Storia del 7° alpini - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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Storia del 7° alpini

Storia
7 ALPINI
Sintesi storica del 7° Alpini
Fiamme Verdi Maggio 1961
"AD EXCELSA TENDO"
Ai tempi in cui Giuseppe Perrucchetti, capitano di Stato maggiore, prospettò la fondazione del Corpo degli Alpini, dopo aver studiato attentamente la campagna del 1866 e constatato che gli svantaggi dell’esercito italiano erano dovuti alla convinzione che la difesa della frontiera del nord dovesse trovare applicazione dalla pianura.
In uno studio del maggio 1872 su «La difesa di alcuni valichi alpini e l’ordinamento militare territoriale nella zona di frontiera», Perrucchetti suggerì di iniziare la difesa nelle Alpi, mediante l’istituzione di una truppa speciale reclutata in zone montane e quindi maggiormente idonea a sopportare una lotta armata tra i monti.
A quel tempo Perrucchetti contava oltre dieci anni di naja poiché, nato a Cassano d’Adda nel 1839, si arruolò volontario a vent’anni e si dedicò in modo particolare allo studio dei confini di Italia pubblicando, tra l’altro, le interessanti monografie «Dal Friuli al Danubio» nel 1879, «Il Tirolo» nel 1881 e «La difesa dello Stato» nel 1884; divenne insegnante di geografia presso la scuola superiore di guerra, generale comandante delle Divisioni di Firenze e Milano e, infine, senatore del regno.
Quando morì, a Cuorgné (nei pressi di Torino) nel 1916, il «La Marmora degli Alpini» ebbe la consolazione di vedere l’utilità della sua proposta di molti anni prima, anche se non ha potuto godere della vittoria conclusiva in buona parte dovuta ai suoi soldati col cappello dalla penna nera.
Il seme gettato con il citato ampio studio pubblicato nella «Rivista Militare Italiana» aveva celermente dato il frutto grazie al Ministro della guerra Gen. Ricotti Magnani; l’istituzione del corpo degli Alpini venne decretata il 15 ottobre 1872 e funzionò regolarmente dal successivo anno mediante quindici compagnie distrettuali formale da soldati provenienti dalla fanteria e dai bersaglieri e che lasciarono il chepì per il cappello alpino.
I quindici raggruppamenti alpini vennero dislocati in Piemonte, Lombardia e Veneto: in particolare, la 14a compagnia ebbe sede immediata a Treviso e la 15a a Udine.
Le compagnie riunite in quattro «Reparti» giunsero presto ad essere 72 per cui, nel 1875, vennero inquadrate in venti battaglioni e successivamente in sei reggimenti.
Il 6° Reggimento Alpini venne ad avere un Battaglione «Cadore» formato dalle compagnie 65a, 66a, 67a e 68a e comandato dal Ten. Col. Nicola Conti-Vecchi che proveniva dal 5l° Fanteria.
Il Btg. «Cadore» aveva la propria sede estiva a Pieve di Cadore e d’inverno si portava a Conegliano.
In base al decreto del 10 luglio 1887 7° Corpo vene ridimensionato a ventidue battaglioni per cui il 6° Alpini cedeva il Btg. «Cadore» col quale VENNE ISTITUITO IL 7° REGGIMENTO ALPINI A CONEGLIANO il 1° agosto dello stesso anno; il comando venne assunto dal colonnello Angelo Fonio che lo conservò per cinque anni.
Deve essere stata una gran bella festa quel giorno qui a Conegliano e qualche vecchio coneglianese ricorderà forse la bevuta inaugurale dei primi «bocia» del 7°.
Non erano però tutti presenti gli alpini del nuovo reggimento.
Le compagnie 64a, 65a e 66a formarono il battaglione «Feltre», la 67a, 68a e 75a il «Pieve di Cadore» mentre il Btg. «Gemona» venne composto con le compagnie 69a, 70a, 71a e 72a. All’atto della costituzione in Conegliano, la 69a compagnia del «Gemona» si trovava già dal 23 marzo in Africa, col Corpo di spedizione del generale Baldissera ed inquadrata nella terza Brigata di San Marzano «1° Battaglione Alpini d’Africa».
Per il 7° Alpini le rogne son cominciate con la nascita e il battesimo è stato veramente di fuoco; battesimi e cresime succedutisi con tremendi ricorsi in tante, in troppe guerre, ma che danno modo ai «bocia» di oggi di non vergognarsi, ma di andare invece orgogliosi delle fiamme verdi che portano e del magico numero che fregia l’aquila del loro cappello d’alpino: il 7°!
UNO DELL’8° JULIA

7° ALPINI
Fiamme Verdi Dicembre 1961
Le prime battaglie africane del VII Alpini
(Seconda puntata)
 
S’è visto come il Settimo iniziò ad essere impiegato fin dalla nascita nelle ambe africane, con la 69a Compagnia del  «Gemona» composta di sei ufficiali e 291 uomini di truppa.
Pochi anni dopo, con l’aggravarsi dei rapporti con l’Abissinia a seguito della revoca del trattato di Uccialli, il primo  Battaglione Alpini d’Africa venne ricostituito col comando del Maggiore Davide Menini il quale, col grado inferiore,  aveva fatto parte del 7°.
Il nostro reggimento concorse alla formazione del reparto d’Africa inviando 15 ufficiali, 19 sottufficiali e 514 uomini  di truppa dal 29 dicembre 1895 all’8 giugno 1896 mentre il 27 febbraio dello stesso anno vennero inviati dieci ufficiali e 366 alpini.
La battaglia di Adua rappresentò la fase più sanguinosa dei vari fatti d’arme succedutisi in pochi mesi, e venne  combattuta l’1 marzo del 1896 sull’Amba Rajo contro le orde abissine iniettate di odio e favorite dalla completa  conoscenza della località oltre che dalla sensibile superiorità numerica. Furono pochi gli alpini che si salvarono dagli  assalti impetuosi della cavalleria galla; anche Menini, divenuto tenente colonnello, cadde alla testa dei suoi uomini.
Sessanta furono i caduti del «Settimo» (altri 52 morirono precedentemente) tra i quali uno decorato con la medaglia  d’argento ed altri con quella di bronzo al valore militare.
Il Col. Fonio, primo comandante del reggimento dalla costituzione al 13 luglio 1892, venne sostituito dal Col. Pietro  Zanucchi Pompei dall’1 agosto 1892 al 3 marzo 19896 al quale seguirono il Col. Domenico Pianavia Vivaldi fino al 29  settembre 1900 e il Col. Pasquale Oro fino al 6 giugno 1907.
Con il successivo comandante Col. Donato Etna (che resse il reggimento fino al 7 marzo 1912) nacque in seno al  «Settimo», nel 1908, il battaglione «Tolmezzo» con le compagnie 6’, 12’ e 72’ il quale, assieme al «Gemona» venne  destinato alla formazione dell’8° Reggimento Alpini sorto il 1° ottobre 1909.
il 7° venne reintegrato un anno più tardi con la formazione del Btg. «Belluno» (compagnie 77a e 78a) che andò ad  aggiungersi agli altri battaglioni: il «Feltre» e il «Pieve di Cadore».
Un consistente impiego dei nuovi reparti non tardò a verificarsi con la guerra di Libia.
Il 7° Alpini contribuì con 255 uomini aggregati al battaglione «Saluzzo» a fine settembre 1911 mentre altri cento uomini  vennero destinati, due mesi dopo, alla costituzione del Btg. «Fenestrelle»; a metà gennaio altri quaranta alpini vennero  assegnati all’«Edolo» e ottanta al battaglione «Verona».
Anche il comandante del reggimento, il Col. Luigi Dalmasso che tenne il comando dal 17 marzo 1912 al 18 febbraio 1915,  partì successivamente per la Libia seguito, il 28 settembre con imbarco a Napoli per Tripoli, dall’intero battaglione  «Feltre» composto di 18 ufficiali, 13 sottufficiali e 661 alpini e graduati.
La divisione mista comandata dal Gen. Lequio comprendeva una brigata retta dal Gen. Luca Montimori e alle cui  dipendenze apparteneva il «Reggimento Alpini Speciale» del Col. Antonio Cantore; al «papà degli Alpini» venne quindi  affidato il «Feltre» comandato dal Ten. Col. Aldo Barbieri.
La guerra italo-turca non fu facile come potrebbe sembrare ai più giovani.
I reparti italiani, tra i quali gli alpini del «Susa», del «Vestone», del «Tolmezzo» e i nostri del «Feltre» che  comprendeva anche molti
scarponi abruzzesi fedeli e buoni come di consueto, ebbero da menare le mani per vario tempo forse e soprattutto dopo  la firma del trattato di pace con la Turchia del ottobre 1912.
Le bande ribelli che facevano capo ad El Baruni, già deputato al parlamento turco, resero presto grave la situazione e,  per meglio combatterle con un approvvigionamento adeguato, gli alpini costruirono nella roccia del Gebel una agevole  strada camionabile verso l’altopiano, Azizia, Bu Gheilan, fino alla Gefara.
Sia pur detto per scherzo, gli alpini fecero persino venire la neve nel deserto, tanto per trovarsi a maggior agio: alla  fine di febbraio del 1913 la neve scese infatti copiosa nelle aride dune del Gebel.
Il 21 marzo iniziarono i primi combattimenti, particolarmente acuitisi due giorni dopo tanto da classificarli  storicamente come la «battaglia di Assaba». Meriterebbero una citazione tutti i reparti alpini (sostenuti dalle batterie  Avogadro di Collobiano e Cermelli del 1° Montagna) e le altre unità del nostro esercito, oltre che i volonterosi  avversari arabi tra i quali militarono anche delle eroiche donne di colore.
Limitiamoci, data la peculiarità della presente modesta e breve pubblicazione, agli eroismi dimostrati dagli scarponi  del 7° che, col Cap. Baratta, ebbero i primi scontri col nemico.
La vittoriosa avanzata italiana fino al limite del deserto e al confine tunisino si concluse con la sottomissione dei  ribelli di El Baruni ma quando gli alpini, superata Nalut, partirono per un periodo di riposo, vennero prontamente  reimbarcati per Derna allo scopo di fronteggiare la conseguenza della sconfitta subita da reparti dei nostro esercito a  Sidi Garbàa (Cirenaica).
Gli alpini vennero incorporati nella divisione del Gen. Tassoni, sempre al diretto comando di Cantore, si batterono alla  battaglia di Ettangi e, il 15 settembre, al combattimento di Zavia Osur e a quello di Bu Gazal del 24 febbraio 1914 che  concluse il dissolvimento nella banda di Enver bey.
Qualche altra perdita di uomini il «Feltre» subì nelle operazioni di rastrellamento alla baionetta tra Tecniz e Bu Gazal  e nella ricognizione conclusiva da Gare-Te-kassis e Lezza, conclusasi il 13 maggio a Merg e a Islis il 23 delle stesso  mese.
Il 17 agosto il «Feltre » e gli alni alpini si imbarcarono vittoriosi sul «Valparaiso » giungendo a Napoli tre giorni  più tardi.
Il 23 marzo, data della battaglia di Assaba, venne assunta a festa
del 7° Alpini fino alla fine della prima guerra mondiale che avrebbe visto altre e più gloriose imprese dei «veci».
La guerra italo-turca in Libia costò ai Reggimento 71 morti; 14 furono le medaglie d’argento conferite al v. m. e 26  quelle di bronzo mentre gli encomi solenni furono almeno diciassette. La bandiera del reggimento venne pure decorata di  Medaglia d’Argento al v.m. «per la splendida prova di valore data dal battaglione «Feltre» nel combattimento del 23  marzo 1912 ad Assaba».

7° ALPINI
Fiamme Verdi Giugno 1962
Il 1915 del «Settimo»
(3a puntata)

Con la nostra breve sintesi storica del 7° eravamo giunti all’agosto del 1914 quando gli Alpini del «Feltre» sbarcarono a Napoli a conclusione della campagna di Libia e delle successive operazioni di consolidamento.
Il Reggimento, ancora comandato dal Col. Luigi Dalmasso, era formato dai battaglioni «Feltre», «Pieve di Cadore» e «Belluno» ai quali si aggiunsero il Btg. «Val Cismon» costituito a Feltre e il «Val Cordevole» nato a Belluno, entrambi il 15 febbraio 1915, seguiti successivamente dai nuovi battaglioni «Val Piave», «Monte Pavione», «Monte Antelao» e «Monte Pelmo».
Dall’11 marzo all’1 settembre 1915 il Settimo Alpini ebbe a Comandante il Col. Giovanni Arrighi seguito dal Col. Giuseppe Tarditi che mantenne il comando fino al 23 marzo 1917 dalla cui data, e fino alla fine della guerra, il Reggimento non ebbe più un comandante titolare.
IL «FELTRE»
Il «Feltre», al comando del Ten. Col. Aldo Barbieri, lasciò le sedi di Lamon e di Moline attestandosi prima tra il medio Cismon e il Senaiga e il 24 maggio sul Colle di Cee superando il confine con occupazione del Monte Remit, di Col degli Uccelli e di Monte Agaro e, a metà giugno, forcella di Val Regana, forcella Magna, la stretta di Pralongo e forcella Valsorda.
A quota 2148 di Cima d’Arzon, nel luglio 1915, le condizioni del tempo erano pessime e l’opera delle pattuglie particolarmente faticosa malgrado l’aiuto notevole della 4’ e della 5 batteria da montagna.
Particolare ricordo meritano l’azione di una compagnia del «Feltre» in una incursione sul Monte Collo, il combattimento di altro reparto nei paese di Mar e l’attacco della 65’ del Cap. Nasci a Salubio e nei dintorni di Malga Mondana.
A metà ottobre il battaglione si trasferì a Malene per il riatto di opere difensive alla forcella Magna e a quota 2847 di Malga Cima d’Asta; scese poi scese nella conca di Castel Tesino e infine a Strigno e Malga Lopetto per rientrare poi per il presidio di Forcella Val Regana e Forcella Magna, Convegno, Pieve Tesino e Bagni di Sella, fino a fine dicembre,
Il comando del Btg. «Feltre» era passato provvisoriamente al Cap. Firminio Favaro e, dall’1 novembre, al Magg. Ugo Bosio.
IL «PIEVE DI CADORE»
Il Battaglione «Pieve di Cadore», comandato dal Magg. Carlo Buffa di Perrero e composto di cadorini, trevigiani ed abruzzesi, era disseminato, ai primi di maggio del 1915, su di un vasto settore e comprendeva il tratto da Monte Piana a Forcella Pian di Cengia, il Col Quaternà, Forcella Lavaredo, Val dell’Acqua, o posti di osservazione in Val Popena, Forcelle dell’Arghena e Col di Mezzo. Prima ancora della dichiarazione ufficiale del conflitto, gli austriaci spararono agli alpini della 67a compagnia del Cap. Busolli, intenti a lavori di rafforzamento, uccidendone due.
Il Battaglione visse l’anno 1915 in modo intensissimo, conseguendo notevoli risultati e pagando con un elevato numero di caduti e di feriti il proprio valore.
Gli austriaci non diedero mai tregua agli scarponi del «Cadore» i quali reagirono efficacemente fin dai primi giorni.
Forcella Lavaredo fu ripresa dopo poche ore e così Forcella Passaporto.
La 67° compagnia raggiunse la quota 2746 di Monte Paterno il 29 maggio mentre imprese ardimentose vennero svolte con successo da varie pattuglie.
Nel mese di giugno il battaglione ebbe affidata la linea M. Cengia - M. Paterno - Forcella di Lavaredo.
In collaborazione con i fratelli del «Val Piave», un enorme faro venne portato in luglio fin sulla vetta della Cima Grande; con le panze longhe della 58° batteria venne issato un pezzo d’artiglieria sullo spigolo sud-est; Don Piero Zangrando salì a celebrare una Messa per le penne nere che andavano a morire per la Patria.
Sulla fronte Cima Frugnoni - Cima Vanscuro - Monte Cavallino l’attacco italiano tra il 9 e il 12 luglio venne sferrato dalla Brigata «Basilicata» del 91° e 92° Fanteria, dall’8° Bersaglieri e da due compagnie del «Finestrelle»; durante gli infruttuosi attacchi fino al giorno 18 il Btg. «Cadore» subì notevoli perdite di uomini.
La 96° compagnia appoggiò tra il 15 e il 20 luglio l’attacco al Monte Piana compiuto dalla Brigata Marche (il trevigiano 55° Fanteria col 56° Rgt.) raggiungendo le linee nemiche dalle quali dovette retrocedere a causa dei proiettili a gas; i morti della compagnia furono una cinquantina e oltre sessanta i feriti.
Dal 27 al 31luglio pochi alpini guidati dai tenenti De Zold e Tarra e dal ten. Salvetti della 23° batteria da montagna, perlustrarono il Monte Popera, la cresta Zsigmondy e Cima Undici e nei quattro successivi giorni, unitamente ai montagnini, i pezzi d’artiglieria vennero trainati fino ai punti prestabiliti.
Cresta Zsigmondy, la Forcella di destra e Forcella della Tenda di Cima Undici vennero presidiate saldamente.
Nella seconda decade di agosto gli scarponi del «Cadore» con quelli del «Val Piave» e la brigata «Marche» ebbero l’ordine di conquistare il Rifugio Tre Cime, il Sexten-Stein e l’Alta Valle del Bacher.
Si distinsero particolarmente la 68° del ten. Giusti del Giardino, la 96° del ten. Cavallari, la sezione mitragliatrici i cui uomini avanzarono senza tregua per quattro giorni per conquistare il Rifugio e il Sexren-Stein.
Alla 67° Compagnia del Cap. Busolli e alla 4° sezione mitragliatrici spettò il compito di raggiungere il Passo Bacher e spazzare gli austriaci da Forcella del Pulpito a quota 2593, con un’azione iniziata il mattino del 4 agosto e conclusa dieci giorni più tardi, mentre il 17 agosto due plotoni della 67à e due di fanti del 56° Reggimento occuparono con venti minuti di lotta alla baionetta i trinceramenti sottostanti.
Una strenua difesa venne opposta dal nemico nelle valli Boden, Bacher ed Altenstein, con un tentativo di raggiungere il versante ovest di Cima Undici impedito il 14 settembre da una squadra della 68° compagnia.
Gli austriaci erano però ancora appostati sulla Forcella Grande e la Cresta Bianca, dominando in tal modo Som Forca e Valgrande, ma due plotoni della 75° del «Cadore» provvidero a snidarli il 13 agosto salendo le rocce del «Vecchio del Forame» annientandone il presidio nemico e conquistando la Cresta e Forcella Grande nella notte del 20 agosto.
Nello stesso tempo gli altri due plotoni e la sezione mitragliatrici, unitamente a gruppi dell’8° bersaglieri, occuparono la cima dei Cristallo spingendosi fino a Forcella Staunies; seguirono poi contrassalti nemici particolarmente poderosi ma il 15 settembre gli alpini prevalsero decisamente.
Il Battaglione «Cadore» si riunì il 15 ottobre a Tre Croci dove ebbe a comandante interinale il Cap. Leonardo Gatto Roissard fino all’assunzione del comando da parte del Magg. Pietro Carraro.
Un notevole contributo di sangue il battaglione versò nei mesi che seguirono, per occupare le posizioni tenute dagli austriaci sul versante Nord nel Cristallino d’Ampezzo.
Per mimetizzarsi nella neve abbondante gli alpini andarono all’assalto in mutande e camicia indossando la divisa come biancheria.
Il 19 ottobre la 67° di Pocchiola puntò sullo Shönleitenscheide e la 75° compagnia di Gatto Roissard ebbe come direttrice Val Pra del Vecchio; il giorno successivo la 68° di Porta sali a Forcella Verde ove venne in parte catturata dopo un duro combattimento.
Il giorno 21 il battaglione attaccò disperatamente obbedendo all’ordine che i comandi superiori trasmisero con fonogramma; gli alpini andarono al massacro conseguendo solo parziali successi.
Il giorno 23 giunsero per il cambio i reparti del «Fenestrelle » e la 96° compagnia del «Cadore» ma anche le posizioni conquistate vennero abbandonate per l’impossibilità a presidiarle durante i mesi più rigidi.
Mentre controllava la linea Forcella Longeres - Monte Cengia - Bacher Bach, dal 24 novembre a fine dicembre il battaglione «Pieve di Cadore» si riorganizzò e reintegrò nelle perdite ammontanti a circa 280 uomini tra morti, feriti e congelati.
IL « BELLUNO»
All’inizio delle ostilità il battaglione «Belluno», al comando del Magg Eugenio Probati, era costituito dalle compagnie 77°, 78°, 79° e 106° e dislocato in Val Pettorina nella linea Malga Ciapela - Col Federa - Rocca Pietore - Serraguda.
Pochi giorni dopo il battaglione occupò la zona dal Passo Fedaia ai Monti Mesola e Padon costringendo il nemico nella valle dell’Avisio e sul Sasso di Mezzodì. Un attacco effettuato l’1 giugno a quest’ultima posizione non riuscì a causa della nebbia, mentre una settimana dopo ebbe successo l’azione su quota 2648 del Passo Contrin con buon merito dell’alpino Schiocchet detto «il diavolo nero».
Frustati dagli austriaci i tentativi, dal 14 al 27 giugno, di consolidamento su altri punti di Val Contrin, il «Belluno» scese prima a Rocca Pietore spostandosi poi vicino a Cortina a disposizione della 17° divisione.
Dal 7 al 10 luglio il «Belluno» occupò Forcella Bois e quota 2509 di Cima Bois con una serie di sanguinosi combattimenti; Angiolin Schiocchet si meritò una nuova decorazione diventando caporale e «Lupo delle Tofane».
Una puntata oltre Cima Bois fu contrastata dalle valide truppe tedesche da montagna, giunte a rinforzo degli austriaci; un tentativo dei tedeschi di riprendere le nostre posizioni di Forcella e Cima Bois venne definitivamente stroncato dagli alpini del «Belluno» i quali ritornarono al contrattacco il 21 luglio occupando alcune posizioni della 1° Tofana.
Il mese di agosto vide frequenti combattimenti da Punta Marietta a Cima Tofana fino a che il «Belluno» ad esclusione della 77° rimasta a Forcella Fontanegra, (Campo di Sotto) al comando temporaneo dei Cap. Alessandro Gregori seguito per altro breve periodo dal Cap. Ernesto Polli.
Il battaglione fu al completo in linea il 22 settembre per tentare l’occupazione del Castelletto dopo che i volontari feltrini ebbero occupata la vetta della prima Tofana (m. 5225); il Magg. Edoardo Grandolfi assunse il comando dal 24 settembre conservandolo per quasi un anno.
Un plotone della 78°, al comando del s.ten. Carrera, portò armi e munizioni superando la parete che conduce al Sasso Misterioso, ma con un ritardo che aveva ormai fatto sospendere la concomitante azione degli altri reparti; non fu possibile avvertire il plotone avanzante il quale assaltò da solo la trincea nemica venendo successivamente distrutto dalla reazione dell’avversario.
Anche gli altri plotoni della 78° non ebbero fortuna malgrado il coraggio impiegato nell’azione alle spalle del Castelletto e dovettero ripiegare per deficienza di munizioni.
Parziali risultati conseguì la 79° compagnia nel fondo di Val Travenanzes, come pure l’azione tra il 16 e il 17 ottobre cui partecipò l’intero battaglione dimezzato dalle perdite.
Unitamente al «Val Chisone» il «Belluno» occupò la quote 2590 dei Piccolo Lagazuoi e quota 2480 del vicino ripiano,
Ad eccezione della 106° compagnia rimasta a presidiare la prima Tofana, il battaglione venne trasferito alla base del Col di Lana per un non riuscito attacco alla vetta.
Alla fine del 1915 le compagnie 78° e 79° raggiunsero Col di Cortina d’Ampezzo per un periodo di riposo mentre la 77° rimase ai piedi dei Col di Lana e la 106° sulla Tofane.
IL «VAL CISMON»
L’epopea del «Val Cismon», rievocata nei numero di agosto dei nostro giornale, merita una ripetizione in occasione di questo riassunto storico riguardante la tormentata vita del 7° durante il 1915, anno in cui il «Cismon» (esattamente il 15 febbraio) venne costituito a Feltre al comando del Magg. Quintino Ronchi cui succedette per breve tempo il Magg. Girolamo Pezzana sostituito poi, il giorno della dichiarazione di guerra, dal Magg. Giuseppe Rambaldi.
Il 24 maggio le due compagnie dei battaglione, 264° e 265°, si trovavano rispettivamente a Malga Vette Grandi e a Malga Monsampiano, riunendosi al passo della Finestra e raggiungendo i capisaldi del Monte Pavione il giorno successivo.
Quindici giorni più tardi il «Val Cismon» occupò Fiera di Primiero e Imer, appostandosi a difesa del Col degli Uccelli e di Monte Scroz.
Dopo aver occupato vari passi di montagna e svolto intensa attività di pattuglia, il battaglione conquistò il 17 settembre un posto avanzato a Col S. Giovanni, perdendo il ten. Palatini e subendo due feriti: il s.ten. Manlio Feruglio di Treviso (medaglia d’oro nel dicembre 1917) e il suo attendente.
L’occupazione di Col S. Giovanni fu completata il 18 ottobre dalla 264° compagnia, mentre la 256° subì una perdita del proprio comandante Cap. Bianchi senza poter raggiungere la meta di Monte Setole.
Il primo anno di guerra fu particolarmente intenso per il «Val Cismon», impegnato in ricognizioni, attacchi ed azioni diverse in Valsugana; a fine dicembre il battaglione evitò un accerchiamento nel corso di un negativo attacco a Monte Carbonile.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Agosto 1962
Il 1915 del «Settimo»
(4a puntata)  
IL «VAL PIAVE»
Il Battaglione «Val Piave», derivato dal Btg. «Cadore », nacque il 24 maggio 1915 con le compagnie 267a e 268a al comando del Ten. Col. Antonio Gioppi e inizialmente svolse servizio di avamposti in Val Bona e Val Popena, spostandosi poi in Val dell’ Acqua e a Monte Cengia. Altro spostamento il 4 giugno a Forcella Longeres, poi a Forcella Lavaredo e a Monte Piana di dove il giorno 7 la 268a compagnia venne estromessa da un improvviso attacco nemico.
Dopo un breve riposo al Casone della Crociera in Val Marson, il battaglione tornò a Forcella Lavaredo e a quella di Longeres inviando distaccamenti a quota 2476 della zona del Paterno e a m. 2704 di Cima Passaporto.
Fu il nemico ad attaccare nella prima settimana di luglio ma venne respinto mentre nei successivi giorni la 267a compagnia del «Val Piave», con altro reparto del «Cadore», trasportò il citato enorme faro sulla Cima Grande e che sarà utilissimo per le azioni sui Passo Tobliger e il Sexten-Stein; anche un cannone della 58a batteria venne portato, come si disse, a due terzi della parete.
A metà agosto il Passo e il Rifugio Tre Cime vennero conquistati d’impeto e il periodo successivo dedicato a lavori di fortificazione fino a che il battaglione si riunì ad Auronzo nella prima settimana di novembre.
Il primo Natale di guerra vide il «Val Piave» a presidio del più importante displuviale del Cristallo: dall’Ospizio Tre Croci al Som Forca, dalla Cresta Bianca alle Forcelle Grande e Staunies fino al Cristallino.
Il «VAL CORDEVOLE»
Il battaglione venne fondato il 15 febbraio 1915 a Belluno e al primo comandante Cap. Silvio Magnaghi succedette, dal 24 ottobre, il Magg. Olivo Sala.
Allo scoppio della guerra l’unità era appostata tra i Passi di Forca Rossa e di Col Becher con le sole iniziali due compagnie: la 206a e la 266a.
Superato il Monte Le Saline, il «Cordevole» occupò varie posizioni; il 13 giugno la 206a compagnia raggiunse Fuchiade e pochi giorni dopo, col 20° Btg. del 3a Bersaglieri, tentò un’azione a Cima Costabella e a Passo Le Selle ma con risultati parziali. La 266a fu in linea al Nuvolau per un primo inutile attacco sulle Tofane insieme ai fanti della «Reggio».
Dopo mesi di presidio in varie località della zona, la 266a operò contro il Sasso di Mezzodì dal 19 al 22 ottobre coi fanti del 51°, sostando quindi a Moé e ad Alleghe accantonandosi poi a Palla, nella zona dei Col di Lana; la compagnia 206, col comando di battaglione, rimase in Val Biois occupata in lavori di rafforzamento delle linee.
Il «MONTE PAVIONE»
L’ultimo mese del 1915 segnò la nascita anche del battaglione «Monte Pavione» costituito a Feltre con le compagnie 148a e 149a mentre il «Feltre » cedeva ad integrazione la sua 95a compagnia.
Il comando venne affidato al Magg. Domenico Pozzi che iniziò celermente ad addestrare la nuova unità.
Altro battaglione di nuova costituzione fu il
«MONTE ANTELAO»
sorto a Mel con la 96a Compagnia del Btg. Cadore e due nuove, la 150° e 151° formate con le reclute.
Il BTG. «MONTE PELMO»
nacque a Belluno l’1 dicembre con le compagnie 146a e 147a.
Gli ultimi battaglioni ebbero dei comandanti provvisori fino a metà aprile del 1916, periodo in cui le nuove unità vennero inviate al fronte per il battesimo di fuoco.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Ottobre 1962
Il battaglione «Feltre» al Cauriol nel 1916
(5a puntata)

