto per parecchi anni la carica di revisore dei conti, orgoglioso di aver fatto parte del 7° reggimento alpini e profondamente sereno nell’aver compiuto il proprio dovere nella barbarie della guerra e nella sofferenza della prigionia.