Il Battaglione «Feltre» era al comando del Magg. Ugo Bosio alla fine del 1915 quando si trovò nel settore del Brenta per assestare la linea e per effettuare ricognizioni diverse su Novaledo.
La 95° compagnia occupò Malga Trenca il 9 febbraio mentre pattuglie avanzate si portarono fino a Brustolai, nelle pendici dell’Armentera.
La 96° compagnia occupò invece, il 16 marzo, una importante quota di Monte Broi.
Alle scomodità della vita di trincea gli alpini del «Feltre» rimediarono con frequenti visite alle case coloniche che erano state abbandonate, con notevoli scorte di viveri (vino compreso), dagli agricoltori allontanatisi precipitosamente dalla zona di guerra; in questa ricerca di prelibati vini gli alpini erano in gara con gli stessi austriaci. Capitò anzi che alpini e tognini si trovarono nelle medesime malghe e allora gli austriaci vennero invitati a bere nelle postazioni italiane, dopo fatti prigionieri.
La primavera del 1916 cominciò a ridestare il fronte; nuovi battaglioni alpini vennero formati e il «Feltre» contribuì con la propria valorosa 95 compagnia a formare i quadri del nuovo battaglione «Monte Pavione».
Fu il nemico, il 15 maggio, a scatenare l’offensiva; in particolare, il «Feltre» respinse l’attacco del 23 maggio a Cima Cista ma dovette poi ripiegare su Samone in conseguenza dell’andamento della battaglia sull’altipiano dei Sette Comuni, salendo poi di notte verso Monte Cima fino quasi sotto le linee del fronte.
Il «Feltre» venne quasi sorpreso nel sonno quando i nemici irruppero dopo aver travolto i posti avanzati tenuti da reparti non alpini; il nostro battaglione reagì però con energia immediata e, in un’ora di botte col calcio dei fucili, disperse due battaglioni ungheresi: il nemico ebbe duecento morti ed oltre trecento (dei quali un terzo feriti) furono fatti prigionieri.
Tra i caduti alpini vi furono il Col. Bozzano, il S. Ten. Sinigaglia e il S. Ten. Molinari.
Il 9 giugno il battaglione «Feltre» respinse un attacco ed occupò Malga Prima Lunetta e Pra della Bella, spingendosi in azione dimostrativa fino a Vai Maso.
Quindici giorni più tardi il «Feltre» entrò a far parte del «Gruppo Rambaldi » prendendo posizione sul contrafforte meridionale di Cimon Rava; seguirono l’occupazione di varie importanti posizioni fino alla nuova destinazione al Campo Cupola dove il comando dell’unità venne assunto dal Cap. Gabriele Nasci,
Il compito del «Feltre» era di occupare, appoggiato dalla 5° batteria da montagna, il Monte Cauriol alto 2500 metri e che costituiva un ottimo baluardo difensivo per gli austriaci.
Il primo attacco alpino fu durissimo e comportò molte perdite anche se rese possibile raggiungere un trinceramento avversario; il contrattacco fece poi arretrare gli alpini che ripresero la posizione il mattino del 25 maggio con la 64° compagnia rafforzata poi dalle compagnie 65° e 66° che resero possibile il consolidamento della Selletta.
I giorni successivi furono caratterizzati dallo sforzo alpino di raggiungere la cima del Cauriol e da quelli nemici di riconquistare la Selletta.
Il «Feltre» giunse a rimanere con cinque o sei ufficiali ed un solo centinaio di alpini in grado di combattere, ma l’affluire di notevoli rinforzi nemici che si stavano rapidamente avvicinando imponeva l’attacco immediato oppure la resa.
Gli alpini del «Feltre» scelsero la lotta disperata; mentre la 5° batteria da montagna sparava accanitamente dal Col del Latte, gli alpini scattarono strappando con le mani i reticolati, scagliando bombe a mano con sempre maggior vigore fino a conquistare la cima del Cauriol.
Gli austriaci rimasti e ormai vinti stavano già per consegnare le armi quando uccisero vigliaccamente per vendetta il Ten. Carteri (al quale venne dedicata la Selletta ove combatté da valoroso) e cercarono di scaraventare nel vuoto un alpino; cosa invece che venne eseguita a spese degli austriaci dagli alpini giustamente imbestialiti per tale vile prova di slealtà militare.
Il «Feltre» mantenne la posizione contro ogni contrattacco del nemico che era ritornato con forze poderose per tentare la riconquista del Cauriol.
L’1 settembre il Battaglione «Val Brenta» sostituì il «Feltre» il quale lasciò con la nuova unità due delle proprie sezioni mitragliatrici al comando dei tenenti Bertuzzi e Casali entrambi caduti in pochi giorni.
Dopo il riordinamento a quota 1700, il «Feltre» ritornò in linea il 12 settembre sul fronte Gardinal - Busa Alta; il plotone esploratori giunse a conquistare la linea del Gardinal (q. 2454) unitamente ad alcune squadre del btg. «Monte Rosa».
Faticosissima fu invece la conquista della vetta di Busa Alta ma lo stesso plotone esploratori, assieme al btg. «Monte Arvensi» che giunse a dare il cambio al «Feltre», occuparono tale posizione il 6 ottobre.
Il successivo giorno il «Feltre» si riunì nuovamente: erano rimasti in duecento uomini; ritornò poi riorganizzato sul Cauriol tra il 24 e il 30 novembre e poi ancora a fine d’anno dopo un nuovo periodo di riposo a Caoria.
Tra riposi e presidi nacque l’ormai leggendaria compagnia dei «veci can» del «Feltre» che riunì tanti nomi ricorsi per anni nella storia alpina: Manaresi, Berti, Barilli, Pedrazzi, Morero, Tomasini, Caimi, Caceffo. Bonardi, Bosia, Corsi, Tonini, Pernici, Garbani, Reverben, Follini. Körner, Calleluori, il nostro indimenticabile Piovesana, Gerlin, Sandri. D’Annibale, Fain Binda, Montiglio.
Questa consorteria di uomini di sublime valore aveva uno speciale statuto fatto di norme in cui le parole Patria, pipa, vino, ostie e affetto ai compagni, si fondevano in modo apparentemente irriverente. Norme che iniziavano con: «Ama la Patria e la montagna - la Patria è l’Italia: sii pronto a dare per lei la vecchia tua scorza – la montagna è bella ma scomoda – cerca sempre di dominarla dall’alto - è più comodo avere il capogiro per guardare in giù, che tirar ostie per salirla; concludensosi così: Sii buono come il pane cogli inferiori, ma feroce come una jena colle carogne e coi vili. Amen».
E così è stato.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Dicembre 1962
Il Btg «CADORE» tra due natali di guerra
(a puntata)

Con la puntata n. 3 della nostra sintetica storia del «7°» avevamo illustrato la fase iniziale intensamente vissuta dal Battaglione «Pieve di Cadore» fino alla fine dell’anno 1915.
Il Natale di questo primo anno di guerra vide il «Cadore » a presidio della linea Forcella Longeres - Monte Cengia - Bacher Bach, agli ordini del Magg. Pietro Carraro.
Mentre la 96° compagnia entrò a far parte, dalla fine dell’anno, del nuovo battaglione «Monte Antelao», le altre compagnie si trovarono ad operare in località di notevole importanza strategica: la 68° a Forcella Giralba e a Cima Undici, la 67° e la 75° a Forcella Longerin e a Lavaredo, sul Sexten Stein e a Cresta Zsigmondy.
L’azione su Cima Undici, per la conquista del Passo della Sentinella, rappresenta il fatto d’armi più interessante al quale gli alpini del Btg. «Cadore» hanno partecipato nel 1916 e il cui esito fu in buona parte dovuto all’Asp. Italo Lunelli il quale, essendo un irredento trentino, si faceva chiamare Raffaele Da Basso.
L’azione per raggiungere l’importante obiettivo era stata ideata e meticolosamente predisposta dal Gen. Venturi con la costituzione di un primo plotone di alpini selezionatissimi al comando del s.ten. Riccardo Del Mastro Calvetti del btg. «Fenestrelle» ed avente lo scopo di assicurare il fianco destro del Passo della Sentinella ed altre posizioni vicine.
L’attacco al Passo era stato tentato frontalmente, tra luglio e settembre del 1915, da reparti alpini e di fanteria, ma l’impresa costò inutili perdite per i generosi attaccanti; il Gen. Venturi, assunto il comando del settore Padola - Visdende, progettò allora l’attacco al passo da Forcella Giralba (quota 2990) attraverso Forcella Alta, Forcella Zsigmondy alla Mensola, giungendo quindi al Passo da una posizione più elevata dell’obiettivo.
Gli alpini scelti per l’impresa erano inizialmente tutti del btg. «Cadore» in parte poi sostituiti con la 96° comp. del «Monte Antelao».
Lunelli partì il 30 gennaio occupando con i suoi uomini la Forcella della Tenda, Forcella 75°, quella della Caverna, Forcella Alta e Cima Undici Sud, collocando nei camini e nelle pareti, in più di due mesi di lavoro, sei chilometri di corde e scale a corda, undici baracchette e quattordici telefoni.
Agli inizi di marzo si era aggiunta al gruppo operativo la 68° comp. del Btg. «Cadore» che seguì Lunelli nella leggendaria traversata di Cima Undici, sempre a temperatura aggiratasi sui 30 gradi sotto zero, e senza farsi scorgere dal nemico.
Lunelli lasciò il comando di Cima Undici al s.ten. De Poi per preparare l’avvicinamento dei nostri reparti anche sulla destra, al pianoro del Dito.
Anche gli austriaci avevano nel frattempo dato segni d’iniziativa tentando di raggiungere Cima Undici Nord ma furono prontamente impediti dagli alpini del s.ten. Del Mastro.
La complessa azione per la conquista di Passo della Sentinella sarebbe ancora lunga da descrivere tanto fu curata nei particolari più minuti.
Durante la notte tra il 15 e il 16 aprile Lunelli e i suoi uomini si avvicinarono al Passo fino ad attestarsi sul Pianoro che dominava la baracca e la caverna-rifugio degli austriaci ed anche il sottostante canalone dal quale avrebbero potuto giungere i rinforzi per il nemico; anche sulla Croda Rossa, sovrastante i nostri alpini, erano in difesa gli austriaci.
Un razzo rosso lanciato all’alba diede il segnale dell’attacco: mitraglie ed artiglierie vomitarono fuoco dal crestone del Popera, da Forcella della Tenda e da Sasso di Fuoco, colpendo le due posizioni nemiche; gli alpini di Lunelli (decorato per tale impresa con la medaglia d’oro) impedirono agli austriaci di uscire dai rifugi per approntare una valida difesa e ributtarono tre reparti di rinforzo che tentarono la salita attraverso il nevaio.
Alle ore 14,30 sul Passo della Sentinella sventolava un asciugamano austriaco di resa e il tricolore italiano di vittoria.
Gli altri reparti del btg. «Cadore» presidiavano in quei mesi le posizioni del settore Lavaredo - Rio di Sopra partecipando, con scarsi risultati, dal 7 al 27 giugno, alle azioni contro le munite difese di Monte Cadini e di Croda dell’Ancona, col nuovo comandante Magg. Giuseppe Freyrie.
Durante questi ultimi combattimenti gli alpini si spinsero verso il crinale ad est del Cadini ma dovettero indietreggiare sotto il fuoco dei grossi calibri; giunsero a 250 metri dai reticolati della selletta di Som Pauses di dove furono costretti a ripiegare per il tiro incrociato di mitragliatrici e fucili; conquistarono buona parte degli schieramenti avversari in Val Felizon ma ondate di truppe fresche tirolesi ripresero le posizioni.
Il dissanguato «Cadore» tentò l’assalto del torrione dei Cadini ma le mine e la fucileria nemica fermarono nuovamente gli alpini i quali conquistarono con decisione il fianco sud-est dell’Ancona di dove vennero ricacciati da un contrattacco nemico; anche un secondo e un terzo tentativo italiano non riuscirono.
Dal 17 giugno gli alpini si riorganizzarono: la lotta furibonda aveva causato 52 morti, 254 feriti tra i quali il comandante del battaglione, e 11 dispersi.
Agli ordini del nuovo comandante Ten. Col. Edoardo Grandolfi, i vari reparti del Btg. «Cadore» parteciparono a combattimenti o vennero destinati a presidio di importanti posizioni sulla terza Tofana, nella zona del Masarè; in particolare, la 75° Compagnia al comando del Cap. Slaviero concorse il 21 agosto alla conquista del «trincerone verde» sulle Tofane.
L’inverno rese impossibile azioni di particolare rilievo; il Natale 1916 vide i comandanti intenti a preparare i piani operativi per la vicina primavera, gli alpini a predisporre fortificazioni, mentre la vigile sentinella si sforzava di vedere, nei razzi che scivolavano veloci nel cielo, altrettante comete natalizie promettenti la pace.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Febbraio 1963
Il Battaglione «Belluno» al Castelletto nel 1916
(7a puntata)

Alla fine del 1915 il Battaglione «Belluno» era attestato a Cortina d’Ampezzo e sulle posizioni di Forcella di Fontananegra, sulla prima Tofana, su Col del Bois e a Cima Falzarego
L’8 gennaio 1916 le compagnie 79° e 106° vennero inviate a presidio di q. 2678 del Piccolo Lagazuoi mentre la 77° rientrava al battaglione dal Col di Lana.
Secondo il progetto del Comandante del reggimento, il s. ten. Eugenio Tissi studiava fin dal mese di novembre la possibilità di realizzare una galleria al Castelletto, per farlo saltare a colpi di mina: esperto perito minerario, Tissi scelse, tra gli alpini del battaglione «Belluno», coloro che avevano fatto i minatori prima della guerra e li adibì a bucare la terribile montagna.
Per circa un mese e mezzo fu al Castelletto anche il futuro Presidente del Consiglio e Presidente del1’A.N.A. Ivanoe Bonomi; tra i molti altri ufficiali che seguirono la preparazione dell’importante impresa va anche ricordato il nostro indimenticabile Giovanni Piovesana.
Agli inizi di giugno il s. ten. Tissi, al quale era stato affiancato il s. ten. ing. Luigi Malvezzi di Vicenza, dovette lasciare l’incarico per ferite e venne sostituito dal perito Mario Cadorin mentre i centoventi alpini-minatori continuavano a lavorare di scavo a turni di sei ore.
La galleria raggiunse 507 metri di lunghezza e vi vennero collocati 350 quintali di gelatina: erano stati necessari più di sei mesi di lavoro mentre gli altri reparti del «Belluno» effettuavano azioni dimostrative nella zona; molti pezzi d’artiglieria vennero issati su posizioni dominanti l’obiettivo per sostenere la prevista azione degli alpini.
La mina venne fatta saltare alle ore 3,40 dell’11 luglio, mentre le artiglierie tuonavano senza sosta.
L’assalto degli alpini fu troppo impetuoso: il grosso della 77 tentò di salire lungo il canalone centrale tra la Tofana e il Castelletto ma venne investita dalla valanga di sassi e detriti provocati dall’esplosione; le compagnie 78° e 79° dovettero attendere che cessasse quella grandinata di pietre superiore alle previsioni; anche un gruppo di alpini-minatori che tentarono di raggiungere il Castelletto attraverso una delle gallerie, vennero colpiti da asfissia a causa del gas nitrico sprigionatosi con l’esplosione.
Gli alpini attestati sullo «Scudo» e nei pressi del «Sasso Misterioso» battevano senza interruzione gli austriaci annidati nelle due guglie del Castelletto mentre altri componenti della 77° agivano dal Camino di Vallepiana.
Dopo oltre due giorni di lotta accanita il Castelletto venne raggiunto e gli alpini-minatori fecero saltare l’ultimo tratto di galleria rendendo possibile il trasporto di due pezzi da montagna sulla posizione conquistata.
Un contrattacco avversario venne decisamente respinto ed anche gli ultimi cinquanta austriaci circa, che si erano asserragliati in una caverna, cedettero le armi.
Assicurata in tal modo la libera viabilità tra Cortina e il Passo di Falzarego, il Battaglione «Belluno» completò l’occupazione del «Sasso Misterioso» alla fine di luglio, tentando di raggiungere i trinceramenti avversari; il nemico accolse però gli alpini con intensissimo fuoco di fucili e mitragliatrici dalle sue posizioni del piccolo Lagazuoi, causando molti morti.
Il piccolo gruppo di alpini che raggiunse una trincea nemica venne facilmente sopraffatto; buona parte della 79° compagnia e della 6° sezione mitragliatrici venne annientata.
Gli austriaci tentarono addirittura di avanzare su Forcella Bois, ma gli alpini del «Belluno», affiancati da quelli del «Monte Pelmo», li ributtarono indietro.
Con i combattimenti del mese di agosto fu possibile occupare le trincee a sud-ovest di quota 2760 e, nel successivo mese, assestare le posizioni oltre il Col del Bois in Val Costeana, cacciare gli austriaci dalla base della prima Tofana e spingersi sulla sponda destra del rio Travenanzes.
L’anno 1916 si concluse per il battaglione «Belluno» in opere di fortificazione e nella costruzione di strade, scale e teleferiche.
Il comando era stato assunto il 5 agosto dal Ten. Col. Alessandro Gregori il quale avrebbe poi guidato il valoroso quanto spesso sfortunato battaglione nel lungo calvario della Bainsizza, dei Monti Rosso e Stoll, fino al Bosco del Cansiglio.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Maggio 1963
I Battaglioni «Val Cismon» e «Val Piave» nel 1916
(8a puntata)

Abbiamo visto che il Btg. «Val Cismon» era attestato, alla fine dell’anno 1915, nei pressi di Monte Carbonile al comando del Magg. Giuseppe Rambaldi, mentre il Btg. «Val Piave», agli ordini del Magg. Alessandro Gregori, era a presidio del più importante displuviale del Cristallo.
Il «Val Cismon» partecipò il 9 febbraio ai combattimento di S. Osvaldo in occasione dei quale gli austriaci vennero respinti dopo tre ore malgrado la evidente superiorità numerica; negativo fu anche lo sforzo rinnovato dagli austriaci nella notte tra l’11 e il 12 febbraio.
Inutile pure l’attacco avversario del 14 e del 15 marzo a quota 1121 nei pressi di Novaledo, mentre ebbe successo l’azione effettuata tre giorni più tardi dal «Val Cismon» sul costone di Monte Broi.
Ma il primo anno di guerra doveva finir male perchè la potente offensiva austriaca del maggio 1916 provocò l’arretramento di tutte le linee italiane; il «Val Cismon» combatté in difensiva spesso con buoni esiti e, dopo un periodo di riposo, si attestò a Forcella Magna e Col della Croce in Vai Vanoi, effettuando varie azioni per alleggerire la pressione nemica nell’altopiano dei Sette comuni.
Assieme ad una compagnia dell’84° Fanteria, la 264° del «Val Cismon » conquistò importanti posizioni il 3 luglio 1916; dieci giorni più tardi il Btg. venne rinforzato con una sezione mitragliatrici FiatRavelli, passando ai comando del Capitano Ferruccio Pisoni dal 14 agosto.
Alla ricognizione sul Col de Latte del 17 luglio 1916, le azioni dei vari reparti del «Val Cismon» si susseguirono il 22 agosto in appoggio agli attacchi del «Feltre» e del «Monte Rosa» impegnati alla Cima Cauriol e a Forcella Sadole, occupando il Campo Cupola e sostituendo poi il battaglione «Val Brenta» che era rimasto decimato nelle controffensive nemiche al Cauriol.
Dopo un tentativo del reparto esploratori contro il Piccolo Cauriol, l’attacco alla stessa posizione venne ordinato il 19 ottobre, ma dopo aver raggiunto le trincee nemiche sulla sommità, i pochi superstiti del plotone esploratori del ten. Bontadini e della 265° compagnia che aveva tentato di andare a rinforzo, dovettero rientrare a causa della superiorità numerica dell’avversario.
L’anno 1916 terminò per il «Val Cismon » con servizi di apprestamento e difesa del Monte Cauriol, alternandosi col Btg. «Feltre».
Assai intenso è pure stato il 1916 del Battaglione «Val Piave» formato, oltre che da una sezione mitragliatrici, dalle compagnie 267° del Cap. Giulio Cavallari e la 268° del Cap. Alberto Neri alle quali si aggiunse, a fine d’anno, la 275° compagnia.
Dal 3 gennaio al 25 marzo la 267° fu al Col Stombi (m. 2169), al Zurlong (m. 2353) e Testaccio, per ritornare a primavera ad Ospizio Tre Croci, impegnata per tutto il rigidissimo inverno in opere di fortificazione e di ripristino delle trincee e comunicazioni danneggiate dalle valanghe.
Due plotoni della stessa compagnia appoggiarono, ai primi d’aprile, reparti di fanteria impegnati nell’occupazione delle ridotte nemiche della selletta nord-est del Rauhkofel, respingendo pure il successivo contrattacco nemico ripetutosi inutilmente due giorni dopo.
Il 18 maggio un reparto del «Val Piave» costituì un posto avanzato al Passo del Cristallo mentre, durante la notte del 5 giugno, una pattuglia di sette alpini guidata dal
S.Ten. Tiziano Serafin (ora ten. col. e consigliere della nostra Sezione) si spinse verso quota 2643 fissandovi un altro importante posto avanzato; dallo Zurlong la notte successiva partì un nucleo di sedici alpini col S.Ten. Cini ad occupare il sottostante costone.
La terza notte altri 120 uomini della 268° compagnia ampliarono l’occupazione della zona, mentre altri alpini si espansero nel canalone sud del Rio Felizon.
Dopo vari scontri di pattuglie verificatisi nei giorni successivi, tra il 14 e il 15 giugno anche il comando del «Val Piave» si spostò sotto quota 2643.
Per la successiva azione contro il Forame, la 268° compagnia venne sostituita il 6 luglio da una parte del Btg. «Cadore» e rientrò a Tre Croci per poi ritornare in linea pochi giorni dopo a Forca, Zurlong, Cresta Bianca, Forcelle Grande e Staunies, Passo del Cristallo e Monte Cristallino.
Contemporaneamente la 267° compagnia fu alle Tofane e in Val Costeana ove rimase a presidio fino al 26 agosto per ritornare alla già citata quota 2643.
Il Btg. «Val Piave» passò dal 3 agosto 1916 al comando del Magg. Alberto Neri il quale aveva retto interinalmente l’unità anche durante due periodi del precedente anno.
Al Forame la situazione si era intanto resa difficile e, dall’11 luglio, il «Val Piave» venne rafforzato da una compagnia del Btg. «Cadore» e da un piccolo reparto di fanteria.
Dopo vari insidiosi servizi di pattuglia, la sera del 12 agosto venne ordinato il piano d’attacco posto in svolgimento per il giorno successivo.
All’alba il «reparto alpinisti» del 50° Fanteria si dispose su una cengia avanzata, mentre quindici alpini della 67° del «Cadore», col s.ten. Romano, si avvicinarono alla Cima Ovest contrastati dalla resistenza nemica e dalle difficoltà del terreno.
Alla sera del 13 agosto il combattimento era già accanito e si prolungò per i successivi giorni con tiri di fucileria austriaca contrapposti da una nostra mitragliatrice piazzata in una delle posizioni occupate,
Il 16 agosto giunse di rincalzo la Compagnia Volontari Alpini del Cadore posta agli ordini del ten. Bruni della 268° e che si arrestò, nella notte tra il 19 e il 20 agosto, sull’ultimo salto di roccia sotto la punta ovest.
L’attacco previsto venne impedito dal precipitare dei massi lasciati cadere dagli austriaci lungo lo stretto cunicolo d’accesso, e ripetuto il giorno 23 dai Volontari del Cadore.
Come si avrà occasione di ritornare sull’argomento, l’azione di conquista e mantenimento delle altre posizioni del Forame venne assegnata ai Volontari Alpini del Cadore e ad alcune compagnie del Btg. «Fenestrelle» rafforzate da altri reparti della Brigata «Basilicata».
Il Battaglione «Val Piave» si attestò in settembre nella pur avanzata zona Boite-Cristallo, venendo integrata, come si disse all’inizio, dalla nuova 275° compagnia assegnata a Tre Croci.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Agosto 1963
L’ATTIVITÀ DEGLI ALTRI BATTAGLIONI NEL 1916
(9a puntata)
Btg «Val Cordevole»
Alla fine del 1915 il Battaglione «Val Cordevole» era al comando del Magg. Olivo Sala e le sue compagnie erano dislocate nei settore di Val Biois (la 206°) e a Palla (la 266°) nella zona del Col di Lana; il 12 febbraio 1916 le due compagnie si scambiarono le rispettive zone.
La 206° occupò il 17 febbraio «il Roccione» nei pressi del Col di Lana e il giorno 28 strappò agli austriaci un piccolo costone tra il «Montucolo» italiano e quello avversario; il primo aprile la compagnia ebbe il cambio con destinazione a Rocca Pietore, creando pochi giorni dopo due presidi ai passi Ombretta e Ombrettola mantenuti fino al 19 giugno.
Alpini del «Val Cordevole» occuparono il primo luglio la quota 2942 a lato di Cima Ombretta Occidentale e, nello stesso mese, anche quota 2554 di Vernale.
Dal 31 agosto il comando del battaglione passò al Cap. Luigi Nuvoloni in seguito a promozione ed altra destinazione del Magg. Sala.
La 266a compagnia si trasferì a presidiare le trincee di Passa Tasca (m. 3003) e del Sasso di Costabella fino al 30 settembre, mentre l’altra compagnia venne spostata verso la Marmolada.
La notte sul 5 ottobre il ten. Francesco Barbieri guidò un gruppo di arditi della 266 compagnia fino a pochissimi metri da quota 2761 di Costabella di Sinistra; al mattino le artiglierie batterono la posizione avversaria finché gli alpini balzarono all’assalto occupandola e facendo prigionieri più di cento nemici. Gli alpini erano diciassette, oltre al ten. Barbieri il quale, più volte ferito, morì alla fine dell’azione.
Con l’arrivo di altri due plotoni della stessa compagnia, gli alpini espugnarono subito dopo le difese a nord fino a quote 2540 e 2723.
Cima di Costabella e Forcella Laste vennero pure raggiunte due volte ma le munitissime posizioni austriache impedirono il consolidamento.
Anche la 206° compagnia attaccò senza esito il 6 ottobre la posizione nemica di Contrin-Haus, unitamente a reparti del 51° fanteria.
Il Btg. «Val Cordevole» ebbe il cambio e venne integrato il 21 ottobre dalla 276° compagnia di nuova formazione, entrando a far parte, dai 23 dicembre, del nuovo settore Marmolada-Costabella.
Btg. «Monte Pavione»
Con la puntata n. 4 abbiamo visto che il battaglione «Monte Pavione» è sorto proprio l’ultimo mese del 1915 col comando del Magg. Domenico Pozzi e le compagnie 148a e 149a oltre alla 95a successivamente ceduta dal «Feltre».
Dopo un periodo di addestramento a Feltre, il battaglione passò il 10 aprile 1916 per Tezze di Valsugana accantonandosi il successivo giorno a Pieve Tesino; dai 21 ottobre ebbe, a nuovo comandante, il Magg. Carlo Spelta.
In relazione ai ripetuti attacchi nemici nelle linee di S. Osvaldo, il «Monte Pavione» venne inviato nella zona, a Volto, subito attaccata da notevoli forze avversarie.
La 149a compagnia assaltò decisamente alla baionetta respingendo gli austriaci e subendo, tra altre perdite, la morte del S.ten. Augusto Storari di Verona.
Il «Monte Pavione» si attestò quindi tra Forcella Tesino e il Bivio Malene e tra Fierollo, M. Spiadon e a quota 2338 sulle pendici del Castelletto per sostituire successivamente, dall’11 giugno, il battaglione «Monte Rosa» al Tombolin di Caldenave e a Cima Rivetta.
Quota 2034 sul costone che da Tombolin porta a nord, venne conquistata alla baionetta e consolidata nei successivi giorni malgrado il sacrificio del Cap. Ettore Cavalieri.
L’anno 1916 si concluse per il battaglione «Monte Pavione» in opere di consolidamento della linea del Cengello (tra quota 2314 e q. 2444) avuta in consegna fin dai primi di settembre.
Btg. «Monte Antelao»
Nato a Mel alla fine del 1915, il Battaglione «Monte Antelao», comandato dal 14 aprile al 4 agosto dal Magg. Dante Celoria, visse intensamente il suo primo anno di guerra.
La compagnia 150a comandata da Luigi Reverberi (proprio Lui!) e la 151a erano formate da reclute; la 96a compagnia dei veci era comandata dal Cap. Carlo Rossi (altra figura di crescente rilievo) il quale comandò poi il battaglione dai 5 agosto al 14 settembre 1916 col grado superiore.
Le prime due compagnie si addestrarono per tre mesi tra Auronzo e Campo di Sotto.
La prima azione preparata fu quella prevista per la conquista della Croda di Ancona ma la sua attuazione venne successivamente sospesa per cui, il 26 aprile 1916, la 150a prese posizione a q. 3237 della Tofana 2° e gli altri reparti a Forcella Fontananegra, Tofana 1° e sul Doss della Tofana.
Durante la preparazione dell’attacco al Masaré, gli alpini del «Monte Antelao» rafforzarono le posizioni e garantirono le comunicazioni sulla strada tra Pocol e Falzarego.
Il 17 giugno un reparto della 96a compagnia occupò il così detto «vecchio osservatorio austriaco» posto sul costone che, dalla prima Tofana, va verso le Tre Dita; vennero scavate gallerie, stesa una teleferica, collocato un potente riflettore sulla Punta Giovannina, appostato un mortaio a Punta Marietta, trainati due pezzi da 210 a Forcella Fontananegra, messi in linea altri due pezzi da montagna, ed occupazione di altre posizioni avanzate, malgrado i ripetuti attacchi nemici tra i quali quello compiuto il 5 maggio da truppe scelte e ributtato dalla 150a compagnia di Reverberi.
Il nemico si trovava alle Tre Dita e sulla Nemesis (al centro del Masaré) con un posto avanzato a q. 2905 della terza Tofana.
La notte dell’8 luglio il Cap. Rossi fece addirittura suonare la piccola fanfara di compagnia, ma appena ebbe finito, cominciarono a tuonare le artiglierie alpine mentre il terzo plotone della 96a, agli ordini del ten. Venier, si portò verso il canalone della Nemesis sul lato settentrionale del Masaré; il primo plotone della 150a, col s. ten. Borella, si spinse invece nel lato meridionale.
Purtroppo infine la fucileria dei reparti mentre altri due plotoni della 96a compagnia e due della 150° si slanciarono al Masaré raggiungendo le posizioni nemiche; gli austriaci opposero strenua resistenza specialmente ai fianchi ma i reparti alpini li aggirarono mentre i nostri nuclei più avanzati dovettero sostare fino al mattino quando la lotta si concluse in un corpo a corpo favorevole ai nostri. Una parte degli austriaci si asserragliò in una caverna del Sasso Cubico dove vennero definitivamente dispersi.
Morirono i s. ten. Canciani e Burlot comandanti i plotoni della 150a, altri tre rimasero feriti; gli alpini morti nell’azione furono 24 e 70 i feriti: è stato il prezzo della conquista del Masaré.
Quasi contemporanea è stata l’azione contro la Nemesis, il pilastro ai quale termina il crestone della terza Tofana, sul versante settentrionale del Masaré.
La notte sul 9 luglio il ten. Carugati, alpinista accademico, salì sulla cima della Tofana 3° per studiare meglio la sottostante zona operativa; arrivò fino a due metri da una tenda nemica e poche ore dopo iniziò l’attacco alternando l’appoggio alla contemporanea azione condotta sul Masaré dal resto del battaglione.
Durò così fino al mattino; gli uomini di Carugati nascosero la mitragliatrice per non farla facilmente individuare e attesero occultati tra le rupi fino alla notte successiva.
Pochi giorni dopo Carugati ritornò sul posto disponendovi un nucleo di dieci alpini, mentre il 5 agosto lo stesso ufficiale scoprì il cammino del Masar Basso attraverso il quale gli austriaci raggiungevano la Nemisis; con il ten. Sabelli che morì due settimane dopo e il ten. medico Celli che pure cadde pochi giorni prima della fine della guerra, Carugati mise in fuga un primo nucleo che tentava di andare a rinforzo, e predispose un nostro posto avanzato (nella cengia poi dedicata a Sabelli) facendo tagliare i fili telefonici che pendevano dalla cima.
Col posto trincerato occupato il 15 luglio e l’interruzione dei rifornimenti e degli accessi, la Nemesis (ribattezzata Punta Carugati) dovette essere abbandonata dagli austriaci.
Più sbrigativa fu l’occupazione delle Tre Dita effettuata nella notte sul dieci luglio quando un gruppo di arditi dei Volontari feltrini si portò in posizione sopraelevata all’obiettivo, lungo il costone della prima Tofana, calandosi poi in cordata e portando con sé una mitragliatrice: gli alpini della 96a compagnia del btg. «Monte Antelao» attaccarono nel buio e i difensori austriaci, presi dalle due posizioni, dovettero arrendersi.
La notte dei 29 luglio 1916 iniziò l’azione diretta ad assicurare il libero accesso al Castelletto, dalla Val Travenanzes e alla quale venne incaricata la 96a compagnia di Rossi, appoggiata dalla 150a di Reverberi e da due sezioni mitragliatrici. Un posto di guardia nemico, posto sull’orlo nord del Castelletto, venne sopraffatto di sorpresa pur col sacrificio del s. ten. Brandimarte.
All’alba le due compagnie raggiunsero lo sbocco del canalone; il primo e secondo plotone della 96a si portò verso lo zoccolo della prima Tofana attaccando la trincea dell’«A Greca»; il 3° e 4° plotone girarono a sinistra disperdendo due pattuglie nemiche e, passato il Sasso Misterioso, si attestarono in attesa del concordato attacco del Btg. «Belluno» che doveva scendere alle spalle del trinceramento nemico.
La lotta si accese quindi accanita fino a notte inoltrata, permettendo al «Belluno» e alla 151a compagnia dell’«Antelao» di scendere per la fase conclusiva di sistemazione della linea occupata comprendente tutto il versante nord del Castelletto, compreso il canalone e la sottostante conca del Col dei Bos.
Nel corso delle operazioni morirono i s. ten. Fortini e Brandimarte mentre il Cap. Rossi venne ferito per la seconda volta, ma i contrattacchi nemici si protrassero inutilmente fino al 31 luglio.
Dal 5 agosto il comando del battaglione venne affidato a Rossi promosso poi maggiore per merito di guerra, ma l’eroico comandante dovette lasciare il reparto il 14 settembre a causa di una terza più grave ferita per cui la guida dell’«Antelao» venne assegnata, con decorrenza dal 4 ottobre, al Cap. Umberto Dedini.
Dopo l’ottenuto cambio col «Belluno» il battaglione «Monte Antelao» si era trasferito a Vervei e quindi a Crepa e, dal 21 novembre, a Cima Falzarego ad affrontare il terribile inverno.
Btg. «Monte Pelmo»
Abbiamo visto che il Battaglione «Monte Pelmo» venne costituito il primo dicembre 1915 con le iniziali compagnie l46°e 147° addestratesi fino a metà aprile 1916 a Belluno quando ebbe, ad integrazione, la 106° compagnia di «veci» proveniente dal Battaglione «Belluno».
Verso la fine di luglio il battaglione si accantonò a Vervei, nel settore di Val Costeana, portandosi in linea a Passo di Falzarego dal 12 al 14 maggio per passare poi in trincea a Forcella e a Col del Bois partecipando alle predette operazioni di luglio per l’occupazione del versante orientale della Val Travenanzes e concorrendo altresì all’azione contro il Castelletto della prima Tofana.
Il battaglione «Monte Pelmo», comandato sin dalla costituzione dal ten. col. Attilio Bernasconi, contribuì particolarmente a respingere un contrattacco nemico subito dopo il consolidamento a Forcella Bois e a fare da rincalzo ai btg «Belluno» e «Antelao» al Sasso Misterioso dove la sera del 30 luglio partecipò a frenare una nuova forte azione austriaca.
Sempre con detti battaglioni, il «Monte Pelmo» fu in lotta per assicurare la conquista della posizione nemica della Wolf Glanwell Hutte e la mulattiera che, dalla Forcella Grande di Fanis porta in Val Travenanzes.
L’attività del battaglione fu estesa all’occupazione delle pendici sud-ovest di quota 2760 (salto del Masaré) del Gradino di Cima Falzarego e delle pendici del Grande Lagazuoi, e all’ampliamento delle posizioni di Col del Bois, nel breve arco di tempo tra il 20 agosto e metà settembre.
Come pure per gli altri reparti, anche il battaglione «Monte Pelmo» si attestò nelle posizioni raggiunte per affrontare il rigido inverno, in difesa continua contro le insidiose valanghe e in opere di consolidamento delle trincee e dei rifugi.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Settembre 1963
Il 7° Alpini nel terribile anno 1917
(10a puntata)

L’inizio del 1917 vide, come accennato nelle precedenti puntate, il Settimo Reggimento Alpini impegnato su larghissima fronte: i battaglioni «Feltre» e «Val Cismon» al Cauriol, il btg. «Cadore» sulla terza Tofana, il «Belluno» in Va1 Travenanzes, il btg. «Val Piave» in zona Boite-Cristallo e Tre Croci, il btg. «Val Cordevole» nel settore Marmolada-Costabella, il «Monte Pavione» alla linea del Cengello, a Cima Falzarego il btg. «Monte Antelao» e il btg. «Monte Pelmo» a Col di Bois.
Questi nomi riassumevano eroismi e sacrifici immensi che il catastrofico andamento delle operazioni sul fronte dell’Isonzo annullò in pochi giorni.
Il reggimento rimase senza il comandante titolare dal 23 marzo 1917 (fino a tutto l’anno seguente) e i suoi battaglioni calarono nel tragico autunno fino alle Prealpi per non rimanere isolati a seguito dello sfondamento operato a sud dal nemico: il btg. « Feltre » abbandonò il Cauriol per raggiungere il Grappa, il «Cadore» si portò dal Piccolo Lagazuoi all’Altissimo, il btg. «Belluno» si attestò sul Cansiglio dopo il Calvario dalla Bainsizza e dei monti Rosso e Stol, pure il «Val Cismon» lasciò il Cauriol per il Solarolo, il «Val Piave» arretrò a Vodo, Fadalto e infine al Pian del Cansiglio, il «Val Cordevole» scese tra i colli d’Asolo, il btg. «MontePavione» si fece annientare a Cima Campo per salvaguardare la manovra delle altre unità; dopo il S. Gabriele il «Monte Antelao» si portò alla destra dell’Adige, il btg. «Monte Pelmo» passò per la Bainsizza, Mante Raune, l’altopiano di Mesnjak per consolidarsi poi nella zona Zugna.
Il 1917 vide anche la nascita del nuovo battaglione «Monte Marmolada» che, dopo l’Ortigara, combatté sino all’annientamento a Castelgoberto.
L’avversa fortuna non piegò il coraggio nemmeno agli alpini dei 7° e prova ne sia l’eroismo, adeguato alla tragica circostanza, espresso dai singoli e dai reparti.
Nel mese di dicembre il comportamento dei battaglioni «Monte Pavione» e «Monte Marmolada» meritò le seguenti ricompense al reggimento, che si aggiunsero alla medaglia d’argento conferita per le imprese della guerra libica:
MEDAGLIA D’ARGENTO AL V.M. al reggimento: «Il battaglione M. Pavione, con ferrea tenacia e con superbo valore, per tre giorni consecutivi, resisteva all’impeto di un’intera divisione nemica, salda mente tenendo, con l’eroico sacrificio dei suoi alpini, le tormentate trincee che gli erano state affidate. Contrattaccando ogni sera con manipoli di prodi, riusciva ad inchiodare l’invasore sulla linea che la Patria aveva additato per l’estrema resistenza (Val Calcino, 11-13 dicembre 1917)».
MEDAGLIA D’ARGENTO AL V.M. al reggimento: «Il Battaglione «Marmolada» respingeva, disperdeva con tenacia sanguinosa, per ben sette volte, ingenti masse di baldanzosi nemici andanti a traboccare in pianura. (M. Tonderecar, 15 e 22 novembre 1917).
Nella disperata difesa di una posizione attaccata da ogni parte, avvelenata di gas e sconvolta da implacabili bombardamenti, si imponeva all’ammirazione dello stesso avversario. (Castelgoberto, 4-5 dicembre 1917)».
Due MEDAGLIE DL BRONZO AL V.M. vennero conferite per me-rito dei battaglioni «Val Cismon» e «Feltre» con le seguenti motivazioni: «Per il valore, la tenacia, e la saldezza di cui dette prova il battaglione «Val Cismon» opponendosi fieramente, sul massiccio del Grappa, all’avanzata di soverchianti forze nemiche (Monte Tomatico, Monte Solarolo, Monte Valderoa. 14 novembre 1-18 dicembre 1917». Ed ecco la seconda motivazione: «Per l’esemplare ardimento e la salda tenacia con cui il battaglione «Feltre», facendo olocausto del fiore dei suoi alpini, si oppose, sul Grappa, all’avanzata di soverchianti forze nemiche. (Val Calcino, Monte Valderoa, novembre - dicembre 1917)».
Il valore dei singoli si centuplicò, e se il 1916 vide esprimersi l’eroismo del Ten. Col. Carlo Buffa di Perrero, del Ten. Francesco Barbieri, del Col. Antonio Gioppi e dell’Asp. Uff. Italo. Lunelli, rifulsero nel triste 1917 le coraggiose imprese del trevigiano Capitano Manlio Feruglio, del Ten. Marco Sasso, del Capitano Guido Corsi, del Ten. Giuseppe Caimi e infine del Ten. Arduino Polla di Venezia.
Iniziava proprio nel 1917 la leggendaria vita eroica di Vittorio Montiglio, medaglia d’oro come i precedenti, giunto dal Cile per combattere in nome dell’italianità della sua famiglia, ufficiale comandante gli arditi del battaglione «Feltre» a soli 15 anni e tenente a 16 anni in Albania dopo la conclusione del conflitto europeo.
Questi eroismi prepararono anche quelli delle medaglie d’oro dell’ultimo anno di guerra: del ten. Angelo Tognali, dei sottotenenti Angelo parrilla e Franco Michelini Tocci, del capitano Ettore Viola e infine del tenente Alessandro Tandura di Vittorio Veneto.
Sono quindici medaglie d’oro balzate dal piccolo pugno d’uomini che costituiva il 7°, oltre a 320 medaglie d’argento individuali e 464 medaglie di bronzo pure individuali che segnano l’eroismo del Reggimento durante la guerra 1915-18; sono soprattutto i 3743 morti che la stessa unità reggimentale diede alla Patria.
Il terribile anno 1917 preannunciava quindi, attraverso il valore dei combattenti d’Italia, il diritto alla finale apoteosi di Vittorio Veneto.
Anche Conegliano conobbe l’umiliazione dell’occupazione fino al 29 ottobre 1918 subendo danni gravissimi che la vittoria finale e l’insostituibile laboriosità dei suoi figli valsero a cancellare senza ombra di vergogna.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Febbraio 1964
Il «Feltre» dal Grappa alla Vittoria
(11a puntata)

Con la precedente puntata abbiamo tra l’altro ricordato che il Btg. «Feltre» ebbe a lasciare il Cauriol per portarsi al Monte Grappa a seguito della rottura del fronte a Caporetto.
Fermarsi al Grappa fu tutt’altro che facile e la forza delle «penne nere» del «Feltre» derivò indubbiamente anche dal fatto che, specie in quel momento, stavano difendendo le loro case; ad eccezione di un contingente di bravi abruzzesi, il battaglione era infatti formato quasi esclusivamente da alpini della zona i quali si radunarono alle pendici del Tomatico nell’imminenza dell’arretramento, dopo aver salutato — in molti casi per sempre — le proprie famiglie ormai minacciate dall’invasione.
Con maiali, galline, vino, fagioli, granoturco, farina e quanto altro s’eran portati da casa, gli alpini del «Feltre» giunsero al Grappa ed iniziarono a rafforzare — tra il 7 e il 12 novembre 1917 — la linea Solarolo-Fontana Secca-Tomba, passando poi a metà mese in Val Calcino a difesa del tratto tra lo Spinoncia e Fontana Secca.
Il nemico attaccò con impeto il giorno 20 attestandosi su quota 1185 pur contrastato dalla 64° compagnia, e occupando il Fontana Secca il giorno successivo.
Il 25 novembre l’attacco si appesantì con l’arrivo delle truppe tedesche da montagna per cui la 65° compagnia dovette ripiegare contrastando l’avanzata con ripetuti contrattacchi e subendo venti morti e novantacinque feriti.
Il Battaglione «Feltre», comandato dal capitano Carlo Basile, rafforzò quindi la linea Solarolo-Valderoa-Spinoncia che venne sottoposta, il 13 dicembre, a un duro bombardamento durato oltre cinque ore e che distrusse gli apprestamenti difensivi del battaglione. Iniziò poi l’avanzata delle truppe da montagna della 51° divisione tedesca e degli standschùtzen tirolesi ma, salvo pochi elementi di trincea, il nemico non passò.
La 64° compagnia rimase totalmente distrutta e gli eroismi di tutto il battaglione più non si contavano. Col moschetto e a sassate, combatterono con accanimento tutti: dal cappellano all’ufficiale medico, fino al successivo giorno 14 dicembre quando gli avversari dovettero lasciare alcune posizioni.
E caddero altri tre ufficiali e ottanta alpini; sette ufficiali e duecento alpini rimasero feriti, quasi tutti colpiti più volte.
I cento superstiti del battaglione ebbero il cambio sulle posizioni mantenute la sera del 14 dicembre; si riunirono a Malga Solarolo e poi a Cason Boccaor, due giorni dopo a Col dell’Orso, poi a Paderno d’A- solo e infine a Onè di Fonte per la ricomposizione dell’unità con i nuovi «bocia».
Il 28 gennaio il battaglione venne rimandato sul Valderoa; vi facevano parte nomi ormai famosi: Basile, Morero e Sandri al comando delle compagnie 64°, 65° e 66°, Körner, De Finetti, il nostro Giovanni Piovesana, Balestrieri, Milazzo, Boldrini, Jacchia, Fain Binda, Velani, Gerlin e molti altri.
Ancora quindici giorni di riposo fino a tutto febbraio ed altro ritorno al Valderoa l’1 marzo prima dello spostamento del battaglione a Bassano alle dipendenze del X Corpo d’Armata del Gen. Cattaneo.
Il «Feltre» occupò le difese del Caviogio e del Redentore sul monte Cimone tra il 20 e il 31 marzo, scendendo poi a Rocchette e quindi in seconda linea tra Schiri e Ca’ della Forcella.
Dal 3 agosto il comando venne riassunto dal Ten. Col. Gabriele Nasci e il battaglione operò a destra di Conca Laghi, contro il posto avanzato di Collegio e la stretta di Zovari, con agili pattuglie al comando di Piovesana, Barilli, Gerlin e Fain Binda. Molti ricordano inoltre le ripetute prove di audacia e preparazione tattica del comandante di battaglione, di Sandri, Balestrieri, Manaresi, Nino Reverberi, Montiglio, Pettinati e Protti.
Il 21 ottobre il «Feltre» scese a Rocchette trasferendosi in Val Lagarina a presidio delle posizioni di Coni Zugna; il primo novembre fu ad Ala e il successivo giorno iniziò la marcia su Trento. Rovereto venne raggiunta lo stesso giorno malgrado l’insidiosa difesa avversaria e il giorno 3 novembre il «Feltre», il 29° reparto d’assalto «fiamme verdi» e il btg. «Pavione» furono in vista del capoluogo trentino.
Giunsero frattanto altri reparti alpini e di cavalleria e il Tricolore sventolò finalmente sul Castello del Buon Consiglio.
Il Battaglione «Feltre» fu a Cavalese, Predazzo e nell’alta Val d’Isarco a presidio della zona fino oltre Fortezza, cessando di far parte del IV Gruppo Alpini il 16 febbraio 1919; i suoi alpini cominciarono a ritornare per ripristinare famiglie e case, custodendo nel cuore il ricordo di quanti caddero per completare il risorgimento d’Italia.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Giugno 1964
L’olocausto del Btg. «Belluno» e il vittorioso ingresso del «Cadore»a Feltre
(12a puntata)

Già si disse che, prima della tragedia di Caporetto, il Btg. «Cadore si trasferì dal Piccolo Lagazuoi all’Altissimo, mentre il Btg. «Belluno» passò dalla Bainsizza al Cansiglio.
Durante i combattimenti sulla Bainsizza il Btg. «Belluno» aveva dato nuova prova del suo valore a quota 545, nell’attacco al Kukli Vrh, reso evidente dalle decorazioni meritate dai suoi alpini: nove medaglie d’argento e otto medaglie di bronzo.
Il 24 ottobre lo stesso battaglione venne inviato al Monte Rosso dove una mina aveva sconvolto le trincee della Brigata «Etna» lasciando solo una decina di fanti superstiti che resistevano accanitamente; in condizioni atmosferiche pessime, venne attaccato l’ultimo apprestamento nemico sul Monte Rosso che venne infine totalmente conquistato.
I progressi conseguiti dall’avversario in pianura misero il Btg. «Belluno» nella necessità di ritirarsi, dalle posizioni raggiunte, fino a Tarnova, oltre l’Isonzo. La gloriosa unità alpina salì poi al Monte Stol combattendo accanitamente corpo a corpo contro il soverchiante nemico fino al quasi totale sacrificio dei suoi uomini.
Dopo la riorganizzazione il Btg. «Belluno», privo ormai di comandante titolare fin dal 12 giugno, il 10 novembre 1917 rimase isolato tra il Bosco Cansiglio e il Lago di S. Croce a seguito dell’occupazione nemica del passo di Fadalto; molti alpini furono fatti prigionieri e ben pochi riuscirono a rientrare avventurosamente nelle linee italiane.
Nell’impossibilità di ricostruirlo, il Battaglione «Belluno» venne sciolto il 9 dicembre 1917 per ordine del Comando supremo.
Ugualmente eroico ma più fortunato fu il Battaglione «Pieve di Cadore» il cui comando era stato assunto, in meno di cinque mesi, successivamente dal Cap. Ettore Slaverio, dal Cap. Alfredo Ceriani, dal Cap. Ferruccio Cavalieri e dal Cap. Pietro Calisi, passando infine al Magg. Eugenio Oggerini dal 7 ottobre 1917 quando l’unità si dispose con le compagnie 67° e 68° sul lungo tratto che va dal Doss Casina alla Madonnina del Bo mentre la 75° andò in riserva a Doss Tre Alberi.
Gli scontri tra pattuglie ripresero con particolare intensità e, il 12 febbraio, un nucleo di alpini del «Cadore» guidato da Menegus raggiunse il paese di Scudelle dove si trovava un posto di guardia austriaco; mezza pattuglia assalì gli avversari al momento del cambio della guardia e l’altra metà entrò fulminea nel fabbricato occupato dagli austriaci impegnando con essi una furibonda lotta a pugnalate:
otto nemici morirono e quattro vennero catturati mentre un solo alpino rimase ferito.
Il 5 marzo il Battaglione «Cadore» si trasferì per un mese di riposo a Mama d’Avio dove passò al comando del Magg. Luigi Sibille e, dopo tre mesi trascorsi in zona più arretrata, risalì a Doss Trent e Doss Tre Alberi dove rimase per oltre un mese.
Le azioni di pattuglia si fecero particolarmente frequenti specie ad opera del tenente Italo Balbo che comandava il plotone arditi del Battaglione.
Dopo breve riposo a S. Ambrogio di Valpolicella, il Btg. si trasferì a Schio e poi a Magrè entrando a far parte del1’8° Divisione Alpina del Gen. Barco; altri spostamenti a Maglio di Sopra, Isola Vicentina, Sandrigo, ed infine, dopo tre marce notturne, a Fietta del Grappa e poi a Boccaor dove il Battaglione contribuì a mettere in postazione i cannoni per la grande battaglia del Grappa scatenata il 24 ottobre.
Dopo tre giorni dall’inizio della battaglia la 67° compagnia del «Cadore» agli ordini del Cap. Roldo giunse frazionatamente in linea superando uno sbarramento di proiettili; il comandante della compagnia e due altri ufficiali rimasero feriti e i superstiti vennero contrassaltati da forti reparti avversari per cui dovettero spostarsi a quota 1672 dei Solaroli.
La 68° compagnia del Cap. Radaelli e la 75° del Cap. Chiambretto attaccarono nel pomeriggio del 27 ottobre con alla testa gli arditi di Balbo e sotto il grandinare delle mitragliatrici nemiche; ufficiali ed alpini si spinsero sempre più avanti e il sottotenente Franco Angelini Tocci quasi raggiunse la trincea austriaca quando una bomba a mano gli scoppiò vicina; alla sua memoria venne conferita la medaglia d’oro.
Dopo il mancato successo il battaglione venne riordinato nella colonna «Ragni» e posto a presidio delle trincee sul costone del Valderoa fino al 31 ottobre quando la linea difensiva nemica cedette.
Il Battaglione «Pieve di Cadore» — citato nel bollettino di guerra del 9 novembre 1918 — raggiunse Seren, disperse uno sbarramento di mitragliatrici a Rasai impedendo che si aggravasse la vendetta austriaca sulla popolazione.
Alle porte di Feltre, il Battaglione ebbe l’ordine di fermarsi e gli alpini sentirono dire che ciò sarebbe stato disposto per lasciare l’onore dell’ingresso in città ai francesi dell’VIII Armata: ma, assieme ai resti del Btg. «Exilles», i superstiti del Battaglione «Cadore» proseguirono entrando acclamatissimi a Feltre alle ore 17,30 del 31 ottobre e catturando duemila austriaci. Due giorni dopo arrivarono i signori francesi.
Il battaglione «Cadore» concluse così la propria odissea nella guerra 1915-18 e che gli costò 171 morti, 338 dispersi e 975 feriti.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Agosto 1964
I Battaglioni «Valle» nel '18
(13a puntata)

Dopo le vicende che, agli inizi di novembre dei 1917, portarono il «Val Cismon» dalla Val Vanoi ai Grappa (combattendo sanguinosamente sui Tomatico ove venne ferito anche il comandante Cap. Angelo Eusebio), il battaglione contribuì alla riconquista del Solarolo accampandosi poi a Cason Boccaor ove venne reintegrato con quattrocento bocie dei ‘99.
Poco tempo dopo artiglierie ed aerei nemici bombardarono il battaglione alpino provocando la perdita di cento uomini tra morti e feriti, mentre il 14 dicembre alcuni reparti dello stesso «Val Cismon» riconquistarono — in due giorni di combattimenti — la cima del Valderoa.
I nostri dovettero poi abbandonare la vetta a causa dell’intenso fuoco dell’artiglieria durato su tutto il fronte fino al mattino del 17 dicembre, ma i superstiti 230 alpini del «Val Cismon» non arretrarono ulteriormente.
In pochi mesi il comando era passato dal capitano Luigi Masini (1-12-17 16-2-1918) al capitano Bernardo Cabassi fino al 3 marzo e infine al Ten. Col. Ferruccio Pisoni. Dopo un periodo di a Paderno d’Asolo, il 26 gennaio 1918 il battaglione «Val Cismon» era ritornato in linea fino a metà febbraio, a quota 1671, risalendo poi i Solaroli con una nuova compagnia mitragliatrici e passando infine sulla destra dell’Adige a far parte della 26° divisione.
Dopo aver presidiato le pendici sud-est del monte Vignola e monte Cornale e mantenuto lo sbarramento del Chiesurone, il «Val Cismon» fu a Doss Spirano il 14 maggio dando poi il cambio all’«Arvenis» al Doss Remit nel versante nord dell’Altissimo. Il 3 agosto appoggiò il 29° reparto d’assalto «Fiamme Verdi» nella conquista di Dosso Alto di Zures, presidiando la quota occupata e partendo poi per Magré di Schio.
La marcia dei «Val Cismon » riprese da Schio raggiungendo Fietta il 22 ottobre, Forcella Boccaor due giorni dopo, ed ammassandosi nei pressi di Cima Casonet e infine raggiunse Malga Solarolo attaccando con sensibili perdite la selletta dei Solaroli tra le quote 1672 e 1676.
L’attacco venne ripetuto il 26 ottobre con gravi perdite per il «Val Cismon» e per i difensori austriaci i quali il giorno successivo tentarono inutilmente di contrattaccare alcune posizioni.
Il giorno 28 il dimezzato «Val Cismon» si ammassò in Vallone delle Mure, nella zona del Boccaor, e nei due giorni successivi venne reintegrato con i complementi.
Avvenne poi il crollo della resistenza nemica su tutti i fronti.
Il battaglione «Val Cismon» superò Val Calcino raggiungendo il Solarolo e Fontanasecca; l’1 novembre attraversò la Val Schievenin e, per la valle di Seren, raggiunse la conca di Feltre nell’apoteosi della vittoria.
Il battaglione rimase mobilitato in Alto Adige e il 28 agosto 1919 venne sciolto a Bolzano.
***
Già si disse che le avverse vicende sul fronte dell’Isonzo sorpresero il Battaglione «Val Piave» nella zona Boite Cristallo, ove si trovava agli ordini della 2° Divisione. Nel 1917 il battaglione ebbe sei comandanti: al Magg. Alberto Neri che lo dirigeva dal 3 agosto 1916 seguì dal 6 febbraio il Ten. Col. Dante Celoria, per tre giorni (4-6 sett. 1917) il comando passò al Cap. Leonida Rossignoli e per i successivi dieci giorni al Cap. Aldo Gabutti; seguirono poi il Cap. Bernardo Nodari che resse il comando fino all’assorbimento del battaglione in altra unità come si vedrà più avanti.
Ciò fa immaginare le traversie subite da questa unità alpina nel tragico 1917 e culminate col trasferimento fino a Vodo e a Fadalto agli inizi di novembre; qui rimase a presidio la 268à compagnia insieme al 7à Bersaglieri ed altri reparti alpini, mentre il resto del battaglione si portò a difesa del Pian del Cansiglio.
La 268à respinse un primo attacco a Case Calloniche il 9 novembre, portandosi il successivo giorno a Casere Prese e successivamente, su ordine del Comando della sinistra Tagliamento, a Ponte nelle Alpi.
Mentre le disposizioni superiori, dettate dalla dirompente supremazia avversaria, fecero ripiegare la 268à compagnia e la 28à sezione mitragliatrici fino a Bassano, il resto del «Val Piave», attestato nel Bosco del Cansiglio, venne accerchiato e, dopo eroica resistenza, catturato dal nemico tra Fadalto
e Cansiglio.
Da Bassano la superstite 268° proseguì per Montebelluna ove venne posta, con altri resti di battaglioni alpini agli ordini del Magg. Francesco Colognati, e infine alle dipendenze del 12° Gruppo del Col. Baduino.
Il 14 dicembre il «Val Piave» — parzialmente reintegrato negli effettivi — venne inviato in Val Poise e quattro giorni più tardi in Val Damoro per opere di rafforzamento della linea sulla quale il nemico continuava a premere. All’azione per la riconquista di q. 1520 dell’Asolone parteciparono anche alcuni reparti del battaglione il quale passò dalla destra alla sinistra di Val Damoro.
Altri complementi raggiunsero il battaglione «Val Piave» alla fine di dicembre 1917; dopo spostamenti diversi all’Osteria Poise e Casera dei Lebbi, il reparto passò alle dipendenze tattiche del battaglione «M. Granero» con assegnazione di un tratto di seconda linea di circa quattrocento metri e infine in prima linea per alcuni giorni fino al ritorno a Casa Piovega di Liedolo
Il 30 gennaio il «Val Piave» raggiunse Cittadella e quindi Darfo dove tra il 10 e l’11 febbraio giunse notizia della prevista reintegrazione totale del battaglione mentre il 13 febbraio il Comando supremo ne dispose lo scioglimento ed incorporazione nei battaglione «Val Cordevole».
Nel pomeriggio del 15 febbraio, in un prato ad est di Artogne, l’eroico battaglione «Val Piave» concluse i suoi tre anni di sacrificio sciogliendo la superstite compagnia e la sezione mitragliatrici che entrarono a far parte del battaglione fratello.
***
Dal settore Marmolada-Costabella in cui si trovava fin dall’ottobre 1916, il Battaglione «Val Cordevole» iniziò il 4 novembre 1917 il ripiegamento verso sud: passò per Serraj, Palue, Caprile, Alleghe, Cencenighe e Mas di Belluno; poi per Anzù e Fener, il battaglione giunse a Casere Guizza e infine a Crespignaga ove venne inquadrato nel 6° Raggruppamento alpini.
Al comando del Magg. Emerico Porta che era succeduto al Cap. Nuvoloni fin dal 4 maggio, il battaglione si trasferì il 17 novembre alle falde dei monte Tomba dando poi il cambio alla brigata «Basilicata», nella linea Monfenera - La Castella e fronteggiando vittoriosamente tre sanguinosi assalti nemici tra l’alba e la notte del 25 dicembre.
Avuto il cambio dagli «Chasseurs des Alpes» francesi, il «Val Cordevole» si portò a Borso del Grappa per trasferirsi — con tutto il raggruppamento — a nord di Liedolo; fu poi in Val Poise, a Casone di Coston e Col Raniero, partecipando anche al non riuscito attacco al Col Caprile subendo 30 morti, 160 feriti e quasi cinquanta dispersi.
Con altri reparti, il riordinato «Cordevole» occupò il 15 gennaio la cima dell’Asolone perduta poche ore dopo per un contrattacco nemico di truppe fresche. Tornato a Liedolo e, per la Val Camonica, trasferitosi a Niardo di Brescia, il battaglione ricevette il 15 febbraio — come si disse — i resti eroici del «Val Piave».
Senza partecipare ad altri fatti d’arme notevoli, il battaglione «Val Cordevole» svolse fino alla fine del conflitto un duro lavoro di presidio e di combattimento in moltissime località e ciò è comprensibile considerando i seguenti spostamenti avuti dal battaglione (spesso frazionato in più presidi) in meno di nove mesi: Artogne, Incudine, Cima Bleis (267° Comp.), Lago Negro nei pressi del Passo Gavia, Poja, conca Valbione, Sozzine, linea Passo di Presena-Cresta Maroccaro - q. 3052 - Rifugio dei Mandrone-Marocche Alte e Basse, ritorno a Valbione, Rifugio Garibaldi, Castellaccio, trincee di Punta e di Passo di Lagoscuro, Incudine, zona Fumo-Listino, Laghetti (tra Casera Campellio e Passo di Campo), Incudine ancora prima di passare in linea ai passi Garibaldi, Fargorida e della Lobbia, Val d’Avio, C. Talasso, Val di Plezzo e rientro a Valbione; poi ancora nella zona Fumo-Listino, difesa di Val Paghera con posti avanzati in Val di Leno, ai Passi della Rossola, della Monoccola e del Listino nord, a Colle del Pallone, a Malga Monoccola, a Case Paghera, e Costone di M. Somale di Braone.
A fine ottobre 1918 il «Val Cordevole» fu in trincea a Passo di Campo ad altitudini variabili tra m. 2200 e m. 2750, fino al trasferimento a Cevo per riunirsi ad altri reparti e dove giunse notizia dell’avvenuto armistizio.
Dopo aver svolto diversi servizi di presidio, il battaglione «Val Cordevole» concluse la propria eroica attività il 16 marzo 1919 cambiando la propria denominazione in quella di Battaglione «Belluno».

7° ALPINI
Fiamme Verdi Ottobre 1964
I battaglioni «Monte» nell’apoteosi del 1918
(14a puntata)

Battaglione «Monte Pavione»
Il Btg. «Monte Pavione» aveva visto concludersi l’anno 1916 quand’era impegnato in opere di consolidamento della linea del Cengello tra le quote 2314 e 2444 ove si trovava già da quattro mesi; era al comando del Magg. Carlo Spelta e, dall’1 marzo al 14 settembre 1917 agli ordini del Ten. Col. Augusto Allois.
Dopo un periodo di comando del Capitano Apolline Paviolo (5 settembre - 21 ottobre), il battaglione venne affidato al Magg. Roberto Olmi il quale cadde prigioniero il 12 novembre dopo aver combattuto strenuamente a Cima Campo per consentire all’intero Corpo d’armata di sganciarsi dal nemico precedendolo nell’occupazione delle nuove linee difensive sul Grappa.
E’ infatti opportuno ricordare la motivazione della Medaglia d’argento al V. M. meritata dal battaglione in quei giorni gloriosi:
«Il battaglione M. Pavione, con ferrea tenacia e con superbo valore, per tre giorni consecutivi, resisteva all’impeto di un’intera divisione nemica, saldamente tenendo, con l’eroico sacrificio dei suoi alpini, le tormentate trincee che gli erano state affidate. Contrattaccando ogni sera con manipoli di prodi, riusciva ad inchiodare l’invasore sulla linea che la Patria aveva additato per l’estrema resistenza (Val Calcino, 11-13 dicembre 1917)».
Solo una ventina di alpini della 148° compagnia riuscirono ad unirsi alle compagnie 95° e 149°
a raggiungere le nuove linee; dopo la reintegrazione a Cassanego e un nuovo periodo di comando interinale del Cap. Paviolo, il battaglione venne posto agli ordini dei Magg. Mario Morgantini venendo dapprima incaricato di tenere la linea del Valderoa poi, con due compagnie il tratto tra la piccola forcella del Fontanasecca e il Fontanel e la 149° compagnia sul Solarolo e sul Monte d’Avien a rinforzo del «Val Cenischia ».
Il 7 dicembre il «Pavione » andò a rincalzo del «Val Maira» alla testata di Val Calcino dove nei successivi giorni si coprì di gloria il capitano Manlio Feruglio nativo di Treviso e comandante dell’indomita 148° compagnia; a mezzogiorno dell’11 dicembre il reparto di Feruglio, rinforzato da una sezione mitragliatrici e da una di lanciabombe Stokes respinse le truppe austriache, ungheresi e bavaresi che attaccavano la linea tra Col dell’Orso e il Solarolo; il nemico forzò allora lo Spinoncia penetrando in Val Calcino.
Accorso il «Pavione » nella nuova zona minacciata, all’alba del 12 dicembre la lotta riprese con rinnovato furore e durante questi innumerevoli episodi di valore caddero il predetto Capitano Feruglio e il Tenente Marco Sasso ai quali venne conferita la Medaglia d’oro.
La 148° compagnia (rimasta con poche decine di alpini e rinforzata con arditi e fanti) venne affidata al Ten. Lunelli (l’eroe del passo della Sentinella) e fronteggiò ancora con accanimento il nemico con furiosi combattimenti finiti a corpo a corpo, e riducendosi da trecento a venti uomini i quali, sebbene accerchiati, riuscirono a rientrare nelle linee.
Portatosi in seconda linea tra il Cason di Boccaor e il Cason delle Mure, il Btg. «Monte Pavione» raggiunse, agli inizi del 1918, la regione Borgofuso-Serraglio a sud di Liedolo, tornando in trincea sull’Archeson il 9 gennaio e pochi giorni dopo nel tratto tra il costone del Valderoa e il fondo di Val Calcina; tra il 14 e il 15 partecipò, con altri reparti alpini e di fanteria, a un non riuscito tentativo di riconquistare il Valderoa.
Dopo pochi giorni di riposo a Ca’ Falier, il 13 febbraio ritornò nella medesima località e, il 10 marzo si portò a Bassano e quindi a Piovene occupando poi la seconda linea sulle pendici sud del Monte Cengio; dopo una quindicina di giorni il reparto si accantonò a Maglio presidiando successivamente (dal 15 al 29 luglio) la prima linea tra la Montagnola e le pendici della Priaforà e passando poi in rincalzo del btg. «Feltre».
Gli arditi del btg. «Monte Pavione», al comando del s. ten. Torriani, collaborarno agli inizi di settembre del 1918 — col nostro Piovesana del «Feltre» — nell’effettuazione di un audace colpo di mano su Collegio.
Ritornato a Meglio, il battaglione ripartì per Avio e il 22 settembre salì a Coni Zugna iniziando l’1 novembre, unitamente al btg. «Feltre», la gloriosa avanzata su Trento, la città di Battisti che venne raggiunta alle 16,30 del 3 novembre dopo l’annientamento delle ultime ma disperate e notevoli resistenze del nemico.
I successivi spostamenti del Battaglione «Monte Pavione» furono: a Grumo e a S. Michele d’Adige, Bolzano, Cardano, Mezzaselva e Fortezza e, dal 20 febbraio 1919, a Landeck in zona d’armistizio fino a quando venne sciolto il 15 aprile dello stesso anno.
Battaglione «Monte Antelao»
Dopo il comando del Magg. Umberto Dedini, rimasto ferito nel vallone di Sirocaniva, il battaglione «Monte Antelao» venne diretto dal 20 agosto 1917 dal Cap. Luigi Reverberi già comandante della 150° compagnia.
Durissimi furono i combattimenti sostenuti durante l’avvicinamento a Mesnjak dove la resistenza austriaca era impenetrabile e decisa tanto da vedere risolti molti attacchi a colpi di pugnale e di baionetta; ma il 25 agosto, con l’aiuto di altri reparti alpini, anche la 150° compagnia del Battaglione raggiunse il conteso paese.
Il 6 settembre il btg. «Antelao» venne spostato a Podsabotino e quindi a Peternel e Cividale; l’1 ottobre fu ad Ala, due giorni dopo a passo Buole, e il giorno 15 nelle posizioni q. 804-Blockhaus-Sasso Sega – q. 703 con due compagnie, e con la terza a rincalzo del Doss Remit - Passo Capra.
L’arretramento in dipendenza delle vicende dell’Isonzo non determinò problemi particolari per il battaglione «Antelao» e il suo impiego in prima linea avvenne soltanto dal 24 ottobre 1918 con l’inizio della battaglia del Grappa.
Pesante fu ugualmente il compito del battaglione, spostato continuamente con rischiosi compiti di pattuglia e faticosi lavori di fortificazione.
Dal 5 marzo, fino a quando si trovava dislocato nelle trincee del sottosettore Dossi, il reparto svolse attività di pattuglia dapprima verso le case alte di Scudelle fino al trasferimento a Belluno Veronese e, dal 6 aprile, nuovamente nel settore dell’Altissimo per lavori in opere di difesa.
Il 18 maggio la 150° compagnia rimase sull’Altissimo portandosi, quaranta giorni più tardi, a Malga Gamboni mentre il resto del battaglione si trasferì a Bocca Dardole, Malga Pravecchio, Cima Montagnola e a Vignola.
Riunitosi a Fontechel, il «Monte Antelao» tornò in prima linea il 14 luglio nelle posizioni di Doss Remit e di Sasso Sega e, dopo quindici giorni, a Doss Spirano, Val Canton, Doss Tre Alberi, rientrando a S. Pietro Incariano dopo la metà di agosto.
Dopo la fase di riordino, il battaglione partecipò, fin dall’inizio, alla battaglia del Grappa ove perdette quasi subito un ufficiale e un aspirante.
Il 25 ottobre scese in Val Calcino e per la mulattiera di Col dell’Orso e del Solarolo tentò di attaccare q. 1676 senza riuscire a passare; riordinatisi per un nuovo attacco, scattarono dapprima gli arditi del Sten. Sganagatta e i primi plotoni della 96° del Cap. Pavoni i quali raggiunsero i reticolati ma il furibondo fuoco nemico li costrinse a retrocedere.
Anche durante la notte il battaglione, mal celato alla vista degli osservatori nemici, subì un nutrito bombardamento e si portò nella vicina valletta; giunto il pomeriggio del 26 ottobre il battaglione iniziò l’attacco ad ondate e una parte giunse di sorpresa nella trincea avversaria ove si scontrò in furiosi corpo a corpo.
Le mitragliatrici nemiche tennero però ancora a bada i generosi alpini, i quali persero tra l’altro il ten. Vigliani e l’aspirante Prestinoni.
Il giorno 27 l’«Antelao» si spostò verso il fondo di Val Calcino risalendo il successivo giorno alla Sella del Boccaor dietro Cima Pallone e Cima Mandria, e subendo la perdita del valoroso cap. Alliaud comandante della 151° compagnia.
Anche la linea del Piave intanto cadeva e pure il Battaglione «Monte Antelao» iniziò a risalire il Trentino; a Malga Agnerolla venne catturata un’intera compagnia di arditi austriaci e, in Val Cismon, un nutritissimo carreggio nemico.
Nelle prime ore del pomeriggio del 4 novembre il «Monte Antelao» entrò in Fiera di Primiero portandosi poi alla linea dell’Avisio il giorno 9; rimasto in zona d’armistizio per alcuni mesi, venne sciolto il 30 aprile 1919.
Battaglione «Monte Pelmo»
In tre anni — il periodo in cui ebbe vita — il battaglione «Monte Pelmo» ebbe quindici comandanti il che sta a testimoniare l’intensa e sanguinose attività che fece di questa unità alpina una delle più gloriose del 7° Reggimento.
Dei suoi effettivi ne rimasero ben pochi vivi ed incolumi alla fine della guerra ma i sopravvissuti non dimenticarono mai le dure ma eroiche vicende vissute; tra coloro che vivono ancora c’è un bravo vecio delle nostre Dolomiti (il « nonno scarpone» di chi scrive), il Cav. Angelo De March che da cinquant’anni lavora per la naja alpina e per il Nastro Azzurro nella sua piccola patria elettiva di Somma Lombardo.
Anche se sono rimasti pochi i lettori direttamente interessati, la storia del battaglione «Monte Pelmo», una delle unità non più ricostituite, fa parte integrante della vita di questo nostro 7° Alpini.
Dodici dei quindici comandanti predetti guidarono il btg. «Monte Pelmo» nell’ultimo anno e mezzo della guerra ed è per questo che ne sottolineammo all’inizio la comprensibile difficile vita che ebbe.
Nel n. 5 dello scorso anno sono state ricordate le imprese del Btg. «Monte Pelmo » durante l’anno 1916, mentre nel successivo numero di settembre si accennò come il battaglione passò dal Col di Bois alla zona Zugna passando per la Bainsizza, Monte Ruane e l’altopiano di Mesnjak.
Il comando era frattanto passato dal Ten. Col. Attilio Bernasconi al Cap. Luigi Viglieri (12-6 / 1-8-1917), al Magg. Gustavo Pesenti dal 2 al 21 agosto, nuovamente al Cap. Viglieri per pochi giorni, al Cap. Ferruccio Cavalieri e al Cap. Vittorio Dal Col per due giorni ciascuno, al Cap. Edoardo Ratti dal 28-8 al 7-9 ed infine al Cap. Alberto Mannerini che lo tenne fino all’agosto del successivo anno.
Il btg. «Monte Pelmo» fu alla Bainsizza per partecipare all’offensiva passando a Doblari dopo aver realizzato la difficile quanto indispensabile passerella sull’Isonzo, e lottando corpo a corpo per superare le munitissime difese avversarie del Monte Raune; quell’azione rese possibile la conquista della sommità del conteso monte, la cattura di circa quattrocento prigionieri e di una grande quantità di armi e munizioni.
Sulla strada aperta dal battaglione «Monte Pelmo» avanzarono pure i btg. «Albergian», «Belluno», «Antelao» e «Pieve di Cadore» mentre il Gruppo di artiglieria e il btg. «Val Chisone» rimasero sulla riva destra dell’Isonzo.
La notte sul 20 agosto 1917 il nemico giunse con un furente attacco ad occupare duecento metri di linea italiana, ma, specie per opera della 146° compagnia del «Pelmo» venne sopraffatto rimettendoci prigionieri, armi e munizioni; altro attacco dalle case di Sirocaniva venne stroncato dalla 466° compagnia del nostro battaglione.
La sera del successivo giorno, con la conquista di Mesnjak consolidata nei giorni seguenti, l’azione del provatissimo ed eroico btg. «Monte Pelmo» poté ritenersi compiuta.
Mentre infuriavano nuovi contrattacchi nemici, il btg. «Pelmo» e gli altri reparti del 5° Raggruppamento Alpini vennero sostituiti da truppe fresche.
Tutti i componenti del battaglione erano ammalati di colerina e vennero trasferiti a Grigno e a Belvedere di Valsugana ritornando poi a Peternel e Cividale, poi ad Avio, Passo Buole ed infine destinato alla seconda linea difensiva di Malga Zugna con la 146° compagnia a rinforzo del Btg. «M. Suello».
In zona Zugna il btg. «Monte Pelmo» rimase fino a fine gennaio del 1918 quando scese ad Ala per riposo; il 23 febbraio fu in seconda linea a Marani e a S. Margherita, dal 16 al 19 a Passo Buole, a Cima Mezzana e a Salvata, il 20 nelle trincee di Valletta Cisterna ove rimase fino al 6 aprile quando si trasferì a S. Pietro di Ala; il comandante Mannerini passò il comando al Ten. Col. Carlo Rossi per due giorni, riprendendolo daL 20 maggio al 30 agosto.
Il battaglione presidiava frattanto la linea Culma Alta-Pozzo Alto-Pozzo di Mezzo - q. 1311, con frequenti azioni aggressive dei propri arditi, portandosi poi a Pozzo Basso il 10 giugno e in varie località fino a S. Vito di Leguzzano ove si fermò dal 31 agosto al 13 ottobre. Altri spostamenti ancora prima della nuova destinazione al Grappa (M. Boccaor, Casone Val di Melin, Val delle Mure, M. Casonet) partecipando al nuovo attacco contro il Col del Cuc che venne conquistato e tenuto malgrado i ripetuti e furibondi contrattacchi avversari che recarono però notevoli perdite; rimasti senza munizioni, gli alpini continuarono a lottare a sassate e svariate decorazioni furono conferite per quegli episodi tra cui la Medaglia d’oro al ten. Tognali.
Il comando del Btg. «Monte Pelmo» venne tenuto dal Cap. Arnaldo Mezzano dal 31 agosto al 18 settembre passando al Cap. Luigi Masini dal 19 settembre al 18 dicembre.
Il «Monte Pelmo» aveva nel frattempo concluso le sue operazioni calando in Valle dello Stizzon, raggiungendo Feltre, Canai e Monte Miesna (106° compagnia) ed infine nuovamente a Feltre dove giunse l’annuncio della definitiva vittoria.
Dopo altro periodo di direzione del Cap. Mezzano dal 19 dicembre al 12 gennaio 1919, il Capitano Masini riprese il comando del battaglione il quale venne poi sciolto con la data del 25 maggio 1919.
Battaglione «Monte Marmolada»
Dalla rievocazione delle gesta dei battaglioni «monte» del 7°, che giunsero all’apoteosi della guerra 1915-18 non possiamo escludere il Btg. «Monte Marmolada» al quale è stato brevemente accennato nella decima puntata.
Il battaglione nacque e morì nell’arco di poco più di sei mesi; costituito il 22 maggio 1917 con la provvisoria denominazione di 6° Battaglione col comando del Magg. Leonardo Gatto Roissard e battezzato «Monte Marmolada» il 3 giugno, venne inviato sull’altipiano dei Sette Comuni il 6 giugno agli ordini del nuovo comandante Capitano Carlo Vigevani.
Tra il 10 e il 14 giugno il «Marmolada» rafforzò le linee in attesa dell’offensiva dell’Ortigara, passando poi a Sorgente e a Malga Fossetta.
Nella notte sul 25 giugno il nemico attaccò con furore riuscendo a riprendere le perdute posizioni di Passo dell’Agnella e q. 2101 dell’Ortigara.
Nelle azioni di contrattacco morì il comandante Vigevani al quale succedette il Cap. Giovanni Cieno sostituito poi dall’i luglio dal Cap. Enrico Busa.
La pressione nemica e le perdite del «Marmolada» costrinsero il battaglione a lasciare quota 2003 sulle pendici dell’Ortigara e a portarsi, per il vallone dell’Agnelizza, sulle pendici di Cima della Caldiera ove rimase fino al 20 luglio per riorganizzarsi e per l’esecuzione di lavori.
Il battaglione, comandato nuovamente dal Magg. Gatto Roissard dal 15 al 27 luglio e poi ancora dal Cap. Cieno dal 28 luglio al 24 agosto, assunse la difesa della linea di vigilanza tra quota 1807 esclusa e q.1638, di fronte alle posizioni avversarie di Granari di Bosco Secco, Granari di Zingarella, Pendici nord-est di Monte Colombara, e ci rimase fino a novembre del 1917 difendendo periodicamente la linea tra q. 1785 di Monte Fiara e q. 1705 di M. Taverne.
Dal 25 agosto il «Monte Marmolada» era comandato dal Magg. Cesare Boffa e, a causa delle tristi vicende dell’Isonzo, si portò sulla linea Tondarecar-Badenecche dove resse a sanguinosi attacchi avversari fino a che venne destinato, dal 29 novembre, ad assumere la difesa del Monte Castelgoberto da q. 1736 alla testata della Valle Segantini.
E’ qui che il btg. «Marmolada» visse il suo epilogo nel corso di una settimana di lotta feroce contro il nemico soverchiante che fece convergere sulla provatissima unità alpina assalti e bombardamenti compresi quelli con granate di gas asfissianti e lacrimogeni.
Cadde prima la difesa del Tondarecar mentre sul Castelgoberto rimanevano ormai pochi alpini senza acqua e con pochissime munizioni. L’attacco nemico si fece ancor più implacabile ed anche una compagnia del btg. «Cuneo» che tentava di raggiungere il «Marmolada» subì perdite gravissime senza riuscire nello scopo; la 300° compagnia del «Marmolada» tentò allora di arginare l’avanzata dal Tondarecar ma venne sopraffatta e il Cap. Busa — il quale aveva in precedenza comandato anche il battaglione — cadde con una pallottola in fronte.
Anche la selletta posta tra le due quote di Castelgoberto venne perduta come pure q. 1736 e poi selletta Stringa.
Gli alpini dei «Marmolada» rimasero stracciati e senza cibo, con le munizioni — anche quelle prese ai morti — quasi interamente esaurite, mentre truppe fresche avversarie vennero tenute a bada con altre ventisei ore di accanito combattimento con le baionette e gli ultimi spezzoni.
I pochi superstiti vennero fatti prigionieri e tra questi il Comandante Magg. Cesare Boffa al quale l’imperatore d’Austria concesse di portare le armi anche in prigionia a riconoscimento dell’eroismo dimostrato.
I bollettini di guerra austriaco ed italiano citarono il Btg. « Monte Marmolada» come modello di difesa ed esempio di valore; l’eroico reparto venne ufficialmente sciolto il 9 dicembre 1917 ma la seguente motivazione della Medaglia d’Argento al Valore Militare lo tramanda per sempre alla storia d’Italia.
«Il battaglione «Marmolada» respingeva, disperdeva con tenacia sanguinosa, per ben sette volte, ingenti masse di baldanzosi nemici anelanti a traboccare in pianura (M. Tonderecar, 15 e 22 novembre 1917).
Nella disperata difesa di una posizione attaccata da ogni parte, avvelenata di gas e sconvolta da implacabili bombardamenti, si imponeva all’ammirazione dello stesso avversario. (Castelgoberto, 4-5 dicembre 1917)».

Si è così conclusa la nostra rievocazione dell’eroismo dimostrato dal 7° Reggimento Alpini durante la Guerra 1915-18 e che si misura da un Granatiere di Savoia, due Medaglia d’argento e due di bronzo conferiti alla bandiera, oltre che dalle seguenti ricompense individuali al valore militare: Sei Ordini militari di Savoia, quindici Medaglie d’oro (di cui cinque a viventi), 320 Medaglie d’argento e 464 Medaglie di bronzo oltre ad un numero elevatissimo di encomi solenni.
I caduti furono 3743 ai quali va ancor oggi il devoto ricordo degli Alpini d’Italia.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Febbraio 1965
Il dimenticato sacrificio italiano nell'Albania di 45 anni fa
(15a puntata)

Nella «Storia d’Italia» — opera in cinque grossi volumi pubblicata sotto gli auspici del Comitato ordinatore della Mostra storica dell’Unità d’Italia in occasione delle Celebrazioni del primo Centenario, e che mi sono acquistato con non lieve sacrificio ritenendo di assicurarmi una fedele fonte di notizie — non ho trovato il minimo accenno all’opera del nostro Esercito in territorio albanese nel periodo dal 1918 al 1920.
Per quanto riguarda la partecipazione del Battaglione «Feltre» del nostro 7° Alpini alle operazioni in Albania, ho trovato sicuro riferimento nella storia del reggimento di Manlio Barilli (cui devo la più parte delle notizie che da tempo vado qui sunteggiando) e, per la parte generale, nella documentata «Storia popolare della Grande Guerra» lasciataci da Roberto Mandel, il generoso, fecondo e dimenticato scrittore trevigiano che ricordo arrivava timidamente con una traballante bancarella nella sua città natale nella speranza spesso delusa di vendere le sue belle opere con una cordiale autografa dedica all’acquirente.
Durante il corso della guerra gli austriaci avevano occupato la parte settentrionale dell’Albania e gli italiani la parte di mezzogiorno; gli albanesi s’erano fatti mercenari dell’una o dell’altra parte e il loro governo praticamente non esisteva.
Il Corpo italiano di spedizione subiva notevoli aggressioni specie verso la strada Santi Quaranta-Florina che era indispensabile disporre per il collegamento con i reparti italiani dislocati in Oriente.
Verso la metà di maggio del 1918 gli italiani rafforzarono le proprie posizioni e il giorno 18, coadiuvati da reparti irregolari albanesi e francesi, attaccarono le linee avversarie con vari combattimenti proseguiti fino al 20 maggio; gli austriaci, e le bande albanesi a loro favorevoli, si ritirarono oltre il vallone di Cerevoda, su per le balze del Monte Tomor, per cui la linea italiana venne ad estendersi lungo le alture di Cerenisti, di Zogas, di Bolen, di Ciafa e di Podum.
Precaria era però la situazione nella zona di Valona, e i rifornimenti che giungevano dall’Italia erano minacciati dai sommergibili nemici facilitati dalle segnalazioni che ottenevano dalle truppe austro-magiare che occupavano le cime di Malakastra a settentrione della baia di Valona.
Si presentò quindi la necessità di consolidare l’occupazione anche perché c’erano motivi di pensare che la Francia alleata predisponesse un suo consolidamento in Albania sebbene l’interesse a costituirvi un protettorato fosse ben più giustificato per l’Italia.
Venne quindi deciso di attaccare per i primi giorni di luglio fra l’Ostrovica e l’Adriatico, lungo un fronte di poco meno di cento chilometri e tenuto da ventitre battaglioni avversari. Le forze erano limitate essendo impossibile distoglierne dal fronte sul Piave, ma con due colonne d’urto sulle ali estreme del nemico e una terza colonna meno pesante al centro, l’azione iniziò ugualmente il 6 luglio; era previsto l’appoggio del forte contingente francese ma esso mancò per cui i nostri reparti agenti sull’ala destra (due battaglioni di guardie di finanza e due d’irregolari albanesi, comandati dal col. Treboldi) dovettero rinunciare a conquistare il Tomor.
La colonna centrale — agli ordini del Gen. Rossi — varcò la Vojussa infilando la grande strada che porta da Tepeleni a Bernt; la colonna di sinistra, comandata dal Gen. Nigra e composta da una divisione, superò pure la Vojussa occupando il bosco di Ferasa (che si estende intorno a Levani) coadiuvato dai tiri delle artiglierie navali. Ottima fu la prova degli squadroni di cavalleria operanti tra la Vojussa ed il Semeni e che occuparono tra l’altro l’aeroporto che gli austriaci avevano costruito a Fieri, caricando poi i difensori al ponte sul Semeni.
Anche al centro la colonna italiana otteneva larghi successi marciando su Izvori e sulle pendici del Ciafa Giava facendo sgomberare gli austriaci dal Malakastra, mentre i bersaglieri salivano sullo Zelenik.
I francesi non diedero il minimo del concordato appoggio alle truppe del Col. Treboldi, le quali rinnovarono gli sforzi sui Tomor finalmente coronati col proseguimento verso l’alto Semeni e il Devoli, anche a causa dell’arretramento cui dovettero decidersi gli austriaci in conseguenza dei nostri successi sugli altri due settori dove i reparti del generale Nigra avevano raggiunto il Basso Semeni e quelli del Generale Rossi s’erano impadroniti delle alture di Signa.
Le perdite complessive non furono rilevanti (150 morti e 700 feriti) mentre molti furono i risultati tra i quali la cattura di duemila nemici.
Notevole fu però la fatica sopportata dai nostri soldati in questa dura impresa in un paese primitivo privo di strade e di acqua potabile, mentre i pestilenziali pantani resero presto diffuse le peggiori malattie tra le quali la malaria.
Ciò nonostante il XVI Corpo d’armata italiano si spinse ancora avanti fino al 30 luglio nell’intento di interrompere la continuità del fronte nemico tenuto da austriaci e bulgari. Il generale Pfanzer Daltin riuscì pero a fronteggiare i ventitre battaglioni (assottigliati da ventimila ricoverati in preda a febbri malariche) con 43 battaglioni austro magiari, per cui il nostro comando dispose l’arretramento dalla vallata del Semeni e dalle alture di Signa fino a che il nemico perdette buona parte della sua capacità d’urto.
Nella fase di attacco cadde (7 luglio 1918) il Magg. Leopoldo Reverberi comandante del’85° reggimento della Brigata Verona (operante intorno a Stula) che venne decorato di medaglia d’oro come pure il capitano Francesco Biondo comandante di una compagnia del 15° Regg. (Brigata Savona) — che cadde il 23 agosto nella vittoriosa difesa della Malakastra.
Il 30 settembre la Bulgaria capitolava e la 35° divisione italiana in Macedonia avanzava profondamente a lato dell’Albania; il 2 ottobre Durazzo venne fortemente colpita con un bombardamento aereo-navale che, in tre ore di fuoco, distrusse gli apprestamenti militari creati dagli austriaci in quasi tre anni di occupazione.
Resa estremamente difficile la permanenza austriaca nell’Albania settentrionale, il XIX Corpo d’armata del generale Baltin ripiegò sollecitamente inseguito con altrettanta sveltezza dalle nostre truppe (scarsamente armato o con limitatissimi mezzi dl trasporto) che raggiunsero presto Io Skumbi, il 14 ottobre Durazzo e il giorno successivo Tirana.
Il 25 ottobre il Generale Piacentini assumeva il comando di tutte le forze italiane nei Balcani, e, dopo una breve sosta per ripristinare i collegamenti, l’avanzata venne ripresa oltrepassando il Mali, conquistando Scutari il 31 ottobre, Tarabose, Dulcigno, Dobrovada e Antivari, riducendo gli austriaci al solo caposaldo di Cattaro: era però ormai il 4 novembre 1918.
Tentativi di intervento a proprio favore furono fatti dai Serbi, ma soprattutto dagli alleati francesi i quali avevano sempre mirato all’Albania e che — dopo segreti colloqui a Salonicco — predisposero una feroce guerriglia contro gli italiani da parte di bande albanesi raccolte da Essad pascià, un capo bandito geniale ed audace che aveva l’ambizione di signoreggiare in Albania.
Ancora in ottobre Essad pascià aveva attaccato Alessio con cinquecento guerriglieri ma i nostri soldati erano intervenuti prontamente catturando loro anche tutte le armi fornite dai francesi.
Mentre a Parigi si stava tradendo l’incommensurabile sacrificio italiano, le bande albanesi fornite di armi e munizioni di provenienza «sconosciuta» e sollecitate all’odio verso gli italiani, si davano al massacro e alla devastazione per cui fu necessario rinforzare il Corpo di spedizione italiano; nell’agosto 1919, vennero infatti inviati in Albania due gruppi alpini: il II al comando del Col. Sassi prese posizione tra Scutari e la Valle del Drin Nero; il XVI agli ordini del Col. Rambaldi (comprendente i battaglioni «Fenestrelle», « Dronero » e il «Feltre » del 7°) fu dislocato nella regione Mathi e poi sull’alto Skumbi.
In particolare, il Battaglione « Feltre » — ancora al comando del ten. col. Nasci — venne prima inviato in Mirdizia, nella zona di Orosci, dove affrontò con decisione le agguerritissime bande ribelli.
Anche in Italia si accresceva però il disordine interno e il governo non riusciva a tenere le redini della povera Italia defraudata nei suoi diritti in sede internazionale ed ora sconvolta dai suoi figli peggiori.
Nell’estate del 1920 il generale Piacentini chiese urgenti rinforzi per l’Albania e il ministro della guerra gli rispose col seguente telegramma:
«Condizioni interne del Paese non consentono prelevamento truppe per l’Albania; tentativo invio rinforzi provocherebbe sciopero generale, dimostrazioni popolari, con grave nocumento della stessa compagine dell’Esercito che non occorre mettere a dura prova».
Per motivi elettorali il capo del governo proclamò a Roma che non solo abbandonava l’Albania ma anche tutti i nostri soldati che vi si trovavano.
Le truppe italiane dovettero allora iniziare a ritirarsi dall’Albania, che avevano prima interamente occupata, subendo taglie, lasciandosi depredare, abbandonando i pochi materiali che restavano; per conservare Valona gli alpini e le altre tradite truppe italiane sostennero vittoriosamente le battaglie di Drascovizza e della linea tra il Longia e il Messovum.
Le posizioni più avanzate di Valona erano presidiate da piccoli reparti staccati del 72° Fanteria comandato da Enrico Gotti al quale giunse la nomina a generale ma che non volle lasciate i suoi uomini.
Assalite da forze quindici volte superiori, il 6 giugno le nostre avanguardie resistettero dieci ore fino all’esaurimento delle munizioni e dell’acqua, dopo di che il Gen. Gotti dispose per il salvo della bandiera e dei fondi del Reggimento e andò dai ribelli per trattare: venne ucciso a tradimento da un capo albanese.
Alla memoria di Gotti venne decretata la medaglia d’oro, come pure al caporale Arduino Miccinesi del 95° Reggimento, il quale — il 23 luglio — affrontò le orde albanesi per due ore con la mitragliatrice e disperdendole poi a bombe a mano.
Valona e il suo hinterland erano destinati all’Italia già col patto di Londra del 26 aprile 1915 che regolava la nostra partecipazione alla guerra a fianco degli alleati, ma il 3 agosto 1920 venne firmata a Tirana la rinuncia italiana a Valona, conservando solo I’isolotto di Saseno; in seguito venne ritirato anche il presidio rimasto a Durazzo.
Tra caduti in combattimento e deceduti per malattie il battaglione «Feltre» ebbe a perdere, in meno di un anno di lotta in Albania, 122 uomini e molti tornarono ammalati; due medaglie d’argento e cinque di bronzo individuali fanno capire quanto fu valoroso il comportamento del battaglione anche nella triste ed inutile impresa albanese nel corso della quale rifulse nuovamente l’eroismo di Vittorio Montiglio da meritargli, anche per il valore dimostrato sui fronti delle Alpi, la medaglia d’oro con la seguente motivazione:
«Nato nel lontano Cile da famiglia italiana, educato da alti sentimenti di amor patrio, l’animo conquiso dagli eroismi e dai sacrifici della nostra guerra la cui eco giungeva a lui attraverso le lettere di due fratelli volontari al fronte, quattordicenne appena, lasciò la casa paterna e, sprezzante dei pericoli e disagi, venne alla sua Patria. Nascondendo con la prestanza del fisico la giovane età si arruolava nell’esercito e, dopo ottenuta l’assegnazione a un reparto Territoriale, per la sua insistenza veniva trasferito a un reparto Alpino d’assalto, ciò che era nei sogni suoi giovanili e nelle sue speranze.
Sottotenente a quindici anni, comandante gli arditi del battaglione «Feltre», partecipò con alto valore ad azioni di guerra, rimanendo ferito. Di sua iniziativa abbandonava l’ospedale per partecipare alla grande battaglia nell’ottobre ‘18, nella quale si distinse e fu proposto al Valore. Tenente a sedici anni, fu inviato col reparto in Albania, dove in importanti azioni contro i ribelli, rifulsero le sue doti d’iniziativa, non fiaccate dalle febbri malariche dalle quali venne colpito. Nella stessa località, salvando con grande rischio un suo soldato pericolante, nelle insidiose acque del Drin, dava prova di elevata sensibilità umana e di civili virtù. Magnifica figura di fanciullo soldato, alto esempio ai giovani di che cosa possa l’amore alla propria Patria.
Italia - Albania, giugno 1917 - giugno 1920
Non a caso ho scelto per concludere il nome di Vittorio Montiglio il quale, come accenna la motivazione della medaglia d’oro, dovette far falsificare — già alla partenza dal Valparaiso — il suo certificato di nascita (pagando trenta pesos cileni) perché apparisse che era nato nel 1899 anziché la vera data deI 1903 perchè non avrebbe altrimenti potuto combattere.
Ha «imbrogliato» un po’ tutti su questa circostanza; anche il nostro Giovanni Piovesana che l’allevò tra le file del plotone arditi del « Feltre» e che era convinto di aver come subalterno un sottotenente di diciotto anni mentre invece non ne aveva che quindici.
Il valore di Montiglio venne riconosciuto anche dagli avversari albanesi che gli offrirono persino il comando di una delle loro bande! Conclusa quella tragedia e non ancora guarito dalle febbri che s’era preso, Montiglio andò invece legionario a Fiume dove gli affidarono il comando di un reparto d’azione.
Ebbene, quando ritornò a Udine, Montiglio venne posto sotto processo e subì tre mesi di arresto.., per falsificazione di documenti personali!
M.A.
(continua)


7° ALPINI
Fiamme Verdi Febbraio 1966
IL «SETTIMO D’AFRICA»
(16a puntata)

Nelle precedenti puntate abbiamo avuto modo di rievocare l’attività del 7° fino alla conclusione della Grande Guerra e l’apporto dato dal Battaglione «Feltre» nelle dure operazioni svoltesi in Albania fino al giugno del 1920.
All’epoca della citata campagna albanese il 7° si trovava, come si è detto, parte in terra schipetara (il battaglione «Feltre» col Ten. Col. Nasci e il comandante del reggimento Col. Giuseppe Rambaldi il quale era a capo del XVI Gruppo comprendente anche i battaglioni «Fenestrelle» e «Dronero») e gli altri battaglioni permanenti ancora in patria.
Il Col. Giuseppe Ferrari giunse al 7° il 13 novembre 1919 e tenne il comando fino al 16 giugno del successivo anno quando iniziarono i comandi interinali del Col. Olivo Sala (17 gennaio - 20 luglio 1920) e del Col. Albino Gervasoni dal luglio all’ottobre 1920 quando il 7° completò la propria smobilitazione sussistendo soltanto con il battaglione «Feltre» che dal luglio del successivo anno, e fino al 26 ottobre 1926, passò a far parte del 9° Reggimento.
Il «Settimo» andò quindi «in congedo illimitato» fino al 9 ottobre 1926 quando il Col. Carlo Sassi ne assunse il comando per tenerlo fino al 6 maggio 1927 quando gli succedette il Col. Isidoro Rovero al quale seguì, dal 4 gennaio al 14 dicembre 1928, il Col. Gustavo Pesenti, e poi - fino al 16 dicembre 1931 - il Col. Carlo Vecchiarelli; il Col. Vincenzo Paolini tenne il comando del reggimento dalla predetta data fino al 30 settembre 1934 e il Col. Pietro Zaglio dall’1 ottobre 1934 al 30 aprile 1935.
Dopo le pause di «congedo» e di ripristinata attività «pacifica», il Settimo venne affidato dal 15 maggio 1935 al Col. Emilio Battisti. Un «Settimo» tutto particolare in quanto, mentre i battaglioni «Belluno» e «Pieve di Cadore» vennero destinati a formare il 12° nuovo Reggimento Alpini, il «Settimo speciale» - con destinazione Africa Orientale - era costituito dal vecchio e glorioso «Feltre», dal «Pieve di Teco» del 1° Alpini e dall’«Exilles» del 3° Reggimento.
Partito da Belluno il 4 gennaio 1936, il «Settimo d’Africa» giunse il giorno successivo a Napoli ove s’imbarcò sul «Conte Grande» arrivando a Massaua il 12 gennaio per inoltrarsi il giorno dopo a Decameré.
Successive tappe furono: Edaga Robò fino al 21 gennaio, Enda Mariam (32 chilometri di marcia notturna); poi, attraverso Hauzien e Ugorò, il Settimo si accampò a Ciptà, sulla direttrice che conduce a Macallé.
SEMPRE PRESENTE
IL BTG. «FELTRE»
Il «Feltre», che dopo il triplice periodo di comando di Gabriele Nasci - conclusosi alla fine del 1923 - aveva avuto a successivi comandanti Rossi, De Cia, Manfredi, Masini e Cesarini (nomi che ricordiamo perchè chi fu del «Feltre» in quegli anni li scorrerà volentieri) era comandato, dal marzo del 1935 dal Magg. Vittorio Emanuele Bollati che ora si trovava in Africa con i suoi baldi quasi tutti della classe 1914.
Alla grande battaglia dell’Endertà, il «Feltre» fu inizialmente di rincalzo ma già il successivo giorno (13 febbraio) gli venne assegnato lo sperone di Enda Gaber portandosi poi ancor più sotto all’Amba Aradam.
Dopo una serie di efficaci tiri della 24° batteria del Gruppo «Belluno», il giorno 15 gli alpini partirono all’attacco a nord-est conquistando l’amba il successivo mattino dopo essere stati bloccati dalla nebbia durante la notte.
Otto giorni di riposo, e il battaglione si porta sulle posizioni di Monte Gomolò avendo come obbiettivo l’Amba Agorà che venne raggiunta in due giorni di marce durissime attraverso la conca di Mai Esco e l’Amba Corcori.
Dopo la sosta nella zona di Plagi (1-12 marzo) il «Feltre» e gli altri reparti del «Settimo» occuparono i contrafforti oltre la piana di Alalà passando poi alla piana di Enda Chercos e il Passo Dubbar per giungere il 17 marzo alla piana di Mai Ceu e al Passo Mecan.
Il «Feltre» raggiunse una posizione intermedia tra occidente ed oriente del passo avendo a destra il battaglione «Intra» e alla sua sinistra il «Pieve di Teco»; il nemico era pronto all’attacco, con truppe numerosissime e ottimamente armate.
Il 27 marzo l’artiglieria abissina iniziò a battere le posizioni del «Feltre» continuando anche nei successivi giorni. All’alba del 31 marzo iniziò quella che venne chiamata la battaglia di Mai Ceu, forse più nota come battaglia del Lago Ascianghi.
Gli abissini si lanciarono contro i muretti eretti dagli alpini del Feltre e del Pieve di Teco ma vennero respinti; nel pomeriggio il nemico si spostò attaccando ancora e venendo nuovamente ricacciato.
L’attacco riprese il mattino successivo con altre fortissime perdite per le truppe abissine, mentre il 2 aprile passò abbastanza tranquillo. Il 3 aprile il «Feltre» si lanciò verso Passo Ezbà notevolmente difeso, ponendo definitivamente in fuga il nemico grazie anche al generoso contributo dell’Exilles.
Sepolti i propri caduti, tutto il Settimo riprese la marcia verso Passo Agumbertà e il Lago Ascianghi - unitamente agli altri reparti avanzanti - mentre la guerra volgeva al termine.
Il «Feltre» ha poi contribuito a completare l’occupazione marciando dal 18 al 31 maggio verso Dessié, effettuando lavori stradali e di scorta (talvolta 150 chilometri a piedi) e presenziando poi, tra ottobre e novembre, a Addis Abeba. Il 23 novembre il battaglione fu a Lekemti per eseguire lavori stradali, fermandosi a Tibbé a fine anno.
Il 23 marzo 1937 il «Feltre » ritornò a Addis Abeba per portarsi poi a Massaua dove il 5 aprile s’imbarcò per il glorioso ritorno in patria.
E’ necessario ora premettere che, alla fine del 1935, venne formato a Feltre il «VII Battaglione Complementi» destinato all’ Africa ove giunse il 20 gennaio 1936 per unirsi al «Settimo d’Africa».
IL PRESTIGIOSO BTG. «UORK AMBA»
Il giovane battaglione arrivò in febbraio ai piedi dell’Amba Uork - il cui nome significa «montagna d’oro» - costituita da un massiccio formato da due vette unite da un breve avvallamento.
Mentre l’occupazione della vetta nord - ritenuta non presidiata - venne assegnata a un reparto di camicie nere della «28 ottobre », la conquista della vetta sud - sovrastante il Passo Uarieu e fortemente tenuta dagli abissini - venne affidata al battaglione alpino dei complementi.
Il capomanipolo Polo delle CC. NN. trovò alla vetta nord alcune sentinelle e molti abissini addormentati che vennero posti fuori combattimento mentre si stavano svegliando; altri fuggirono recando l’allarme nelle proprie retrovie.
Per l’azione sulla vetta occidentale era stato incaricato il ten. Gustavo Rambaldi (figlio del comandante del 7° durante la prima guerra mondiale) assai noto per la sua perizia di rocciatore.
Partito nella notte sul 27 febbraio, con 30 alpini, quindici ascari, due trasmettitori e tre mitragliatrici leggere, Rambaldi avrebbe dovuto ricevere l’appoggio di un plotone comandato dal Ten. Reatto e che doveva portarsi sul primo gradino dell’Amba.
Il Ten. Rambaldi superò i difficili due chilometri che distavano dalla base del monte, ma si accorse che il plotone di Reatto - destinato a tamponare la forcella - non era riuscito a mantenersi in contatto: dopo un’ora d’inutili ricerche, iniziò ugualmente la salita lunga e difficile dovendo rinunciare anche all’apporto degli ascari i quali non riuscivano a seguirlo.
Giunto con i suoi trenta alpini al ciglio del ripiano terminale dell’amba, Rambaldi constatò che il ritardo era ormai grave da compromettere decisamente l’azione in quanto l’alba era ormai vicina. Ordinò l’assalto ma la difesa nemica era troppo facile ed accanita.
Due delle tre mitragliatrici si erano inceppate e i rinforzi inviati dal battaglione, al comando del S.Ten. Costa, vennero bloccati dagli abissini ormai in fase di accerchiamento dell’Amba.
Gli altri reparti del battaglione combattevano intanto alla base dell’amba e, anche se non fu in quell’occasione possibile l’occupazione totale della «montagna d’oro», l’azione di Rambaldi e dei suoi pochi alpini valse a favorire l’occupazione della punta nord, a tenere sotto il fuoco il colletto interposto tra le due cime e a tenere impegnate notevoli forze avversarie.
Fu proprio a ricordo di questa impresa effettuata dall’Uork Amba durante la battaglia del Tembien che gli alpini vollero che il VII Battaglione Complementi ne assumesse il nome; e ciò si deve soprattutto al comandante Magg. Tommaso Risi - succeduto al Ten. Col. Ferdinando Casa - per cui la nuova denominazione di Battaglione «Uork Amba» ebbe effetto dal 15 marzo 1936 ma con «anzianità» dal dicembre 1935.
Al Magg. Bisi succedette dal 12 maggio 1936 il Ten. Col. Giuseppe Decio col quale il battaglione si portò al Passo Mecan di rincalzo alle altre truppe - tra le quali il resto del 7° - ed infine a Dessié e Addis Abeba.
Al lago Dadi il battaglione Uork Amba costruì vari fortini e assunse la protezione dei lavoratori impegnati a costruire la nuova strada da Dessié a Addis Abeba.
A Feltre si era intanto costituito un nuovo Battaglione Complementi che, al comando del Magg. Biasutti, giunse in Africa il 15 gennaio 1937 fondendosi coll’«Uork Amba» che nel Magg. Biasutti ebbe il nuovo comandante fino al 27 marzo quando, dopo pochi giorni di comando interinale del Ten. Col. Andreini, venne affidato al Magg. Gennaro Sera il famoso Alpino del Polo Nord.
L’«Uork Amba» fu poi impegnato contro i ribelli a Gheddò (sulla strada di Lekemti), a tenere saldamente il Monte Amara e - tra ottobre e dicembre del 1938 - in veri combattimenti a Mosovic, lungo il torrente Alakek, a Teclé Mariam, a Ghersa Agher, a Mieti e a Gheram Bebit; gli atti di eroismo, dimostrati anche in questo prolungamento della guerra dagli appartenenti all’«Uork Amba», furono numerosi e tra essi va ricordato quello dell’alpino Giuseppe Sidoli il cui estremo sacrificio meritò la medaglia d’oro al valore militare.
Altre due medaglie d’oro erano state conferite alla memoria del tenente Efrem Reatto e del sottotenente Antonio Ciccirello per i fatti del 27 febbraio 1936 all’Amba Uork.
Tre medaglie d’oro del Btg. «Uork Amba»: tutte quelle assegnate ai componenti del Settimo durante la guerra d’Etiopia e le operazioni di grande polizia coloniale in Africa Orientale. Lo stesso Battaglione venne decorato di medaglia di bronzo al valore militare con la seguente motivazione:
« Conquistava, e con tenacia manteneva importante posizione sui fianco di un’amba infrangendo ripetuti assalti di soverchianti forze nemiche, mentre i suoi reparti di scalatori raggiungevano l’impervia cima dell’amba stessa, dopo una giornata di sforzi ammirevoli, in bella emulazione con un nucleo di CC.NN. e di Ascari. Amba Uork, 27 febbraio 1936 ».
Il Maggiore Sora aveva lasciato l’«Uork Amba» nel dicembre del 1937 e il comando del già glorioso battaglione venne assunto dapprima dal Cap. Luigi Macchia (fino al
febbraio del 1938) e poi dal Cap. Antonio Perrazza (fino al maggio dello stesso anno), per ritornare poi a Macchia (divenuto maggiore) fino al maggio del 1939.
Comandato dal Cap. Giuseppe Guerini dal maggio al giugno 1939 e dal Ten. Col. Luigi Viglieri fino al novembre dello stesso anno, il Battaglione Uork Amba venne dal novembre 1939 affidato al Magg. (poi ten. Col.) Luigi Peluselli col quale doveva presto iniziare un nuovo periodo di lotte durissime ma ugualmente gloriose.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Aprile 1966
IL SETTIMO IN SPAGNA
(17a puntata))

La guerra civile in Spagna - prova generale del conflitto mondiale che era già nell’aria - durò dal 18 luglio 1936 al 31 marzo 1939.
E’ una guerra che molti cercano di dimenticare, e persino gli spagnoli sono restii a parlarne anche se non poche rovine tuttora esistenti ancora rimproverano questa ulteriore cattiveria umana scatenatasi trent’anni or sono.
Sbaglia chi si aspetta da queste righe un giudizio su torti e ragioni dell’una e l’altra parte; nemmeno coloro che han combattuto in Spagna lo possono fare perchè rimasero poi atrocemente delusi per le efferatezze rimproverabili agli opposti schieramenti spagnoli e a molti che li sostennero.
Non si sa nemmeno quanti furono i morti: almeno seicentomila ma forse più di un milione, e in buona parte causati dalle feroci reciproche vendette che solo l’odio di parte può ispirare.
A quella guerra parteciparono, più o meno dichiaratamente, numerose nazioni le quali pretesero compensi spesso ricattatori: Hitler volle il ferro delle miniere spagnole e Stalin la gran parte delle riserve auree della Banca di Spagna che erano, per valore, le seste del mondo.
50.000 furono i soldati italiani che combatterono in Spagna; i morti furono cinquemila, certamente più che meno.
C’erano anche gli alpini, e tra essi quelli del Settimo comandati dal Col. Emilio Battisti.
Le Penne Nere del 7° ebbero in Spagna tre caduti tra i quali il sottotenente Antonio Nais morto combattendo nella battaglia per la liberazione della Catalogna; undici furono le medaglie d’ argento conferite al valore militare e venti quelle di bronzo.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Giugno 1966
I pochi anni di pace del Reggimento
(18a puntata)

Con la succinta rievocazione della gloriosa storia del «Settimo» siamo giunti alle soglie dell’ultimo immane conflitto.
Nelle più recenti puntate abbiamo ricordato le imprese compiute in Abissinia dal «Settimo d’Africa» con i suoi battaglioni «Feltre», «Exilles » e «Pieve di Teco» (e il nuovo battaglione «Uork Amba»), mentre i battaglioni «Belluno» e «Pieve di Cadore» - rimasti in patria - costituirono il 12° Reggimento Alpini poi riassorbito; abbiamo pure ricordato l’apporto del Reggimento nella guerra di Spagna alla quale parteciparono alcuni dei suoi reparti.
Il comando del Settimo passò al Ten. Col. Carlo Danioni dal 10 luglio al 14 ottobre 1937 e infine al Col. Carlo Ghe dal 15 ottobre 1937 al 20 settembre 1940.
Ricordiamo ora i comandanti dei singoli battaglioni fino all’inizio delle ostilità sul fronte occidentale.
Il Battaglione «Feltre», gia comandato dal Magg. Vittorio Emanuele Bollati dal marzo 1935 al 26 aprile 1937, ebbe a nuovo comandante - dal 4 giugno 1937 al 9 ottobre 1940 - il Magg. Mario Cornalba.
Del Battaglione «Pieve di Cadore» non abbiamo avuto modo di parlare dal suo vittorioso ingresso a Feltre il 31 ottobre 1918 quando era al comando del Magg. Luigi Sibille. Nei successivi vent’anni trascorsi in territorio italiano il battaglione venne comandato dal 1919 al 1921 dal Magg. Mario Girotto, dal Magg. Aldo Pocchiola nel 1922, dal Magg. Umberto Dedini nel 1923, ancora da Aldo Pocchiola dal 1924, dal Magg. Augusto Bauzano nel 1927, dal Ten. Col. Giuseppe Crova fino al 1928 quando ritornò Pocchiola (col nuovo grado di tenente colonnello) reggendo il comando fino al 1930; dall’aprile del 1931 all’aprile del 1933 il battaglione ebbe quale comandante il Magg. Carlo Cigliana, poi il Magg. Luigi Lorenzo Navone per i successivi due anni, il Magg. Domenico Mené dall’1 dicembre 1937 al 31 agosto 1939, ed infine dal Magg. Renato Perico che tenne il comando dal 3 settembre 1939 fino allo scioglimento del reparto avvenuto il 12 ottobre 1943.
Il Battaglione «Belluno» - sciolto il 12 giugno 1917 dopo lo sfortunato epilogo al Lago di S. Croce - venne ricostituito nei marzo del 1919 agli ordini del Cap. Americo Masini (che già appartenne al «Belluno» e che era riuscito a sfuggire, col Ten. Cadorin, alla morsa nemica tra il Fadalto e il lago predetto) mantenendone il comando fino al 5 settembre del 1920.
Ricordiamo pure i comandanti dei successivi vent’anni durante i quali il battaglione non venne impegnato: il Magg. Marcello Battisti dal luglio 1921 al febbraio 1922, il Magg. Pietro Zaglio dal marzo 1922 al gennaio 1926; il Magg. Roberto Olmi dall’aprile di quell’anno a metà maggio del 1927, il Magg. Guido Cesarini fino al giugno 1928, il Magg. Gaetano Ricci fino all’1 aprile 1930, il Magg. Bartolomeo Ballaira fino al 17 ottobre 1932, il Magg. Rodolfo Psaro dal 18 ottobre 1932 alla fine del 1933, il Magg. Giuseppe Rossi dall’i gennaio 1934 al 6 settembre 1937, il Magg. Domenico Menè nei due mesi successivi, il Magg. Giuseppe Bruschi dal 27 novembre 1937 al 10 febbraio 1940 e infine il Ten Col. Lelio Castagna che ne assunse il comando l’11 febbraio 1940 tenendolo fino al 5 marzo 1941. Molti sono i nomi illustri e che ancora incontreremo nella nostra rievocazione della storia reggimentale.
Il Battaglione «Val Cismon  venne ricostruito poco prima dell’inizio della guerra, l’8 settembre 1939 quando il Magg. Augusto Berti ne prese il comando tenuto fino al 31 ottobre 1940 e riprendendolo (dopo rimediate un po’ le ferite subite nel corso del combattimento che ricorderemo) per il periodo tra il 21 dicembre 1940 e il 30 gennaio 1941; gli altri valorosi comandanti del «Val Cismon» verranno ricordati nel corso della narrazione.
Con la stessa data dell’8 settembre 1939 venne pure ricostituito il «Val Piave» agli ordini del Ten. Col. Federico Attilio Calvi che il 3 ottobre dell’anno successivo venne trasferito ad altro incarico; il reparto venne sciolto a fine ottobre e i suoi alpini passarono al «Cadore».
Anche il «Val Cordevole» ebbe la stessa breve seconda vita del precedente battaglione «valle» ed ebbe quale comandante il Magg. Alberto Bizzarini.
I comandanti dell’«Uork Amba» sono stati recentemente ricordati nel corso della rievocazione delle gesta di questo famoso - e glorioso - battaglione che visse sempre combattendo in Africa destando l’ammirazione anche dell’avversario.
Il lettore non consideri inutile l’elencazione dei nomi fatta in questa puntata che precede quelle che dedicheremo all’ultimo conflitto mondiale del 1940-43: sono nomi di valorosi comandanti che nel periodo che precedette la guerra forgiarono quei «veci» che seppero poi dare l’esempio ai giovanissimi bocia che iniziarono la naja alpina quando già il fuoco infuriava nel mondo.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Agosto 1966
SUL FRONTE FRANCESE
(19a puntata)

Alla vigilia dell’ultima guerra il Settimo - comandato dal col. Ghe - aveva reclutati tutti i suoi battaglioni inquadrati nella divisione «Pusteria» agli ordini del gen. De Cia.
Riunitosi d’urgenza nella sede stanziale, il «Feltre» si trasferì in treno a Col di Nava e, dopo quindici giorni di attendamento, si portò a Demonte e infine a Vinadio; marcia a piedi fino al Colle della Maddalena, arrivo all’Argentera, inoltro per la valle del torrente Puriac e verso l’omonimo colle, privi di carte topografiche della zona e con gli alpini someggiati anche delle munizioni per mortai da 81.
Il battaglione «Cadore» partì da Tai il 2 giugno raggiungendo a scaglioni il Col di Nava e infine la zona d’impiego a Colle di Lago dei Signori, con dislocazione tra Goletta e il terrazzo mediano di Rio Bail.
Il battaglione «Belluno», in seconda schiera nella zona tra Monte Mart e il Colle di Tenda, proseguiva intanto i lavori di riattamento stradale e di sgombero della neve; spostatosi in Valle Stura si predispose per l’offensiva a sinistra del Colle della Maddalena.
La notte sul 23 giugno i tre battaglioni erano pronti all’attacco: il «Feltre» e il «Belluno» in primo scaglione; in secondo scaglione il «Cadore», a disposizione a Passo Lauzanier.
Le operazioni iniziarono in mezzo alla tormenta di neve, con freddo acutissimo e fitta nebbia; l’obiettivo era di invadere la valle di Lauzanier occupando q. 2771 e poi, unitamente all’11° Alpini, penetrare nella valle Abries raggiungendo Jausiers.
Superato il confine, il «Feltre» puntò con la 64a su Enchostraye, Lac de Lauzanier e le quote 2927, 2765 e 2605, con la 65a su quota 2703, il Lac des Homes e q, 2618; di rincalzo era la 66a compagnia. Senza incontrare reazione nemica ma contro l’imperversare dei maltempo, la 64a raggiunse il centro di Vali d’Abries già la sera del 23 giugno.
I difensori francesi iniziarono a fronteggiare con artiglieria e mortai dal Tourillon e da Col des Fourches, con nutrito fuoco di mitragliatrici dalle caverne del Sommet de la Tour; la reazione proseguì a tratti fino al mattino, ma il battaglione riuscì ugualmente a raggiungere il fondo della valle operando di sorpresa e portandosi alle spalle delle direttrici del fuoco avversario.
Nell’immediato pomeriggio del 24 giugno il «Feltre» riprese l’esecuzione dell’ordine operativo che prevedeva la discesa dal Lauzanier e, attraverso Les Sagne» e la riva sinistra di Val d’Abries, l’occupazione di Jausiers.
L’aggravarsi dei maltempo e l’incessante reazione avversaria deaterminarono altri vuoti nei battaglione e consigliarono un riordinamento e l’attesa di due compagnie di rinforzo del battaglione «Trento» dell’11° Alpini le quali giunsero infatti alle ore 22; prima dell’alba del 23 giugno, mentre il «Feltre» si apprestava a riprendere l’avanzata, giunse l’ordine di sospendere le ostilità per sopravvenuto armistizio.
*
Il battaglione «Cadore», col quale era il comandante del reggimento, aveva raggiunto il Colle Lauzanier al mattino del 23 giugno, serrando poi sotto il «Feltre» e il «Belluno» impegnati nella dura avanzata, e tenendo come obiettivo, unitamente a quest’ultimo reparto, il Passo di Gregoire. Frequenti furono i casi di assideramento e non pochi i caduti e i feriti sul costone del Lauzanier, ma il battaglione avrebbe ugualmente conseguito la conquista delle posizioni del Sommet de la Tour se l’armistizio non l’avesse fermato.
*
Il battaglione «Belluno» - diviso in più colonne - partì dalla displuviale di Passo Goretta mirando ad impadronirsi della cresta spartiacque tra q. 2618 e q. 2771: 78a avanzata, 77° e 79° di rincalzo.
Notte all’addiaccio alla capanne Donadieu e proseguimento, all’alba del 24 giugno, per il Col du Quartier d’Août dove un gruppo di osservatori avversari fuggì dando l’allarme e determinando l’intervento dell’artiglieria francese.
Il battaglione subì alcune perdite tra cui il capitano Gobbitta, e numerosi congelamenti; con la notizia della sospensione delle ostilità il «Belluno» ebbe l’ordine di portarsi a Jausiers a disposizione della Commissione di Armistizio.
Il «Feltre» scese invece a Mondovì rimanendovi venti giorni, poi a Dobbiaco e infine a S. Candido.
Il battaglione «Cadore» si portò a Gaiola passando poi a Montalto di Mondovì e Dobbiaco, accampandosi a Valle S. Silvestro e infine a Dobbiaco Vecchia e a Villalassa.
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Degna di segnalazione è l’opera svolta sul fronte occidentale dai battaglioni «Valle» del 7°.
A Cuorgné il «Val Cismon» fece parte - con i battaglioni «Intra» e «Val Brenta» e il gruppo «Val d’Orco» d’artiglieria alpina – del raggruppamento mandato dal gen. Girotti e che - alla dichiarazione di guerra - si dispose a Viù, in Valle Stura, occupando la zona di frontiera sulla destra del Rocciamelone.
Trasferito d’urgenza a Pré Saint Didier il «Val Cismon» raggiunse il Piccolo S. Bernardo e - nella notte tra il 23 e il 24 giugno - attaccò le posizioni francesi sfondando, malgrado la violenta reazione, verso Villar e raggiungendo Séez che rappresentò il punto di penetrazione massima delle truppe italiane in Francia.
L’armistizio fermò il «Val Cismon» mentre si apprestava a marciare verso il fondo della Valle Isera per occupare borgo San Maurizio in Val Tarantasia; fermatosi a Séez fino a ottobre, venne sostituito dal battaglione «Val Piave» che faceva parte del 4° Gruppo Alpini Valle comandato dal col. Amedeo Frati.
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Allo scoppio delle ostilità il «Val Piave» si trovava allo sbarramento di Croce Roley e del Nivolet e alcune squadre tentarono - fin dal 16 giugno - un colpo di mano contro i francesi a Punta Galisia e sul Colle Basagne che non riuscì a causa della tormenta e della neve.
Spostatosi il 18 giugno alla testata di Valle Roma, Punta Basei, Colle Nivoletta, a Introd il giorno 20, e il 22 a Col du Mont, il battaglione «Val Piave» superò la frontiera portandosi alla Motte nei pressi di Le Crôt dove il confratello «Val Cordevole» stava dando battaglia e al quale diede il cambio nel pomeriggio
del 23 giugno; intensa fu l’attività specie della 275° compagnia che occupò Planey Dessous e Planey Dessus arrivando con alcuni reparti su Montalbert. Anche la 268a spinse l’azione oltre S. Guerin e, superato Montes, raggiunse Plan Bois.
Il successivo giorno 24 anche Le Villard venne occupata da un plotone della 275°, mentre la 268° superava La Rosière e Plan Bois obbligando il nemico a ripiegare sulla Thuile; di rincalzo era la 267° che provvedeva tra l’altro a recuperare il notevole materiale abbandonato dall’avversario.
I francesi reagirono violentemente fino all’ultimo minuto fissato dall’armistizio, e gli ufficiali dei «chasseurs des Alpes» s’incontrarono poco dopo con i comandanti dei nostri reparti a riconoscimento del reciproco valore dimostrato.
Il «Val Piave» rimase in zona di armistizio per vari mesi a Sainte Foy, a Les Masures, a Le Miroir, a Planey Dessus e infine, subentrando al «Val Cismon» a Séez; a fine ottobre. dopo aver sostato ad Aosta, il battaglione ritornò a Tai di Cadere.
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Il battaglione «Val Cordevole» si trovava in Val Grisenza quando l’inizio delle ostilità lo trovò frazionatamente dislocato a Planaval (comando e compagnia comando), a Revère (206° comp.), a Prariond 266°) e a nord di La Betthaz (275°), inquadrato nel 4° Gruppo Alpini Valle del col. Frati.
Selle prime ore del 21 giugno il battaglione «Val Cordevole » ebbe l’ordine di passare il confine al Col du Mont con lo scopo di attestarvisi occupando pure Sachère e raggiungendo Sainte Foy in Val d’Isère. La difficile e complessa operazione venne portata a termine, malgrado l’accanita difesa francese, senza alcun intervento dell’artiglieria, con il plotone arditi condotto dai tenenti Campanella e Sansone e che, con l’eroismo dei suoi uomini, spazzò gli ostacoli più gravi che si frapponevano a raggiungere La Motte, con la 276° compagnia avanzata che sfidò il fuoco vomitato dall’avversario dalla munita quota 2720, dalla 266° compagnia che immediatamente seguiva di primo rincalzo e dalle restanti compagnie di secondo rincalzo.
Alla sera gli alpini del «Val Cordevole» avevano raggiunto Fontaines d’en Haut, e il successivo giorno - riforniti di munizioni - si attestarono a sud di Le Viliard per coprire il fianco sinistro dell’avanzata verso Borgo S. Maurizio; una compagnia avversaria venne dispersa da un plotone comandato da Zanibon e molti furono gli attacchi con bombe a mano.
Il bombardamento nemico si fece più intenso nella notte del 23 giugno tempestando i valloni di S. Claude e di La Motte dove stavano penetrando i battaglioni «Val Piave » e «Ivrea»: la 276° compagnia del «Val Cordevole» contribuì a ripulire i boschi dai nuclei di resistenza francesi.
Passato in secondo scaglione nel pomeriggio, il «Val Cordevole» ebbe l’ordine di serrare sotto l’«Intra» e di tornare successivamente verso Fontaines d’en Hau: dove si accantonò la 266°, mentre la 206° si stabilì a Le Crôt, la 276° a Plan du Pré e il comando ad Auvet.
Alla fine di ottobre dei 1940 i battaglioni «Valle» vennero sciolti o i loro effettivi passarono agli altri battaglioni del Settimo con i quali dovevano vivere l’altra dura ma gloriosa impresa sul fronte greco-albanese.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Ottobre 1966
CIAFA GALINA
(20a puntata)

Il colonnello Rodolfo Psaro assunse il comando del 7° Alpini il 21 settembre 1940 e guidò la prima eroica fase dei lunghi combattimenti sostenuti dal reggimento sul fronte greco-albanese.
Il battaglione «Feltre», agli ordini del magg. Scaramuzza, giunse a Valona il 24 ottobre, e a fine novembre lo raggiunsero il «Cadore» comandato dal magg. Perico e il «Belluno» del ten. col. Castagna.
Già all’arrivo il «Feltre» ebbe l’ordine di portarsi immediatamente a Klisura per contribuire a contenere l’avanzata dei greci risalenti la Vojussa: il comando di battaglione con la compagnia comando e la 66° si sistemarono sulle pendici occidentali del Mali Topojanit, la 65° a Mali Topojanit e la 64° a Mali Taronine; nei successivi giorni, e a causa della grave situazione sul fronte della Julia, il battaglione si pose in difensiva sulla destra del fiume Osum, in regione Cerevoda, con la 66° in zona Coprenska e la 64° a Gradez.
Nella valle dell’Osum giunse intanto anche il battaglione «Cadore» per contrastare l’avanzata del nemico verso Perati, e con l’obbiettivo di occupare le posizioni di Cia- fa Galina.
Uguale frettoloso impiego ebbe il battaglione «Belluno» che, appena sbarcato a Valona il 26 novembre, venne caricato negli autocarri giungendo nella notte a Klisura e spostandosi poi oltre Premeti; passata la Vojussa, il battaglione si attestò con la 78° a sbarramento della Val Zagorias fra Shes j Mal e lo Stakovech, mentre gli altri reparti si disposero a difesa della linea Strokovech-Maleshove-Shes j Mal - q. 623-Vojussa.
Alcuni reparti del «Belluno» proseguirono per Sepheri - il mattino del 30 novembre e unitamente al «Val Natisone» e la 27° batteria da montagna - per sbarrare i due versanti di Valle Zagorias; dopo una sosta a Hosteve, lo sbarramento fu disposto a Malhesove.
L’urto dei greci, i quali agivano dall’alto della displuviale fra i versanti della Vojussa e Val Zagorias, si spostò il 6 dicembre contro la 66° del «Feltre» e il battaglione «Cadore»: travolgente per uomini e materiali, con quei precisi mortai che i reggitori italiani avevano incoscientemente venduto alla Grecia e che servirono così a far morire migliaia di nostri soldati.
La 66a dovette lasciare la regione Coprenska ripiegando con i superstiti su Cerevoda, per cui il resto del « Feltre» si trovò obbligato a schierarsi a difesa sul costone degradante da Ciafa Galina all’Osum.
Convocati durante la notte i comandanti dei due battaglioni disponibili (il «Belluno» non era più alle sue dipendenze ed era schierato in altro settore), il col. Psaro esaminò i piani possibili per la riconquista - ordinata dal comando della divisione « Pusteria» - della regione Coprenska, e ciò mediante l’attacco - da parte del «Feltre» diviso in due colonne - per il vallone di Ghermen e q. 925, e per Molino d’Itechiss e le quote 788 e 925.
Mancava però l’appoggio dell’artiglieria e soprattutto il tempo occorrente per una adeguata preparazione dell’attacco, specie in considerazione della preponderanza delle forze avversarie; e i greci non si lasciarono scappare la buona occasione anche se si offriva ad un prezzo assai elevato.
L’attacco contro il battaglione «Cadore» e i resti della 66° del «Feltre» si scatenò a mezzogiorno dell’8 dicembre - a Ciafa Galina- con due ore di bombardamento d’artiglieria seguite dall’avanzata delle truppe avversarie. Gli alpini, schierati su una dorsale di circa tre chilometri, reagirono con altrettanto furore mediante audacissimi contrattacchi lungo tutta la linea: e ciò per diciotto ore di seguito
Il «Feltre» agiva sul fondo della valle dell’Osum. La sua 65° perdette il comandante cap. Tommasi mentre ripiegava combattendo su Cerevoda; la 64° raggiunse quota 788 costituendone la base per l’attacco a q. 925 decisa per l’alba, ma alle 22 arrivò l’ordine del comando di divisione di ripiegare, per cui la compagnia si sistemò sulla riva destra del rio Cerevoda.
Il battaglione «Cadore», con i superstiti della 66° del «Feltre», continuò a resistere accanitamente anche nella mattinata del 9 dicembre: caddero il comandante della 67° cap. Tarabini, il tenente Luzzatto e ventidue alpini, e numerosissimi furono i feriti; alle ore 17 il battaglione iniziò il ripiegamento verso Cerevoda costituendo con altri reparti, in località Sciarova, una testa di ponte sulla destra dell’Osum.
L’insieme dell’azione valse, come affermò il comandante del corpo d’armata, a «inchiodare sul posto tutte le forze nemiche contrapposte, agevolando il successe in altre tratto di fronte»; le perdite inflitte al nemico furono assai pesanti, e gravi furono pure per il valoroso Settimo i cui reparti già vennero segnalati per un riconoscimento collettivo.
Gli alpini del Settimo perdettero anche il comandante col. Rodolfo Psaro caduto - nel pomeriggio dell’ 8 dicembre - mentre coordinava le operazioni dei suoi battaglioni; alla sua memoria venne conferita la medaglia d’oro al valore militare con la motivazione seguente:
«Con i suoi battaglioni Feltre e Cadore sosteneva valorosamente e vittoriosamente l’urto di preponderanti forze nemiche. Nell’immediata azione di contrattacco da lui sferrato e guidato con perizia ed audacia per stroncare la baldanza nemica, cadeva colpito mortalmente alla testa dei suoi magnifici alpini. Superba figura di soldato e di eroico comandante, esempio fulgidissimo di ardimento, di sprezzo del pericolo e di obbedienza alle sante leggi della Patria. Ciafa Galina (Albania) 8 dicembre 1940».

7° ALPINI
Fiamme Verdi Dicembre 1966
Il «Feltre» all’avanzata in Grecia
(21a puntata)

Alla morte del col. Psaro il Comando del Settimo venne assunto interinalmente dall’aiutante maggiore in 1° ten. col. Giovanni Lucchitta, fino alla designazione del col. Amedeo Frati il quale giunse al reggimento il 15 dicembre 1940.
Il battaglione «Feltre», ricostruita la 65° compagnia il cui comando venne affidato al ten. Motta, realizzò con successo il 19 dicembre - con un plotone della 66° - un colpo di mano sulle posizioni di q. 1646 allo scopo di prevenire una azione nemica da Ciafa Devris.
La preponderanza greca continuava però a premere malgrado le gravissime perdite di uomini, e ciò per la possibilità dell’avversario di maggiormente fruire della sua perfetta conoscenza del terreno e di un più adeguato rifornimento di mezzi e specialmente di truppe fresche.
La zona di Cerevoda venne dal comando di reggimento divisa in due sottosettori, e quello nord venne assegnato al «Feltre» del magg. Scaramuzza il quale disponeva pure dell’85° battaglione camicie nere e di un battaglione di formazione del 139° fanteria.
Verso mezzogiorno del 23 dicembre i greci attaccarono con veemenza incuneandosi al centro dello schieramento occupando Radish e puntando verso q. 1179, ma il magg. Scaramuzza guidò il contrattacco delle camicie nere con le quali riuscì a riconquistare la posizione perduta, anche se a prezzo di sensibili perdite umane.
All’imbrunire l’avversario ritentò di raggiungere Ciafa Mallasit per altra via, ma due plotoni della 65° riuscirono a bloccare e catturare il nemico con l’ausilio anche del gruppo «Lanzo» di artiglieria alpina.
Su quota 1217 operavano intanto la 64° compagnia e la 66°, e l’insieme del battaglione riuscì a portarsi sulla più elevata Ciafa Sirakut bloccando la provenienza da Val Tomoreza e schierandosi a difesa del Tomori.
Fortificata la difesa dalla cima del Tomori all’Osum, il «Feltre» ebbe a compiere numerosi audaci colpi di mano tra i quali quello elogiatissimo del 27 gennaio, su quota 1598, quando la 64° compagnia e il plotone arditi piombarono sul nemico ponendolo in fuga e catturando prigionieri e materiali.
L’8 febbraio il « Feltre» - assai depauperato nell’organico - venne richiamato in linea nel settore dello Spadarit ove la situazione si era particolarmente aggravata.
In poche notti di febbrile lavoro vennero approntate - nelle zone di Vendrescia e di Muri - adeguate postazioni e ripari, finché si giunse al 13 febbraio quando i greci attaccarono violentemente con forze estremamente superiori; l’attacco venne subito stroncato dalla 65° pur con gravi perdite, mentre i mortai e il raggruppamento di artiglieria del col. Aldo Rossi sostenevano con efficacia l’azione degli alpini.
Ma nuove forze greche affluivano incessantemente e la posizione di Muri dovette cedere al mattino malgrado l’estremo valore dei suoi difensori; valgono ad attestarlo le seguenti motivazioni delle due medaglie d’oro conferite per tale glorioso fatto d’arme: al sottotenente Luigi Rendina da L’Aquila «Comandante di un caposaldo avanzato, dopo strenua resistenza, contro ripetuti attacchi nemici, con il presidio ridotto ad un pugno di uomini e con le armi inefficienti, veniva circondato da forze soverchianti. Invitato ad arrendersi rispondeva che «gli Alpini del “Feltre”, alla resa preferivano la morte». Uscito quindi all’aperto, si slanciava scaricando la pistola sul nemico sbalordito da così alto eroismo; mortalmente ferito rifiutava l’aiuto dei pochi alpini superstiti e li invitava alla resistenza. Fulgido esempio di amor patrio e di coraggio; si univa da prode, nel sacrificio supremo, al padre caduto nella guerra
1915-18. Vendrescia (fronte greco), 13 febbraio 1941». L’altra massima ricompensa venne conferita al caporalmaggiore Solideo D’Incau da Sovramonte di Belluno: «Comandante di squadra mitraglieri a presidiò di una posizione avanzata attaccata da soverchianti forze nemiche e battuta da violento fuoco di artiglieria e mortai, visto cadere il suo ufficiale, non desisteva dal falciare, con la sua arma, il nemico valorosamente ribattuto: veniva così circondato dal nemico stesso ed invitato ad arrendersi. Benché ferito alla testa, rifiutava la resa e persisteva nella lotta accanita. Sopraffatto, prima di cadere nelle mani degli avversari, in un supremo atto di virile prontezza, smontava la mitragliatrice e la rendeva inservibile al nemico. Fatto prigioniero e volendo il nemico costringerlo a rimontare l’arma, preferiva la morte a tanta ignominia, cadendo trafitto da colpi di baionetta vibratigli con selvaggio furore dall’avversario. Fulgido esempio di alto senso del dovere, di profondo amore alla Patria, di sublime sacrificio. Vendrescia (fronte greco), 13 febbraio 1941».
Fatti prigionieri i superstiti, i greci non riuscirono a conseguire ulteriori progressi, venendo inchiodati dalla furibonda reazione della 65° e dai tiri della nostra artiglieria; nel pomeriggio, con l’intervento anche di elementi della 66° compagnia, gli alpini scattarono contro il nemico (un alpino stanco contro sette greci) ponendolo in fuga e riconquistando le posizioni di Muri.
Durante gli assalti degli alpini, duramente contrastati, cadde tra gli altri il sottotenente Vittorino Zambon da Padova, comandante degli arditi del «Feltre» e che venne decorato di medaglia d’oro con la seguente motivazione: «Comandante volontario di plotone arditi, febbricitante da più giorni, rifiutava di recarsi all’ospedale, desiderando partecipare ad una azione contro munita posizione nemica, sistemata su aspra quota montana. Per due volte alla testa del suo reparto attaccava a bombe a mano e baionetta, e benché ripetutamente ferito, raggiungeva, dopo sanguinoso a corpo a corpo, la vetta duramente contesa, sulla quale spiegava al vento un drappo tricolore, segretamente custodito sotto la giubba. Contrattaccato da forze soverchianti, ferito una terza volta al petto, continuava a lottare con leonina, indomabile energia, alla testa dei suoi eroici alpini, finché, colpito mortalmente, scagliava, in un supremo sforzo, il suo elmetto insanguinato contro l’avversario irrompente, precipitando poi col tricolore in pugno in un sottostante burrone. Altissimo esempio di coscienti, eccezionali virtù militari e di ardentissimo amor patrio. Quota 729 di Selanj (fronte greco), 9 marzo 1941».
Il battaglione serrava intanto - lo stesso 9 marzo - sotto la cima dello Spadarit recinta da tre ordini di reticolati; il nemico reagì subitamente all’inizio dell’attacco mediante un fuoco terrorizzante, ma gli alpini continuarono ugualmente a farsi avanti e, pur sopportando sensibili perdite, pervennero alla cima superando gli sbarramenti di reticolati e catturando un ufficiale, cinquanta soldati e numerose armi.
I greci contrattaccarono ancora rabbiosamente, quasi incuranti dei larghi vuoti che si aprivano nelle sue file, e frequenti furono i corpo a corpo condotti con eroica disperazione da entrambe le parti.
Quasi tutti gli ufficiali alpini caddero nella dura serie di scontri succedutisi il 10 marzo; tra tanti eroi, vanno citati i seguenti ai quali venne conferita la m.o. alla memoria:
Il tenente Silvano Buffa da Trieste: «Durante l’attacco di una munitissima posizione nemica, essendo rimasto ferito il comandante di compagnia, assumeva arditamente il comando del reparto e dava costante prova di calma, fermezza, capacità ed indomito valore, riuscendo col suo esempio trascinatore a condurre i suoi uomini sino alla vetta violentemente contrastata dall’avversario. Giunto valorosamente fra i primi sull’obbiettivo e colpito mortalmente, riusciva, dimentico del suo stato, ad impartire gli ordini per l’ulteriore proseguimento dell’azione. Nell’affidare poi ad altro ufficiale il comando della compagnia, ordinava al suo portaordini di comunicare al superiore Comando che egli aveva assolto in pieno il proprio dovere ed era riuscito a raggiungere la difficile meta. Chiudeva la sua nobile esistenza ai grido di «Viva l’Italia». Mali Spadarit (fronte greco), 10 marzo 1941».
Medaglia d’oro infine al sottotenente Pietro Colobini da Gorizia:
«Comandante di un plotone fucilieri, malgrado forti ferite, guidava il reparto all’attacco di una munita posizione, con indomito spirito aggressivo. Giunto in prossimità delle posizioni nemiche, preparava i suoi uomini all’assalto finale incitandoli a serrarsi attorno a lui e slanciarsi avanti per l’ultimo sbalzo, intonava un canto guerriero. Davanti ai reticolati ancora nell’ordinare i suoi alpini di svellere i picchetti - non molto solidi - con le mani, dandone l’esempio, rimaneva gravemente ferito una prima volta. Si aggrappava allora ai reticolati e continuando ad incitare i suoi uomini lanciava invettive contro il nemico riparato nelle trincee, invitandolo a combattere all’aperto finché colpito una seconda volta mortalmente, riusciva ancora a gridare che la vittoria era ormai dei suoi alpini. Malj (fronte greco), 10 marzo 1941».
I resti del «Feltre» (tra cui quelli della 64° il cui comando venne assunto dal sergente trevigiano Pizzolotto, essendo rimasta priva di ufficiali) resistettero ancora - per tutto il giorno - con leggendario valore sperando nell’arrivo di rinforzi che però non giunsero; alla sera non rimase che ripiegare sulle posizioni di partenza.
I superstiti del «Feltre» non ebbero tregua nemmeno nei giorni successivi a causa del continuo martellamento del fuoco nemico; finalmente, pochi giorni di riposo prima di ritornare sulla destra dell’Osum.
Trasferito per altro incarico, il bravo magg. Scaramuzza era stato interinalmente sostituito nel comando - dopo l’8 marzo - dal capitano Vignini, poi dal magg. Castagnero e quindi dal magg. Perrone e, per un giorno, dal cap. Baseggio, finché giunse il 2 aprile il nuovo comandante ten. col. Aquilino Guindani.
In relazione a movimenti nemici in Val Tomorizza, il «Feltre» si spostò a quota 2029 del Tomori e il col. Guindani predispose un accurato piano operativo che non si rese necessario attuare in quanto l’avanzata italiana era ormai decisamente intrapresa.
Il 13 aprile anche il «Feltre» balzò in avanti col resto del reggimento e della «Pusteria», passando per quota 1053, quota 1044, case di quota 1100 e Mollas; il giorno dopo proseguì per Cerevoda, il 15 aprile raggiunse la zona di Koprenska, poi
- fino al 18 - Chessiberit, Mician, Frasheri, il 19 Erseka. Il 21 aprile il battaglione riprese sulla direttrice Borova, Androlica, Arete, Passo a nord di monte Kammenik, Lubra, Nearandos, Zenista, Nicolaros, ovest di Konitza; il giorno 23 giunse a Strazzani - dove arrivò la notizia della resa dei greci - e il 24 aprile si stabilì a Kukes.
La Medaglia d’Argento ai valore militare - conferita alla bandiera del reggimento per l’opera eroica del battaglione «Feltre» - venne a riassumere lo spirito di sacrificio di questo battaglione sempre tanto provato ma mai domo; eccone la motivazione:
«Già decorato di due medaglie d’argento al valore militare, in cinque mesi di guerra italo-greca, in prolungate privazioni, in numerosi accaniti combattimenti di ogni genere durati anche più giorni consecutivi, con gravissime perdite proprie e sempre più gravi perdite nemiche, rifulse costantemente per sovrumano spirito di sacrificio, indomito valore dell’attacco, per strenua resistenza nella difesa contro nemico sempre soverchiante di forze e di mezzi, confermando ancora una volta le sue elette tradizioni di virtù militari, di grande eroismo, di amore alla gloria, di dedizione assoluta al culto del dovere e della Patria. (Fronte greco-albanese, 24 novembre 1940 - 23 aprile 1941)».

7° ALPINI
Fiamme Verdi Febbraio 1967
«CADORE» e «BELLUNO» all’avanzata in Grecia
(22a puntata)

Dopo Ciafa Galina, parte del Battaglione «Cadore» si recò - alla vigilia di Natale del 1940 - a dare rinforzo al «Feltre» seriamente impegnato a contenere le truppe greche provenienti da monte Gostanghes, nella zona di Verzheshe; altro reparto contrattaccò su quota 1217 ad est di Teguri, e il resto del battaglione, col «Feltre»e il gruppo «Belluno»raggiunse Dobrusha sventando in tal modo il tentativo nemico di aggiramento.
Il battaglione si spostò poi sulle pendici del Tomori, contribuendo - tra il 30 e il 31 dicembre - unitamente al «Feltre» - a respingere ancora il nemico; l’1 gennaio fu ancora di rincalzo al «Feltre» presso Novani e due giorni dopo la 67° si spostò a q. 1508 e poi a Sella Bargullas.
L’intero battaglione sostituì in linea il predetto «Feltre» dal 7 al 18 gennaio, portandosi successivamente nella zona a sud di Sirak e mantenendo la 67° compagnia a q. 2019.
Altri duri combattimenti attendevano il «Cadore» anche in febbraio, quando la 67° e la 68° effettuarono - divise in due colonne - una puntata offensiva su Dobrusha allo scopo di impegnare il nemico accertandone pure l’entità e lo schieramento; passato il torrente Perroj i Bronecit e precedute da pattuglie di esploratori, dai plotoni degli arditi e con l’appoggio delle batterie del gruppo «Belluno», le due colonne riuscirono a ributtare i greci e a raggiungere l’abitato di Dobrusha. Contrattaccati da forti contingenti avversari sostenuti dal fuoco delle mitragliatrici appostate sui roccioni di Selanj, gli alpini - avendo anche raggiunto lo scopo esplorativo previsto - ritornarono al punto di partenza.
Poi, il 9 marzo, il «Cadore» agevolò l’azione del «Feltre» dalla destra dell’Osum, puntando su Selanj attaccandone le posizioni e quelle di Skembi i Selanit per impedire lo spostamento di forze avversarie verso lo Spadarit.
La compagnia arditi reggimentali giunse di sorpresa al mattino sui roccioni di q. 729 (cadde nell’azione il sergente Riccobon del «Cadore», proposto per la medaglia d’oro) venendo poi costretta - dopo quattro ore di lotta - a ripiegare; gli arditi riconquistarono nuovamente la quota mentre il battaglione «Cadore» prendeva contatto con il nemico sotto l’imperversare del fuoco; la lotta durò dalle 11,30 fino al pomeriggio inoltrato concludendosi con il ritiro degli arditi da q. 729 e con l’occupazione, da parte del «Cadore», di Selanj bassa e dei costoni degradanti verso Losu.
Malgrado le reciproche forti perdite, si riprese a combattere all’alba del successivo giorno 10 marzo in quanto si presentava la necessità di riprendere la cresta di quota 729 dalla quale i greci minacciavano il fianco sinistro del «Cadore» ostacolandone l’avanzata verso q. 893.
La dannata quota venne ripresa dagli arditi a costo di sensibili perdite ma i greci, in parte travestiti con uniformi italiane e gridando nella nebbia «siamo del battaglione Cadore», arrivarono a immediato contatto con gli arditi alpini con i quali ingaggiarono una furiosa lotta corpo a corpo; la quota ritornò ancora ai greci e i pochi arditi superstiti si riunirono su un fianco della quota.
Nel frattempo il battaglione «Cadore» aveva iniziato l’avanzata verso q. 893 ma la reazione avversaria - in modo preponderante sostenuta dall’artiglieria - non rese possibili altri risultati all’infuori di quello prefisso di tenere impegnate le forze greche alle quali dovette anzi aggiungersi un battaglione che era destinato ad agire verso lo Spadarit e che avrebbe quindi appesantito la posizione del «Feltre».
Il «Cadore» passò, il 23 marzo, sulla sinistra dell’Osum per dare il cambio al «Feltre» dopo l’accennato attacco allo Spadarit; dopo qualche giorno ritornò sulla destra del fiume riunendosi fino al 13 aprile quando iniziò la controffensiva della «Pusteria».
I valorosi alpini di Perico, appoggiati dalla 44° batteria, ebbero l’incarico di precedere il movimento della Divisione - contrastato dall’artiglieria avversaria - attraverso q. 1508, Ciafa Sirakut, q. 1598, Ciafa Malasit, Korita e Ciafa Devris.
Il 18 aprile il battaglione giunse a Erseka e il giorno successivo passò alle dipendenze della Divisione «Tridentina» concorrendo all’occupazione della zona di Leskovica.
Ad avvenuto armistizio con forze elleniche, il «Cadore» affluì a Kukes ove l’attendeva il meritato riposo e il conferimento della medaglia d’argento al valore militare così motivata: «In ripetuti asprissimi combattimenti, di più giorni, contro agguerrito nemico sempre superiore di forze e di mezzi, nonostante gravi perdite proprie più forti perdite nemiche, rifulse in modo costante per strenua tenacia nella difesa, per audacia ed indomito valore nell’attacco, per spregiudicata temerarietà e celerità nell’inseguimento, per virtù militari e guerriere della forte gente cadorina (Fronte greco-albanese, 24 novembre 1940 - 1-23 aprile 1941».
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Abbiamo ricordato in precedenza le prime operazioni svolte dal Battaglione «Belluno» in concomitanza con la lotta sostenuta a Ciafa Galina dagli altri battaglioni del Settimo.
Si disse pure che, dal 6 dicembre, il «Belluno» si trovò - col «Val Natisone» e la 27° batteria da montagna - a sbarrare la Valle Zagorias.
Il 14 dicembre i greci attaccarono sulla sinistra del gruppo «Valle» del col, Pizzi costringendo ripiegare un nostro reparto di fanteria, per cui la 77° del «Belluno» venne spostata sulla selletta di fronte alla Vojussa per sostenere il fianco sguarnito del «Val Natisone».
Tre giorni dopo, il continuo incalzare del nemico rese necessario l’arretramento fissando la linea caposaldi di monte Bregianit a sinistra, e di Mali Ormova a destra; nel contempo il gruppo «Pizzi» comprendente il «Belluno» - passò alle dipendenze del XXV Corpo d’Armata comandato dal generale Carlo Rossi.
L’avversario attaccò ancora il giorno 21 venendo ricacciato, poi il 23 dicembre conseguendo qualche successo che venne annullato dagli alpini durante la notte; ma al mattino del 24 dicembre i greci avanzarono verso il Bregianit provenendo da Maleshove e da Bregiani.
Gli alpini combatterono in proporzione di uno contro cinque greci e, pur resistendo l’intera giornata, dovettero lasciare la posizione che venne riconquistata durante la notte; riperduto il 27 dicembre, Bregianit rimase ai greci malgrado il generoso tentativo compiuto il 29 dicembre dal «Val Natisone» e da una compagnia del battaglione «Belluno».
Riorganizzatosi nei succeduti pochi giorni di calma, il «Belluno» inviò il 10 gennaio una propria compagnia a q. 1349 di Mali Trebescines che rientrò il 20 febbraio con la forza ridotta a una trentina di uomini.
Un plotone della 77° era da tempo dislocato a Mali Ormova - sul monte Golico - per contribuire, assieme al «Tolmezzo», all’eroica difesa di quella posizione, e rientrò al battaglione ai primi dl marzo con soli tre superstiti.
Il 26 gennaio - dopo una contrazione operativa dovuta al maltempo - il «Val Natisone» riprese ad attaccare il Bregianit in ciò aiutato, dal giorno 29, da elementi della 77° e della 79° del «Belluno»; la cima del monte venne raggiunta e tenuta per quattro ore, ma - non essendo giunti i necessari rinforzi - dovette venire abbandonata pur restando gli alpini abbarbicati al monte nonostante la violenta reazione avversaria.
Le condizioni atmosferiche furono ancora avverse fino al 9 febbraio, il giorno 15 i greci attaccarono preceduti da una pesante preparazione d’artiglieria; particolarmente colpita fu la posizione tenuta dalla 78° compagnia che dovette ripiegare, assieme agli altri reparti, sul costone occidentale di Pesdani.
Il giorno 17 il «Belluno» tentò invano di occupare q. 1192 del Golico; innumerevoli furono anche allora gli atti di eroismo, tra i quali quello del cap. magg. Emidio Paoun decorato di medaglia d’oro con questa motivazione: «Comandante di squadra fucilieri, ripetutamente distintosi per ardimento e valore, attaccava animosamente una forte posizione e ne disperdeva i difensori con lancio di bombe a mano. Visto il suo comandante di plotone cadere mortalmente ferito, si slanciava con impeto contro forti nuclei nemici che contrattaccavano, riuscendo a respingerli. Rimasto con soli due uomini e visto che uno di questi, tiratore di fucile mitragliatore, era stato ferito, si impossessava della di lui arma ed insieme all’ultimo superstite avanzava in piedi gridando parole di scherno agli avversari. Ferito sua volta, non si arrestava, ma proseguiva nel suo eroico slancio, fino a che cadeva colpito a morte da una raffica di mitragliatrice. Esempio di alte virtù militari ed indomito coraggio. Monte Golico (fronte greco), 17 febbraio 1941».

Durante il contrattacco nemico trenta alpini resisterono per molte ore contro reparti agguerritissimi e preponderanti, aprendosi poi la strada a bombe a mano per raggiungere i resti del «Belluno» e del «Val Natisone».
Epica fu anche la difesa del costone occidentale di Pesdani: caddero, in combattimento il tenente Tosi, il ten. Merlino e molti altri, ma i greci non passarono, e il «Belluno» riuscì a rettificare favorevolmente la proprie linee.
Inutile fu pure l’attacco nemico dell’1 marzo, essendo anche giunti di rinforzo altri reparti italiani.
Il giorno dopo il battaglione «Belluno» ebbe finalmente il cambio e i superstiti vennero avviati prima a Perati e poi a Vertop, in valle Osum, riunendosi al «Feltre» e al «Cadore» e cessando di far parte del Gruppo alpino «Pizzi».
Il comando del battaglione passò, il 5 marzo, dal ten. col. Castagna al ten. col. Giovanni Lucchetta, e il «Belluno» svolse successivamente servizio di copertura per la conquista dei roccioni di Selanj e di altre azioni svolte nel corso del mese di marzo.
Alla fine di detto mese, mentre la 77° si trovava a q. 2019 del Tomori per impedirne l’occupazione da parte del nemico, la 78° compagnia partecipò alla tentata riconquista di Tege assieme alla 286° del «Val Pescara» ma - giunta a duecento metri dall’avversario - subì un violento fuoco di mitragliatrici seguito ed integrato da quello di sbarramento di mortai e di artiglieria che rese infruttuosa l’azione, rendendosi anzi necessario riaccostarsi al costone di q. 2019.
Ma il 13 aprile giunse l’offensiva finale e il «Belluno» balzò in avanti - nonostante la mai cessata resistenza greca - raggiungendo Ciafa Malasit, q. 1333 e Cerevoda il 14 aprile, poi Coprenska, Bregji, Glisi Haliglit e Surropul il giorno 16, Chessiberit il 17, Frasheri il 18, Erseka il 19, Strazzani il 23 aprile. Giunto l’armistizio, il battaglione si spostò dapprima a Konitza concentrandosi poi con il resto della «Pusteria» a Kukes.
Anche al Battaglione «Belluno» venne conferita la medaglia d’argento al valore militare per i suoi meriti attestati dalla seguente motivazione: «Per cinque mesi consecutivi combatteva strenuamente una lotta impari e dura, per difficoltà di terreno e di clima contro un nemico ben agguerrito e più numeroso, imponendosi con il suo valore e la sua tenacia. In un aspro combattimento, durato più giorni, nonostante le gravissime perdite subìte, teneva valorosamente testa all’avversario, difendendo accanitamente una posizione assai contestata ed offrendo largo tributo di sangue. Shes i Mal - Val Zagorias - Bregianit - Golico, 27 novembre 1940 - 23 aprile 1941».

7° ALPINI
Fiamme Verdi Giugno 1967
Il «Val Cismon» in Grecia
(23a puntata)

Il Battaglione «Val Cismon», sciolto il 31 ottobre 1940, venne ricostituito a Feltre il 21 dicembre nello stesso anno e, sempre agli ordini del maggiore Berti, immediatamente destinato al fronte greco- albanese.
Giunto a Valona il 14 gennaio (dopo aver subito persino un incidente ferroviario nel corso del trasferimento a Taranto), il battaglione venne avviato nella zona della Vojussa col compito di tenere dodici chilometri di crinale indifeso, tra le quote 1255, 1439 e 1620 del Trebescines.
Dopo due giorni di nebbia continua e sotto gl’intermittenti colpi dei mortai greci, il magg. Berti poté orientarsi sulle dislocazioni nemiche e passare all’attacco con due plotoni e una mitragliatrice pesante. Assaliti sul declivio del Trebescines - verso il M. Groppa – i greci dovettero sloggiare lasciando otto mitragliatrici e due prigionieri; nell’azione caddero purtroppo un alpino, il ten. Antonio Barbi e il sottotenente Alberto Rasi.
Il «Cismon» visse duramente anche i successivi quindici giorni essendo stati continui gli attacchi greci, intenso il fuoco delle batterie nemiche e specie dei mortai, ed estremamente difficile l’ottenimento dei necessari rifornimenti; sempre più numerosi si verificavano i congelamenti.
Intanto, verso il 21 gennaio, il battaglione lasciò le posizioni ad un reggimento di fanteria, passando - sebbene ridottissimo negli organici - più sotto il monte Groppa la cui conquista venne appunto affidata al «Val Cismon» mentre al Gruppo «Pizzi» venne dato incarico ai raggiungere il Bregianit.
La cima del monte Groppa venne raggiunta dal «Cismon» dopo un fulmineo attacco effettuato il giorno 26, ma l’ulteriore avanzata si rese impossibile per i forti contrattacchi avversari.
In quei giorni durissimi venne mortalmente ferito anche Giovanni Piovesana - il pluridecorato ex presidente della Sezione A.N.A. di Conegliano che morì poi a Turan l’8 febbraio; lo stesso comandante Berti ebbe un ginocchio trapassato da una pallottola dopo essersi eroicamente battuto con i suoi degni alpini; feriti vennero pure i capitani Castagna della 264° e Zampoi della 265°.
Il ten. col. Attilio Actis Caporale assunse il comando del «Val Cismon» riordinandolo per quanto possibile all’atto dell’incorporazione nella divisione «Sforzesca».
I combattimenti continuarono irruenti attorno alla quota 1178 del Trebescines che venne più volte conquistata e perduta dalle due parti. Alla nostra divisione era contrapposta la divisione «Creta» che rimase dissanguata nel tentativo di accerchiare il «Val Cismon» e gli altri reparti italiani.
L’1 marzo il provatissimo «Val Cismon» venne inserito nel gruppo alpino tattico «Signorini» assieme ai battaglioni «Bolzano» e «Cervino»; dopo la occorrente riorganizzazione, il gruppo alpino sostituì la «Julia» nella zona del Golico, acquisendo anche il battaglione «Susa».
Il 13 aprile il fronte si alleggerì notevolmente per l’azione italiana e tedesca in altri settori dello schieramento greco, cedendo poi sotto la rinnovata spinta della «Julia».
Esaurito il proprio compito, il gruppo «Signorini» venne sciolto il 27 aprile, e il «Val Cismon» fu destinato al 9’ Reggimento Alpini col quale raggiunse Janina, partecipando poi alla conquista dell’Epiro.
Dall’11 agosto al successivo 12 marzo 1942 il battaglione rimase nella zona di Nauplia, rientrando poi in Italia per la via di Corinto.
A riconoscimento dell’ eroismo dei suoi alpini, questo magnifico battaglione ebbe conferita la medaglia d’argento al valore militare, così brillantemente motivata:
Al reggimento per il battaglione «Val Cismon»: « Impiegato in zona di alta montagna, in combattimenti aspri e continui, dava ovunque prova di mirabile ardimento, tenacia e superbo slancio, conquistando importanti posizioni, infliggendo al nemico gravissime perdite ed offrendo largo contributo di sangue. Confermava, per tutta la durata della campagna, le gloriose tradizioni degli alpini d’Italia. (Fronte greco, 17 gennaio - 23 aprile 1941)».

7° ALPINI
Fiamme Verdi xx
xxAlpini
(a puntata)
 
7° ALPINI
Fiamme Verdi Dicembre 1967
Il Battaglione «Uork Amba» a Cheren
(24a puntata)

Il cimitero degli Eroi a Cheren in Eritrea

Nella rievocazione delle imprese dell’«Uork Amba» eravamo giunti (n. 1. del 1966) alla vigilia dell’ultima guerra quando il battaglione venne affidato al magg. Luigi Peluselli.
Unico della specialità in Africa Orientale, il battaglione era formato da alpini veneti, abruzzesi, emiliani, friulani, genovesi, lombardi, piemontesi — di tutte le classi dal 1900 al 1917 — e provenienti da tutti i reggimenti, dal 1° all’11°; come giustamente ebbe a dire il Comandante, l’Uork Amba stava in Africa orientale per tutti gli Alpini d’Italia.
All’inizio del conflitto il battaglione venne assegnato alla sistemazione difensiva di Addis Abeba, mentre gli sciftà cominciavano a molestare le nostre truppe. La zona affidata all’Uork Amba comprendeva una zona vastissima, praticamente da Addis Abeba fino al fiume Bottego. Gli alpini di Peluselli, unitamente a una sola compagnia coloniale, marciarono per sei giorni giungendo fin quasi ai Bottego e scontrandosi più volte con gli sciftà.
Verso la fine di gennaio del 1941 il battaglione ebbe l’ordine di portarsi all’Amba Alagi ove giunse l’1 febbraio; gli ufficiali studiarono gli apprestamenti difensivi e lo fecero inutilmente perchè gli alpini vennero invece portati all’Asmara e infine avviati a Cheren dove gli inglesi stavano già agendo pesantemente. Tra il 6 e l’11 novembre il nemico si era preso una forte batosta nel tentativo di forzare il nostro schieramento a Gallobat (verso Gondar) e a Cassala, e nei mesi successivi aveva ricevuto larghi rinforzi di truppe (australiani, indiani, scozzesi, sudafricani, sudanesi, egiziani, arabi, greci e persino la Legione straniera) e rifornimenti e mezzi modernissimi tra cui i carri armati tipo “I” (muniti di due mitragliatrici e un cannoncino) e cannoni da 152.
Con una potenza sufficiente a schiacciare forze avversarie anche dieci volte superiori alle nostre truppe, gli inglesi attaccarono con inaudita violenza, il 20 gennaio 1941, dal Kenia (puntando verso la Somalia) e dal Sudan con obiettivo Asmara e Massaua.
Sul fronte nord l’attacco era stato imponente; un nostro gruppo di cavalleria indigena, guidato dal tenente Togni, aveva travolto — sacrificandosi totalmente — una batteria avversaria a monte Cherù; le posizioni vennero tenute ma la situazione comportò un graduale arretramento e disperati eroismi; contro i carri armati pesanti non facevano presa i colpi dei nostri 77/28, e allora i nostri soldati uscivano allo scoperto in una lotta individuale di piccoli uomini contro fortezze d’acciaio; Agordat cadde l’1 febbraio e i superstiti si portarono a Cheren dove il giorno dopo giunsero di rinforzo, dall’Asmara e da Addis Abeba, l'11° granatieri, i bersaglieri, tre brigate coloniali, tre squadroni di cavalleria indigena e la banda P.A.I.
Seguirono altri sei giorni di lotta durante i quali le truppe del generale Carnimeo (che aveva assunto il comando della piazza) fecero pagare assai cari gli attacchi avversari sul Sanchil, sul Dologorodoc, l’occupazione della Forcuta, il breve avanzamento sulla piana del Mogareb e l’avvicinamento al Colle dell’Acqua; l’8 febbraio i nostri soldati e le fedelissime truppe indigene si batterono corpo a corpo con disperato valore e Cheren venne tenuta, ma il giorno dopo — a conclusione di ripetuti e accaniti assalti — gli inglesi riuscirono ad occupare le Cime Biforcute dalle quali potevano dominare un chilometro e mezzo del nostro schieramento difensivo.
Il battaglione «Uork Amba», passato alle dipendenze del generale Lorenzini, venne dapprima inviato a monte Agher, non lontano da Cheren, quando la situazione appariva disperata; dopo una ricognizione effettuata da una compagnia in Val Bogù tra il 10 e l’11 febbraio, il battaglione (che aveva notevoli perdite per gli attacchi aerei) si trasferì in fondo valle, ad Abi-Mentel per venire inviato a Cheren ove l’aveva preceduto il ten. col. Peluselli.
Gli inglesi avevano intanto disposto una ventina di nidi di mitragliatrici per cui un attacco frontale appariva impossibile e bisognava quindi attaccare il nemico prendendolo alle spalle.
Il capitano Carmelo Romeo si buttò sul fondovalle con diciotto alpini; con fucili a tracolla e le tasche colme di bombe, le diciannove Penne nere salirono lentamente per non far cadere i sassi, aggrappandosi agli arbusti e strisciando verso le posizioni avversarie: piombarono sul primo nucleo di mitragliatrici distruggendolo; dopo un attimo di riposo attaccarono Cima Tre travolgendo il nemico a colpi di bombe e di baionetta; a Cima Due bastarono pochi secondi di azione decisivi per far sparire una postazione di mortai inglesi da 81; alla quarta ora di combattimento il Nido d’Aquila (ultimo picco della Biforcuta) venne conquistato dagli alpini urlanti ed irresistibili che — trovato il rancio a cuocere sul fuoco preparato dai nemici in una caverna — conclusero la grande impresa con una salutare colazione.
Gli altri alpini dell’Uork Amba fecero il resto in modo che venissero sloggiati dalle loro posizioni 800 indiani guidati da 11 ufficiali inglesi.
L'eroico capitano Romeo venne decorato sul campo con la medaglia d’argento al valore militare, e molte decorazioni vennero meritatamente proposte anche se poi non ebbero seguito; ma l’ammirazione dello stesso nemico (stupito che fossero bastati cinquecento alpini a ripulire le Cime Biforcute) valsero come una decorazione per tutti, avvalorata anche dalla dichiarazione di un ufficiale inglese ferito e catturato che disse: «Se avessi saputo di incontrare alpini anche in Africa, me ne sarei restato a Eton!».
L’avversario non si diede per vinto e già dall’alba del 12 febbraio iniziò a martellare con le artiglierie tra lo Zelalè e il Falestoh, avanzando poi nella selletta del Colle dell’Acqua; venne investito il 4° «Toselli» (che in pochi minuti perse 12 ufficiali e 300 soldati coloniali) ma accorsero granatieri, bersaglieri, eritrei, cavalleggeri e genieri e anche i conducenti che scendevano con il rancio. In breve il nemico dovette ritirarsi frettolosamente verso Agordat.
La prima battaglia di Cheren era vinta.
Gli alpini dell'Uork Amba raccolsero i propri Caduti in un cimitero contraddistinto da una lamiera squarciata da una scheggia e con la scritta «Anima devota e patriota che giri lo sguardo su queste rocce sacre alla gloria alpina, alza il pensiero alla misericordia divina, recita un requiem per gli eroici caduti, figli del battaglione Uork Amba».
*
Seguirono venti giorni di relativa calma, salvo alcuni attacchi della Brig’s Force che vennero subitamente respinti.
Le forze contrapposte si andavano riorganizzando, con la determinante differenza che l’avversario poteva far affluire forze fresche e nuovi mezzi mentre i nostri reparti erano quasi sempre i medesimi e i magazzini vuoti.
Alla fine di febbraio del 1941 il fronte tenuto dai nostri soldati era di circa sessanta chilometri: la media di un soldato ogni tre metri e di un cannone di piccolo calibro ogni mezzo chilometro. Tra il 24 febbraio e il 4 marzo gli alpini dell’Uork Amba tennero sia le Cime Biforcute che il monte Panettone.
Il 28 febbraio Cheren, Dekameré e Adi Ugri vennero sconvolte dal terrificante bombardamento di tre successive ondate di aerei, e il 4 marzo le truppe d’assalto inglesi occuparono il monte Tetri di dove, nel corso della successiva notte, vennero ricacciati dai carabinieri e dal battaglione Uork Amba che vi era stato prontamente inviato.
Il 10 marzo venne respinta la Legione straniera che, rafforzata da battaglioni senegalesi, aveva tentato di forzare la stretta di Ander; respinto venne pure l’attacco al monte Engiahat sferrato nei giorni successivi.
Ma la 4° e la 5° divisione anglo-indiane si attestarono fra il Sanchil e il Samanna, per l’attacco al Dologorodoc, appoggiate dalla Brig’s Force e dal Gazzelle Force e con uno schieramento — sul versante orientale del Samanna — di batterie da 88 e 152 aventi una gittata di oltre 11 chilometri.
E il 15 marzo iniziò la nuova terrificante battaglia che vide il sacrificio e l’eroismo degli alpini dell’Uork Amba come pure dei bersaglieri, dei carabinieri, degli artiglieri, granatieri e cavalleggeri, dei genieri e dei fedelissimi ascari.
Sui nostri reparti piovvero, in poche ore, oltre 32 mila granate; il combattimento che seguì durò quindici ore, ininterrottamente.
Il successivo giorno, 16 marzo, la lotta continuò furibonda e tutti i nostri reparti furono superiori ad ogni elogio.
L’Uork Amba, attestato sul Samanna, fu ancora ammirevole. Il sottotenente Bortolo Castellani, da Belluno, cadde meritandosi la medaglia d'oro al valore militare con la seguente motivazione datata a Cheren, febbraio - 16 marzo 1941: «Alla testa del suo plotone, a cui aveva saputo infondere l’altissimo spirito del quale si sentiva animato, in un arditissimo attacco a posizione montana, ricacciava il nemico con numerosi assalti a bombe a mano, cooperando decisamente alla conquista della posizione ed alla cattura di prigionieri; benché ferito e febbricitante, non abbandonava il reparto, concorrendo, con indomito valore, a stroncare i furiosi contrattacchi nemici, rinunciando ad altro comando che lo avrebbe allontanato dalla linea di combattimento e benché febbricitante, partecipava ad una sanguinosa azione che durava da varie ore, prendendo il posto di vari ufficiali rimasti feriti. Volontariamente si offriva poi per conquistare un posto avanzato caduto in mano del nemico, e mentre trascinava i suoi uomini con superbo coraggio, cadeva colpito a morte. Magnifica figura di eroico combattente».
Gli alpini di Peluselli tenevano ancora decisamente le posizioni quando giunse l'ordine di trasferimento perchè destinati ad attaccare il Dologorodoc; e nel corso della notte l’Uork Amba andò all’assalto, unitamente ad altri reparti sulla sinistra e con l’appoggio del fuoco da destra. Le prime linee avversarie vennero prestamente travolte e l’avanzata era giunta fino ai reticolati, quando la nostra artiglieria, tratta in inganno dai razzi nemici, colpì i nostri alpini!
Costituita una linea di difesa tra la regione Pozzi e le pendici del monte Zebay, nel pomeriggio del giorno 18 giunse l’ordine di riattaccare; 1’Uork Amba era al centro dello schieramento e attaccò con slancio ma i reparti alle ali procedevano troppo lentamente per cui il fuoco nemico venne concentrato unicamente sugli alpini. Venne te- rito il comandante del battaglione, come pure molti altri ufficiali; cadde il sottotenente Bruno Brusco da Verona che meritò (Cheren, 11 febbraio - 18 marzo 1941) la medaglia d’oro al valore militare con la seguente motivazione: «Comandante di plotone fucilieri alpini, con l’esempio, perizia e coraggio concorreva all'occupazione di importantissima e munita posizione montana che teneva poi saldamente nonostante i ripetuti contrattacchi nemici. Pronunciatosi un forte attacco nemico, alla testa del proprio plotone partecipava a una dura lotta di oltre due giorni concorrendo con il proprio esempio ed indomito coraggio a stroncare la baldanza nemica. Successivamente, benché febbricitante, prendeva parte a nuova azione, riuscendo anche in tale occasione a dare prova di vero coraggio portando di lancio i propri uomini oltre i reticolati nemici. Benché colpito ad un braccio, incurante di se stesso, sempre alla testa del suo plotone ed al grido di «FORZA ALPINI», trascinava alla lotta a corpo a corpo col nemico sino a che colpito a morte cadeva eroicamente gridando «VIVA L’ITALIA». Fulgido esempio di valor militare e di attaccamento al dovere».
Nuovi vani attacchi vennero effettuati alle 1,30 e alle 4,30 del 19; il ten. col. Peluselli, seriamente ferito, ebbe l’ordine di farsi ricoverare e passò il comando al capitano Rodolfo Müller che, con un solo ufficiale subalterno, continuò a tenere la linea.
Ormai le compagnie erano comandate da valorosi sottufficiali superstiti che si comportarono ammirevolmente e tra i quali vanno ricordati il trevigiano Antonio Bianchi e il friulano Emilio Ognissanti.
Anche le perdite degli avversari inglesi, francesi e indiani si andavano paurosamente accumulando, ma i continui rifornimenti e rinforzi fecero apparire ormai decise le sorti della terribile battaglia.
Il 17 marzo era caduto il generale Orlando Lorenzini mentre, col cappello d’alpino in testa, dirigeva l’azione contro il Dologorodoc; alla sua memoria venne conferita la medaglia d'oro.
Gli eroismi furono innumerevoli e sovrumani, ma all’alba del 27 marzo i reparti italiani, con l’Uork Amba in retroguardia, lasciarono Cheren: dopo 56 giorni di combattimenti.
Tra italiani e nativi, i nostri soldati a Cheren erano 45 mila e ne morirono 12.147; 21.700 riportarono ferite e mutilazioni; non vi fu un solo disertore italiano né eritreo.
Gli alpini dell’Uork Amba erano 916. Dei 21 ufficiali, 5 sono morti e 14 gli spedalizzati; tra i 55 sottufficiali i morti furono 18 e i feriti spedalizzati 26; degli 840 uomini di truppa ne morirono 300; ne vennero ricoverati per ferite 420. In totale le perdite furono di 783 su 916: l’86 per cento!
Con motivazione datata «Africa Orientale, 9 febbraio - 27 marzo 1941», il Battaglione meritò alla bandiera del Reggimento la seguente medaglia d’argento al valore militare: «Durante aspra, prolungata battaglia contro preponderanti forze terrestri ed aeree, impegnato in successive critiche situazioni, si imponeva per elevato spirito guerriero tenendo testa, a costo di sanguinosi sacrifici, ad agguerrito avversario cui dava luminose prove di indomabile tenacia e valore».
Dopo essersi attestati a Ad Teclesan, i pochi alpini rimasti validi raggiunsero Zàzega e, il 31 marzo, l’Asmara; l’1 aprile passarono per Nefasit e Ghinda e infine a Massaua dove combatterono fino all’8 aprile per la disperata difesa di quella città; i sopravvissuti proseguisono per Decameré ed Agordat per concludere sull’Amba Alagi a fianco degli altri magnifici soldati del duca d’Aosta la vita del Battaglione alpino «Uork Amba», durata cinque anni ma che rimarrà indelebile nella storia d’Italia.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Giugno 1968
Il 7° Alpini in Montenegro
(25a puntata)

Dopo la campagna di Grecia - nel corso della quale ebbe 198 morti, 627 feriti e oltre cento congelati - il Settimo, ancora agli ordini del col. Frati, venne trasferito nel luglio 1941 in Montenegro ove fu impiegato in operazioni di polizia.
Da Petrella, nei pressi di Tirana, il reggimento raggiunse Scutari; il «Feltre» era comandato dal ten. col. Aquilino Guindani, il «Pieve di Cadore» dal magg. Renato Perico, e il «Belluno» dal ten. col. Giovanni Luchitta.
Qui cominciò la guerra più schifosa che il 7° ebbe a combattere, contro bande di ribelli tanto irriducibili quanto spietate.
Il Feltre, munito di un pezzo della 22° batteria, agì lungo la direttrice Seoce - Visnica - Mokre Livade - Bijellis Do - G. Selo - Martinici - Vrsuta con q. 1182 - Vurja - Kuka; nei giorni tra il 29 luglio e l’1 agosto collaborò con i battaglioni Bassano e Belluno per assicurare lo sbocco sulla piana di Podgoritza e rendere più agevole il passo alla divisione «Venezia». Il Feltre proseguì poi, fino al 12 agosto, alla rioccupazione di vari presidi dislocandosi infine a Nova Varos ove venne invano attaccato dai ribelli il 5 settembre.
Alla fine di detto mese il battaglione di Guindani operò un’azione verso Visegrad combattendo efficacemente le formazioni irregolari nemiche, poi - in relazione al forte attacco avversario su Plevlje ove era il comando della «Pusteria» - occupò le quote dominanti Nova Varos e combatté per sedici ore continue nel tratto tra Nova Varos e Bistrizza fortemente insidiato dai guerriglieri e che era necessario mantenere libero per rendere sicuri i rifornimenti per tutta la divisione. Il Feltre ebbe due morti e alcuni feriti; notevoli furono le perdite avversarie.
Riuscita l’azione, la 66° rimase a presidio di Bistrizza e il resto del battaglione raggiunse Prje Polje; a Bistrizza, punto nevralgico per la sicurezza dei trasporti, si avvicendarono la 64° giunta l’8 dicembre e poi altri reparti del battaglione a fine febbraio.
Nel frattempo il reggimento cambiò comandante a seguito di malattia del col. Frati; dopo il comando interinale del ten. col. Luchitta e poi del ten. col. Castagna, giunse il col. Giuseppe Zappino che mantenne il comando del Settimo fino al termine della campagna balcanica.
Dall’1 aprile si ebbe l’avvicendamento anche alla guida del Feltre in quanto il ten. col. Guindani venne trasferito al comando della «Pusteria» e gli succedette il ten. col. Lelio Castagna.
Il battaglione lasciò Bistrizza il 20 aprile iniziando un nuovo ciclo di operazioni di rastrellamento e, dopo alcuni giorni di sosta a Priboj, si portò alla confluenza del Lim con la Drina giungendo fino a Mededa; vennero occupate Trebosilje, Medurijecje, Gradina e infine Miljeno dove sostituì il battaglione «Trento» dell’ 11° Alpini nella sorveglianza della rotabile Cajnice-Gorazde.
Mentre la 65° era a presidio di quest’ultima località, il resto del Feltre venne assalito a Miljeno, durante la notte sul 6 maggio, da un fortissimo numero di ribelli; la lotta si accese furibonda e continuò con inaudita violenza fin poco prima dell’alba quando gli attaccanti dovettero ritirarsi senza aver conseguito lo scopo di rioccupare l’importantissima zona presidiata dal Feltre; le perdite per il nostro battaglione furono gravi: 22 morti tra i quali il ten. Ezio Mombello, e una quarantina di feriti. Numerosi furono gli atti di eroismo riconosciuti con il conferimento di decorazioni, e sensibili perdite subirono i ribelli prontamente inseguiti attraverso Bezuino, Ifsar e Goli Vrk.
Il Feltre concluse gli ultimi mesi nei Balcani a presidio di Cajnice, rientrando in Italia nel settembre 1942.
*
Il «Pieve di Cadore», dopo l’arrivo a Scutari con gli altri battaglioni del 7°, ebbe l’iniziale compito di assicurare il possesso delle alture ad est della Zeta e di Trebjes, e di vigilare nel tratto tra Vucovici e la valle Moriaca.
Rafforzato dalla 23° batteria di Albertelli, il «Cadore» fu in appoggio all’11° Alpini nelle azioni su Vir Bazar, q. 621, G. Selo e Sotonici.
Le operazioni più dure furono quelle del 20 luglio quando i ribelli, appostati sui costoni a nord della quota 621, attaccarono le nostre truppe in movimento. La 75° proseguì l’azione su Popovdo, la batteria raggiunse la selletta ad est della quota iniziando prontamente il fuoco, la 68° tentò un aggiramento delle posizioni tenute dall’avversario sul costone di Silavici posto a sbarramento della regione di Sozzine a nord di Levasco Polje; ma la nostra batteria venne aggredita sul tergo da altri forti nuclei avversari, come pure un plotone della 75° compagnia, per cui fu necessario riunire le forze in unico gruppo operante su q. 621.
Sottrattosi al movimento aggirante iniziato dal nemico, il «Cadore» eseguì l’ordine di ripiegamento rientrando all’inizio della notte; le perdite furono circa quaranta (sei morti, 26 feriti, 9 dispersi) oltre a numerosi contusi. Le perdite avversarie vennero valutate a un centinaio; nessuna arma venne perduta dagli alpini, ad eccezione di un pezzo della batteria reso inservibile con l’asportazione dell’otturatore e degli strumenti di puntamento.
Il Cadore tornò a Scutari, poi a Podgoritza ove effettuò una vasta operazione di rastrellamento, a Rijeka e Savnik, passò per Bjielo Polje, a Brodarevo (lasciando in distaccamento la 67°) e infine a Prje Polje ove si ricongiunse con il reggimento.
Numerose ancora le azioni contro i ribelli, tra cui quella effettuata il 2 dicembre dalla 68° compagnia (unitamente alla 78° del Belluno) in direzione di Seljanitza. Il Cadore agi il 6 dicembre - in concomitanza con il Belluno - per l’azione di sbloccamento di Plevlje che raggiunse il giorno 7 dopo essere passato per Rikavce, e rientrando poi con lunga marcia forzata a Prje Polje; in febbraio fu a Priboj e poi a Visegrad e nella zona di Cajnice fino al rimpatrio avvenuto in agosto.
*
Le prime azioni assegnate al battaglione « Belluno», dopo il suo arrivo a Scutari, ebbero come obbiettivi Podgoritza, Rijeka, Cettigne, Antivari, Berane, Kolassin, Bjelo Polje, Brodarevo, con meta Prje Polje; in settembre venne inviato a presidiare Sjenica, a circa 45 chilometri da Prje Polje ove era dislocato il comando di reggimento, e venendo infine adibito ai servizi di scorta alle colonne di rifornimento al presidio di Plevlje.
Si ebbe in tal modo una maggiore concentrazione delle nostre truppe, nell’impossibilità di difendere gli isolati piccoli presidi contro le insidie e gli attacchi dei ribelli.
La 79° del «Belluno » fu l’unica compagnia del Settimo che, con altri reparti della «Pusteria», si trovava a Plevlje 1’1 dicembre quando un’orda di migliaia di partigiani attaccò con impeto, travolgendo i nostri posti avanzati e infiltrandosi nell’abitato.
I nostri reparti fronteggiarono immediatamente l’avversario, spesso in accanita lotta corpo a corpo, e alle prime luci dell’alba iniziarono il contrattacco che, dopo parecchie altre ore di combattimento, risolse la situazione con il ritiro delle formazioni montenegrine che lasciarono sul terreno un migliaio di morti. Sensibili, anche se minori, furono le nostre perdite; in particolare, la 79° del Belluno ebbe alcuni morti e una decina di feriti.
Il comando della Pusteria chiese l’appoggio di altri reparti dislocati nella zona, allo scopo di prevenire eventuali altri attacchi, e la 77° del «Belluno» partì quindi da Prje Polje con il compito di bloccare la rotabile per Plevlje, mentre il battaglione «Bassano» puntava da Rudo verso la sede del comando divisionale.
Fu nel tratto di strada che da Rikavce porta al passo di Jabuka che la 77° del Belluno, mentre procedeva in colonna autocarrata, venne improvvisamente aggredita dai ribelli appostatisi in posizioni dominanti; cinquanta alpini vennero subito colpiti e gli altri balzarono prontamente dagli autocarri sistemandosi a difesa.
La lotta durò, pur con brevi pause, per sei ore; la situazione degli alpini era assai precaria in quanto la prudenza di formare la colonna con automezzi opportunamente distanziati, compromise la possibilità di reazione unitaria in caso di attacco di grande consistenza come quello verificatosi.
Divisi in tanti piccoli nuclei, impossibilitati al congiungimento a causa del fuoco radente dei ribelli, gli alpini si difesero strenuamente fino all’esaurimento delle munizioni; alcuni alpini tentarono l’approvvigionamento con quelle rimaste negli autocarri, ma appena si mossero vennero immediatamente colpiti.
Tra gli alpini si ebbero 36 morti e 12 feriti; 48 i dispersi. Rimasero prigionieri dei montenegrini anche il comandante della compagnia ten. Giacomo Gioia, i sottotenenti Mario Berti e Gino Eger e il tenente medico Renato Tomaselli.
Bastonati ferocemente gli ufficiali catturati, i partigiani finirono gli alpini feriti colpendoli col calcio dei fucili e con grossi sassi con cui schiacciarono loro la testa.
Ad eccezione del tenente medico che venne professionalmente utilizzato dai ribelli, gli ufficiali dovettero portare il pesante bottino catturato, e vennero sistematicamente bastonati quasi ogni giorno; il ten. Gioia veniva spesso buttato, nudo, in un ruscello ghiacciato.
Non si conoscono tutte le durissime vicissitudini dei prigionieri, in quanto il tenente medico venne separato dagli altri e, dopo molti mesi, riuscì a fuggire e raggiungere un nostro presidio con cinque disertori partigiani.
Intanto - il 23 dicembre 1941 - Gioia, Berti e Eger vennero massacrati con più di cinquanta altri prigionieri, e le loro salme vennero gettate nella caverna detta «di Omar» nella zona di Zebrjak.
All’attacco dell’1 dicembre riuscirono a sfuggire alcuni alpini che si trovavano negli ultimi autocarri della colonna, e che raggiunsero il presidio di Prje Polje dando l’allarme. Il comandante del reggimento dispose una sollecita ricognizione sul luogo del combattimento ove si recarono la 78° del Belluno con la compagnia comando e la 68° del Cadore, ma non trovarono superstiti; urtarono invece contro le bande ribelli. Più consistente azione venne iniziata alle ore 2 del 6 dicembre, con le compagnie 77° e 78° del Belluno e il battaglione Cadore, sotto la direzione del ten. col. Luchitta; le forze montenegrine si ritirarono precipitosamente verso il passo di Jabuka e tutto il bastione di Rikavce risultò sgomberato, dopo di che i nostri reparti rientrarono a Prje Polje.
Il 7° Alpini, avuto il cambio da reparti di fanteria della Divisione «Venezia» nel febbraio 1942, si concentrò nei pressi di Priboj e sostò alcuni giorni a Wiesegrad dove ebbe a sostenere altri aspri combattimenti.
Nel successivo agosto, partiti da Wiesegrad, i nostri alpini rientrarono in Patria con la coscienza di aver fatto il proprio dovere anche durante queste circostanze così amare e disumane.
Numerosi furono gli aiuti dati dai nostri alpini alle popolazioni tanto frequentemente ingenerose. Nelle liste dei «criminali di guerra» - pur tanto facili all’estensione da parte dei comandi delle brigate partigiane - non figurarono mai né il col. Zappino (che, tra l’altro, fin dal suo arrivo volle assicurare un pasto caldo a 700 bambini della zona presidiata) e nessuno dei comandanti dei battaglioni del 7° Alpini.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Febbraio 1969
In Russia con il «Val Cismon»
(26a puntata)

Abbiamo ricordato (Fiamme Verdi n. 3-1967) che il battaglione «Val Cismon » venne destinato al 9° Reggimento Alpini il 27 aprile del 1942, nella fase conclusiva della campagna greco-albanese; nato in seno al 7°, a tale reggimento, il «Val Cismon» rimase affettivamente legato anche se la guerra lo portò su fronti diversi rispetto ai battaglioni fratelli.
Anziché in Montenegro, il battaglione di Actis Caporale raggiunse Aldussina di dove partì il 13 agosto per la Russia, giungendovi quando l’azione italo-tedesca cominciava a scricchiolare.
E’ quanto mai difficile elencare anche sinteticamente i fatti di Russia, pur limitandosi al «Val Cismon» il quale, appartenendo alla «Julia», visse con questa la pagina più dolorosa ma altrettanto eroica della propria storia.
Alla fine di settembre il comando del battaglione venne assunto dal capitano Stanislao Valenti e, fino a quel periodo, l’unità alpina non venne molto impegnata sul Don; l’1 novembre si trovava a Builowka e il 16 dicembre venne spostata in direzione di Selenji Yar (Deresowka) per tamponare, con tutto il resto della «Julia», il nemico diretto verso Rossosch.
Il «Val Cismon» giunse all’obbiettivo la sera del 23 dicembre prendendo immediato contatto con il nemico assieme all’«Aquila» e alla fanteria tedesca, tra le quote 166 e 205,6 che furono teatro di impressionanti combattimenti.
I russi attaccarono presto la 265° compagnia a quota 166, dopo un intenso tiro di mortai ed armi automatiche; gli alpini assaltarono a bombe a mano e alla baionetta causando centinaia di morti; altro assalto venne contenuto con gravissime perdite da entrambe le parti.
I russi riuscirono a raggiungere alcune posizioni che, con l’aiuto della 277° compagnia, il «Val Cismon» riprese inseguendo poi il nemico fin quasi a Deresowka; ma ricominciarono presto gli assalti russi con l’appoggio di carri armati, determinando notevoli perdite al battaglione alpino che si riportò sull’originaria posizione in selletta data l’impossibilità di stabilire la nuova linea in contropendenza.
In questi combattimenti, che sbalordirono persino i russi per la tenacia dimostrata dagli alpini del Val Cismon, cadde il sottotenente Fausto Gamba, nativo di Brescia, alla cui memoria venne conferita la medaglia di oro al valore militare con la seguente motivazione:
«Comandante di plotone fucilieri, avuto l’ordine di contrattaccare un forte nucleo nemico, soverchiante di forze e di mezzi, infiltratosi nelle nostre linee, con magnifico slancio ed aggressività, con perizia ed audacia riusciva in un primo tempo ad arginare la irruenza del nemico, permettendo così al proprio comandante di compagnia, di operare sul fianco del nemico stesso. Ferito una prima volta gravemente da scheggia di mortaio, rimaneva sul posto, continuando ad incitare con l’esempio e la parola i propri alpini, trascinandoli poi ai contrattacco con tale slancio, che il nemico vinto dall’impeto di quel pugno di uomini, desisteva dalla lotta. Ferito una seconda volta da pallottola, che gli paralizzava gli arti inferiori, rifiutava ancora qualsiasi soccorso e permetteva ai suoi alpini di portarlo al posto di medicazione solo quando vedeva il nemico in fuga. Trasportato all’ospedale, manteneva stoico contegno. Conscio dell’imminente fine, manifestava il suo orgoglio per il dovere compiuto fino al sacrificio supremo. Fronte russo, 24 dicembre 1942».
Pur sempre inadeguato al gelo oscillante tra i 30 e i 35 gradi, giunse finalmente al battaglione un equipaggiamento migliore; più difficile rimase l’inoltro del rancio in misura sufficiente.
Continuava intanto l’incessante tiro di batteria, di controbatteria e di mortai mentre l’aviazione tormentava ancor più, e reciprocamente, le linee contrapposte.
Il giorno di Natale le truppe nemiche tentarono di cogliere di sorpresa i nostri reparti approfittando delle precarie condizioni cui l’avevano ridotti i combattimenti dei giorni precedenti; ne ebbero però una reazione che impose loro di desistere.
Stavano però affluendo nuove e notevoli truppe avversarie che all’alba del 26 dicembre sferrarono un fortissimo attacco contro la quota 205,6 tenuta dalla 264° compagnia del capitano Bertolotti. I russi assaltarono con sempre rinnovati reparti nel tentativo di interrompere i collegamenti tra gli alpini e le truppe tedesche; la lotta divenne feroce, a bombe a mano e all’arma bianca, ma la 264° - rinforzata dai plotoni sciatori e zappatori della compagnia comando e, sulla destra, dall’intervenuta 277° compagnia - riuscì a respingere il nemico il quale subì perdite ingentissime. Gli alpini, notevolmente provati, ebbero una citazione nel bollettino del comando supremo germanico; al capitano Bertolotti venne conferita, sul campo, la croce di ferro tedesca di seconda classe.
All’alba del 27 dicembre i russi attaccarono i reparti tedeschi che dovettero cedere scoprendo il fianco destro del nostro schieramento; la 264° venne sorpresa a tergo e costretta a lasciare quota 205,6 che - con l’appoggio della 277° e di alcuni carri armati tedeschi - riprese con ammirabile tenacia.
Gli italiani non avevano carri armati, ma erano dotati di «alpini-carro armato» come Giuseppe Toigo, della 264° compagnia, eroico fin dal primo giorno di combattimento; quando seppe che, per una valorosa azione, l’avevano proposto per una prima decorazione si meravigliò e disse: Ma par cossa pò; semo qua a far i soldai o le fémene? E sebbene ferito tornò a combattere. Fino a quel 27 dicembre, quando aggirò le truppe russe legato - con una mitragliatrice - sopra un carro armato tedesco; fece strage, provocando lo sbandamento dei reparti nemici, ma quando stava rientrando nelle nostre linee un colpo di mortaio colpì il carro e gli asportò la mano destra e gli ferì irrimediabilmente gli occhi.
Gli venne conferita la medaglia d’oro con la seguente motivazione:
«Ritornato dalla Francia per combattere nell’Esercito italiano, sempre presente nelle imprese più rischiose, per ben tre volte rientrava nelle nostre linee ferito e rifiutava di essere ricoverato accontentandosi della semplice medicazione. Durante un preponderante attacco nemico, fattosi legare con una mitragliatrice, allo scoperto, sullo scafo di un carro armato al fine di aumentare la potenza di fuoco, contribuiva efficacemente a stroncare l’avanzata delle masse avversarie. Rientrato dalla azione veniva raggiunto da un colpo dì mortaio che lo lasciava gravemente ferito agli occhi e ad una mano. Fulgido esempio di eroismo e profondo attaccamento alla Patria. Selenji Yar - Nowa Gusevizza (fronte russo), 27 dicembre 1942».
La medaglia d’oro era stata proposta sul campo, ma Bepi Toigo - del Grappa - la ebbe soltanto alla fine del 1952, due anni e mezzo prima di morire nella sua casa di Arten di Fonzaso.
Sconosciuti eroismi si susseguirono sul fronte del «Val Cismon» dove il 28 dicembre i russi tornarono con carri armati di medio tonnellaggio dopo aver eseguito un terrificante bombardamento; mitragliatrici e mortai vennero schiacciati, la linea rimase sconvolta e, in molti casi, gli alpini assaltarono i carri con bombe a mano.
Dopo un nuovo spietato bombardamento, giunse l’alba del 30 dicembre e con essa l’assalto - a quota 166 - di impressionanti masse di fanteria sovietica sostenute da carri armati di ogni tipo. Il primo contatto lo subì la 265°, poi a destra contro la 277° e infine al centro ove si trovava la 264° accorsero i resti del battaglione L’Aquila, anche i congelati si lanciarono al contrattacco in una mischia infernale.
Dopo una giornata di lotta il comando germanico ordinò l’arretramento della linea, ma ciò avrebbe comportato il crollo del settore e quindi gli alpini continuarono a combattere (e l’ordine di ripiegamento venne revocato) costringendo il nemico a ripiegare lasciando sul terreno una quantità incalcolabile di uomini e di armi.
Il 31 dicembre i russi attaccarono il Val Cismon con un gruppo di diciotto nuovissimi carri armati; il primo gennaio riattaccarono ancora inutilmente per cui dovettero passare per altri settori non tenuti dagli alpini.
Il Val Cismon, con le compagnie ridotte a circa 90 uomini ciascuna e con i reparti minori ormai inesistenti, venne ritirato il 2 gennaio per un precario riposo a rincalzo dell’8° Alpini. Ma il giorno 14 la situazione si aggravò e il battaglione venne ributtato in linea di fronte a Deresowka e a Jwanowka per sostituire alcuni reparti tedeschi.
Nell’immediato pomeriggio del 15 gennaio la 264° era già in contatto con il nemico; lo stesso giorno - all’alba- diciotto carri armati russi avevano fatto irruzione a Rossosch ove era situato il comando del nostro Corpo d’armata subito fronteggiati dai valorosi del comando tra i quali il generale Martinat che sarebbe poi caduto a Nikolajewka e il caporale Alessio G. Cavaliere - studente universitario, di origine trevigiana - che scomparve lottando con bombe a mano e bottiglie di benzina: 12 carri vennero distrutti e gli altri sei vennero posti in fuga.
Cominciarono a scarseggiare la armi, il munizionamento, gli approvvigionamenti; non c’era più artiglieria né aviazione in appoggio ai reparti in linea. Il Cismon - con le compagnie ridotte a 70 uomini ciascuna - rimase con il fianco sinistro scoperto e le compagnie 277° e 265°’ vennero attaccate violentemente ma resistettero sino all’ordine di ripiegamento quando profonde falle si erano prodotte ai lati del loro schieramento.
Il giorno 17 i resti del battaglione giunsero a Tarnowka, iniziando poi la marcia lungo l’itinerario Mesonky, Slavianka, Annowka, Jvanskoje, Molk e Popowka; qui si verificò l’attacco dei russi, giunti da Rossosch, che provocò la creazione di due colonne in ritirata e gli alpini si trovarono immessi nelle due direttrici diverse.
Del Val Cismon, una parte - col comandante cap. Valenti - si indirizzò con alpini del Vicenza e dell’Aquila verso Kopanki ma vennero dispersi il 20 o 21 gennaio dopo furibondi combattimenti; il resto, col cap. Mosetti che divenne comandante del battaglione, seguì la colonna tedesca verso Podgornoje combattendo senza tregua contro carri armati, truppe regolari e partigiani e giungendo, pur con varie perdite, a Karpenkowo e poi a Koponoje e a Warwarowka ed infine a Nikolajewka.
In quei giorni caddero due ottimi ufficiali del Val Cismon. Il sottotenente Antonio Cantele, da Villanova di Camposampiero, decorato di medaglia d’oro al valore militare con la seguente motivazione:
«Comandante di plotone nel corso di cruenta lotta contro agguerrite preponderanti forze, pur col braccio perforato da pallottola, contrassaltava vittoriosamente alla testa dei suoi alpini. Ricoverato in ospedale da campo ne usciva dopo pochi giorni, non ancora guarito, per tornare al suo reparto che sapeva duramente provato e impegnato. Incurante di nuova ferita rifiutava ogni soccorso e in violenti combattimenti sulla neve, intesi ad aprirsi un varco tra il nemico accerchiante, coronava con l’estremo sacrificio le fulgide ripetute prove di eccezionale ardimento, di eroismo e stoica fermezza d’animo. Fronte russo, 30 dicembre 1942 - 20 gennaio 1943».
Il giorno seguente morì combattendo il capitano Luciano Bertolotti, comandante della 264à compagnia, così decorato di medaglia d’oro:
«Valoroso reduce di altri fronti, assunto il comando della 264° del «Val Cismon», si impone alla generale considerazione per spiccate doti di capacità organizzativa e direttiva, indomito spirito combattivo, assoluta dedizione al dovere. Con mezzi inadeguati e in precarie condizioni ambientali, affronta con stoica fermezza, l’aggressività di preponderanti agguerrite forze, in tragiche alterne vicende belliche culminanti nel tempo e nello spazio con vigorose offensive, in sanguinose resistenze protratte con inflessibile tenacia fino all’arma bianca, in tormentosi ripiegamenti compiuti sotto la pressione incalzante di implacabile nemico, riesce sempre ed ovunque ad alimentare con il suo eroico esempio leggendarie reazioni, primo tra i suoi alpini che lo seguono, benché sfiniti, affascinati da tanta potenza trascinatrice che li guida, in più riprese, a insperati concreti successi. Delineatasi la crisi: decimato con scarse munizioni e viveri, quando ormai tutto crolla inesorabilmente attorno a lui e non dispone che di un pugno di valorosi superstiti, si impegna in titanica cruenta lotta a corpo a corpo e, fuso ad essi, scompare nella furibonda mischia, simbolo di sovrumane virtù militari. Fiero alpino, ha perpetuato le glorie del Corpo e le gesta del padre e del fratello caduti combattendo per la grandezza della Patria. Fronte russo, 24 dicembre 1942 - 21 gennaio 1943».
Al kolkoz di Letsnitcianski - dopo Kopanki - una parte del Val Cismon ed altri reparti alpini s’immolarono eroicamente; chi non morì venne tratto prigioniero (tra cui don Giovanni Brevi). Cadde anche il comandante cap. Stanislao Valenti, per cui il cap. Giuseppe Mosetti - che con il resto del Val Cismon sì era unito alla Tridentina - assunse, come si disse, il comando del battaglione combattendo infine a Nikolajewka.
La marcia riprese poi per Uspenka, Nowji Oskol, Troisk, Njegol e, dopo due giorni di sosta e di riorganizzazione, nuovamente a piedi per Bjelgorod, Tomarowka, Borisowka, Pisarewka, Maligrum, Sinkiw, Gradiatch, Sassulie e Romni.
La grande marcia di mille chilometri finì così, il 23 febbraio, dopo 37 giorni di combattimenti tra la neve, con quaranta gradi sotto zero.
I prodi del Val Cismon giunsero in Italia il 19 marzo 1943; il comando del battaglione venne assunto il 17 maggio dal magg. Pietro Oliva e, in agosto, l’unità venne trasferita ad Aidussina di dove era partita un anno prima.
Poco dopo, l’8 settembre segnava la fine di quello che fu uno dei più gloriosi battaglioni alpini.
Tra gli eroi sopravvissuti alla terribile prova c’è Angelo Ziliotto di Paderno del Grappa, valoroso anche nel precedente fronte greco-albanese. Sul fronte russo meritò la croce di ferro tedesca di seconda classe e la nostra medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:
«Fiero alpino portaordini emerge in ogni azione, sempre eroico e generoso. In Russia, in rischiosa azione, sopravanzando, malgrado ordini di prudenza, un nostro carro armato, si slancia, unico superstite, contro munita posizione e malgrado forte reazione nemica e ferite multiple ne ha ragione e cattura armi e materiali. In altra occasione, con l’ascendente del noto valore, mantiene un tratto di linea privo di superiori caduti e guida i superstiti in intelligente ripiegamento più volte ordinato. Nella steppa gelata si priva generosamente di indumenti e viveri per soccorrere un superiore caduto e minacciato di cattura. Sdegnoso di turni di anzianità si offre sempre e reclama per sé le azioni più audaci e pericolose, Magnifico campione di nostra razza montanara. Selenji Yar - Nowa Gusevizza (fronte russo), 27 dicembre 1942 - 10 febbraio 1943».
Il buon Ziliotto, attualmente maresciallo del Corpo Forestale, è tra noi tanto conosciuto da non abbisognare di ulteriori citazioni.
Nel 1954 è tornato dalla prigionia, dopo inaudite sofferenze, il tenente cappellano don Giovanni Brevi del «Val Cismon» al quale venne conferita la medaglia d’oro con la motivazione:
«Apostolo della fede, martire del patriottismo, in ogni situazione, in ogni momento si offriva e si prodigava in favore dei bisognosi, noncurante della sua stessa persona. Sacerdote caritatevole ed illuminato, infermiere premuroso ed amorevole, curava generosamente gli infetti di mortali epidemie. Intransigente patriota, con adamantina fierezza, affrontava pericoli e disagi, senza mai piegarsi a lusinghe e minacce. Di fronte ai doveri ed alla dignità di soldato e di italiano preferiva affrontare sofferenze e il pericolo di morte pur di non cedere, eroicamente guadagnava il martirio ai lavori forzati. Esempio sublime di pura fede e di quanto possa un apostolo di Cristo e un soldato della Patria. Fronte russo - Prigionia di Russia 1942 – 1954».
In troppi non sono tornati; ma un insegnamento ce l’hanno lasciato ugualmente. E’ lo stesso che ci viene testimoniato dai superstiti e che Bepi Tolgo ci ripeteva con commovente insistenza: «Vardé fioi, mi no ve digo gnente, ma ricordéve de far sempre el vostro dover, da bravi alpini».

7° ALPINI
Fiamme Verdi Giugno 1969
Scioglimento e ricostituzione
(27a puntata)

Con la nostra rievocazione della storia del 7° eravamo giunti (n. 3/1968 di Fiamme Verdi) al rientro del Reggimento dal Montenegro, avvenuto nel settembre del 1942 al comando del col. Giuseppe Zappino.
Dopo il periodo contumaciale a Oblina nei pressi di Postumia, e quello trascorso nella zona di Torino, Avigliana e Rivoli Torinese, il 7° venne affidato - dall’1 novembre - al nuovo comandante col. Giuseppe Lorenzotti col quale raggiunse la Provenza (Francia).
Il battaglione «Feltre» - comandato, dal 4 settembre 1942, dal magg. Pasqualino Fornari - presidiò Digne, Riez, Saint Maximm, Istrès, S. Raphael, ed altre località fino al rientro in Italia che, iniziato il 4 settembre 1943, si concluse a Ventimiglia l’8 settembre all’annuncio dell’armistizio. Il 12 settembre - a S. Dalmazzo di Tenda il battaglione si sciolse.
Il «Pieve di Cadore» - che al rientro dall’Jugoslavia aveva trascorso il periodo di riposo a S. Michele Senosecchia - era ancora al comando del magg. Renato Perico col quale poi partì il 15 novembre 1942 da Rivoli per Cavaillon dislocandosi prima a Manosque e poi a Sospello, alle dirette dipendenze del comando della IV Armata; si ricongiunse al reggimento il 2 settembre 1943 e, giunto l’armistizio, ebbe affidato dal col. Lorenzotti il compito di attestarsi sul Col di Brins per difendere lo spostamento degli altri reparti del 7° da possibili infiltrazioni tedesche. Il «Pieve» si trasferì poi a Breglio e infine nella zona di S. Dalmazzo-Boves, rimanendovi fino al 22 settembre quando venne sciolto.
Il battaglione «Belluno» era stato destinato, al rientro dall’Jugoslavia, a Sordevolo di Postumia di dove partì per Avigliana e di qui - sempre agli ordini del ten. col. Giuseppe Luchitta a presidio in Provenza passando tra l’altro a Carpentras, S. Maximin, La Roche Brussant e Grimaud. Venne impiegato in lavori di difesa costiera fino al rientro a venuto all’inizio di settembre del 1943 - in funzione di retroguardia del reggimento - attraverso Nizza, La Turbie e Sospello, e poi con compito di sbarramento a Fontan fino al congiungimento con il reggimento a S. Dalmazzo di Tenda ove, per le accennate circostanze, il battaglione venne smobilitato il 12 settembre.
Gli Alpini del 7° iniziarono l’avventuroso ritorno verso casa.
Anche alla comune casa di Belluno - la caserma intitolata al trevigiano Tomaso Salsa - rimasero solo i ricordi conservati nel museo-sacrario che era stato costituito dal col. Carlo Ghe nel 1937 in occasione del cinquantesimo anniversario del reggimento.
I tedeschi si insediarono anche nella caserma del 7° e, all’inizio del 1944, disposero il trasferimento in Germania dei cimeli del sacrario; fu allora che il rag. Amedeo Burigo - che era stato capitano del Settimo - decise di agire per salvare l’insostituibile materiale storico.
Motivandola con il fatto di essere ragioniere capo del Comune di Belluno e dopo due vani tentativi, Burigo ottenne dal consigliere tedesco presso la Prefettura - dott. Lauer - l’autorizzazione ad entrare in caserma, per controllare l’avvenuta esecuzione di alcuni lavori disposti dal Comune di Belluno e finanziati dalla Prefettura tra le spese di occupazione.
Entrato in caserma con tre «assistenti», il bravo capitano Burigo nascose in varie casse tutti i cimeli del reggimento: i labari e i vessilli dei battaglioni, la bandiera del 14° Genio che era stata affidata al 7°, la bandiera col sangue del sottotenente Furio Nodus che fu il primo ufficiale del reggimento caduto in Albania, medaglie, trofei di guerra, fotografie, armi, diari storici, tutta la biblioteca reggimentale. Caricate su un carro, le casse uscirono dalla caserma per raggiungere un nascondiglio sicuro.
Finite le dure vicende belliche, Burigo consegnò le preziose testimonianze che aveva salvato ed ebbe un encomio dal Ministero della Guerra (19 settembre 1945) e una letterina di riconoscimento da altro ministro: pochino se ben si considera il rischio affrontato e l’importanza del risultato.
*
Inquadrato nell’8° Reggimento, il «Feltre» venne ricostituito nel febbraio del 1946 col comando del magg. Valeriano Bortolazzi al quale, dal maggio al novembre dello stesso anno, seguì il ten. col. Antonio Perelli.
Il battaglione venne poi comandato dal magg. Mario Cracco fino al 31 dicembre 1947, dal magg. Nereo Fiamin fino al giugno 1949, dal magg. Carlo Mautino fino al giugno 1950, dal magg. Raffaele Distante fino al dicembre 1951, dal magg. Eusebio Palumbo fino al settembre del 1953.
Ed ecco finalmente ricostituito - alla data dell’1 luglio 1953 - anche il 7° Alpini, alle dipendenze della neo-costituita Brigata «Cadore»; alla caserma «Salsa» aveva funzionato, fino ad allora, un Ufficio Deposito comandato dal ten. col. Arpago Bazzali.
Il Reggimento rinasceva nettamente da zero, e il comandante col. Edgardo Gandolfo ebbe a sostenere un oneroso lavoro organizzativo (costituzione del Comando e della compagnia reggimentale) prima che giungessero l’1 settembre i primi bocia della classe 1931. E’ a questa data che si ricostituirono il battaglione «Pieve di Cadore» agli ordini del magg. Eros Ortore (compagnia comando e 67°) e il battaglione «Belluno» affidato al ten. col. Giuseppe Vinci (compagnia comando e 77°), oltre alla 7° compagnia mortai reggimentale; il «Feltre» rimase ancora qualche anno con l’8° Alpini.
Si vedrà, col seguito della nostra rievocazione, come il 7° ebbe subito qualcosa da fare fin dall’inizio; concludiamo per ora ricordando la grande manifestazione svoltasi a Belluno l’11 aprile 1954 per la consegna della bandiera al risorto Reggimento. Il comandante appese al tricolore i segni del valore degli Alpini del 7°: due decorazioni dell’Ordine militare, otto medaglie di argento, tre medaglie di bronzo.
La continuità col glorioso passato era ormai avvenuta.

7° ALPINI
Fiamme Verdi Giugno 1970

Il 7° Alpini dopo la ricostituzione
(28a e ultima puntata)

Abbiamo in precedenza ricordato la ricostituzione del 7° Alpini, avvenuta il 1° luglio 1953, e la grande manifestazione svoltasi a Belluno l’11 aprile 1954 in occasione della consegna della Bandiera.
La Sezione di Belluno dell’ Ana - e particolarmente l’allora Commissario Giuseppe Rodolfo Mussoi, che è tuttora uno dei più genuini e generosi dirigenti alpini - aveva seguito con trepidazione, nell’immediato dopoguerra, il problema della ricostituzione del Reggimento. Già si disse che nel febbraio 1946 aveva ripreso vita il battaglione Feltre, inquadrato nell’8° Reggimento, che era stato per circa un mese a Este e poi alla caserma « Zanettelli» di Feltre, successivamente a Pontebba e ancora, dal 1956, a Feltre quando ritornò a far parte del 7°.
Interpellate le maggiori autorità, il rag. Mussoi aveva formulato - il 4 novembre 1947 - il seguente appello:
«IL COMMISSARIO DELLA SEZIONE A.N.A. DI BELLUNO, su conforme parere dei Membri del Consiglio Direttivo uscente della Sezione, sicuro di interpretare il voto unanime dei Soci, sulla considerazione che nel programma di Governo per la riorganizzazione dell’Esercito dovrà inserirsi l’improrogabile ed indispensabile necessità di aumentare il numero dei reggimenti Alpini, onde non sia effimera o meramente simbolica la salvaguardia delle Frontiere Nazionali; AUSPICA che l’Onorevole Ministro della Difesa e gli Enti competenti deliberino ed attuino la ricostituzione di quel glorioso Settimo Alpini che, onusto di glorie militari, fiero dell’eroismo dei suoi figli rappresentanti autentici della tradizione di valore e dello spirito indomito delle generose e patriottiche popolazioni delle provincie delle Dolomiti (Belluno - Treviso), come sempre fu, come sempre sarà, la sentinella meglio qualificata a vegliare sui confini orientali della Patria ed a non rimanere insensibili ai palpiti ed alle aspirazioni dei fratelli che un ingiusto trattato di pace ha strappato alla gran Madre Italia; INVITA pertanto, le autorità Provinciali e Comunali delle provincie di Belluno e Treviso e le consorelle Sezioni dell’A.N.A. delle dette due provincie ad avviare tutti i mezzi idonei perchè il voto suespresso diventi pronta realtà».
Le Amministrazioni provinciali e tutti i Consigli comunali risposero favorevolmente; ugualmente ed entusiasticamente favorevoli si dimostrarono, oltre alla nostra Sezione di Conegliano, le Sezioni di Feltre, Pieve di Cadore, Treviso, Valdobbiadene e Vittorio Veneto. Tutta la documentazione venne quindi consegnata al senatore avv. Agostino D’ Incà - già ufficiale degli alpini - che provvide a far pervenire la petizione al Ministro della Difesa.
Appena ricostituito, il 7° Alpini ebbe a partecipare - col trenta per cento dei propri effettivi integrato con richiamo di ufficiali, sottufficiali e truppa - all’«esigenza T» connessa con la tensione verificatasi alla frontiera orientale; trasferiti il 20 ottobre 1953 nella zona di Cividale del Friuli, i reparti del 7° (costituenti il battaglione di formazione «Cadore», comandato dal ten. col. Giuseppe Vinci e formato dalle compagnie comando dei battaglioni Cadore e Belluno, oltre che dalle 77°, 67° e 7° CMR) rientrarono il 29 dicembre.
Al col. Edgardo Gandolfo seguì - al comando del reggimento - il col. Alberto Briatore dal 12 agosto 1954, il col. Vincenzo Bellomo dal 16 marzo 1956, il col. Tito Corsini dal 21 marzo 1957 e la M.O. col. Franco Magnani dal 21 marzo 1958.
Due mesi dopo la ricostituzione il 7° partecipò alla V edizione del trofeo «Silvano Buffa» e, grazie alla preparazione curata dal magg. Ortore la squadra conseguì - contrariamente ad ogni previsione, dato il breve periodo disponibile - il terzo posto assoluto.
Nel 1954 apprestò una spedizione di soccorso per la ricerca di feriti e dispersi in alta montagna e contribuì notevolmente all’organizzazione dei Giochi Olimpici Invernali di Cortina di Ampezzo (sotto la guida del col. Tessitore, del ten. col. Fabre e del magg. Bassignano); affermazioni prestigiose vennero conseguite nei campionati militari di palla a volo, di pallacanestro e di corsa campestre. Lo stesso anno venne spostata la festa del reggimento dal 13 di dicembre - ricorrenza della difesa di Val Calcino e del Valderoa da parte dei battaglioni Monte Pavione e Feltre - alla data del 23 aprile, giorno conclusivo della campagna di Grecia nel corso della quale tutti i battaglioni del 7° vennero decorati con la medaglia d’argento al valore militare.
Continuarono con intensità e buon esito i corsi sciatori ed alpieri, le escursioni invernali ed estive, e nel 1956 vennero realizzate le ascensioni di reparto al Becco di Mezzodì, alle Tofane, al Cristallo, al Civetta, al Rinaldo, al Popera di Valgrande, e le esercitazioni «Riccio», «Aquila Nera» e «Valle Verde». Sulla vetta dell’Antelao venne trasportato un bivacco fisso prefabbricato, del peso complessivo di ventidue quintali.
Nel 1957 il Settimo fu presente - con un battaglione di formazione, bandiera e fanfara - alla nostra adunata nazionale svoltasi a Firenze. Con le esercitazioni estive fu impegnato nella «Latemar 2», e il 4 settembre un reparto salì al Cadin dei Frati per la consegna di 126 colli di materiale destinato alla sistemazione - sul Duranno, m. 1927 - della capanna-bivacco «Paolo Greselin».
Assai prestigiosi i risultati nelle competizioni sportive: primo posto (punti 288 su 300) nella gara nazionale militare di tiro svoltasi a Orvieto (e con l’alpino Italo Fagherazzi classificatosi primo su 149 tiratori), secondo posto nel campionato di calcio del IV Corpo d’Armata, primo posto in quello di palla a volo, primo posto tra le squadre militari partecipanti alla gara sciistica nazionale di fondo Trofeo «R. Psaro», sesto posto assoluto (e seconda tra le squadre militari) nella gara sciistica nazionale di staffetta alpina del Trofeo «Reverberi».
Molto intenso il programma svolto nel 1958 oltre il consueto impegnativo addestramento. Una grande croce metallica venne collocata, a ricordo dei Caduti del battaglione «Belluno» sulla cima di Monte Schiara; nello stesso periodo un plotone agli ordini del capitano Pilla e in collaborazione con i componenti del «Soccorso Alpino», contribuì a portare a salvamento un giovane rimasto gravemente ferito sullo stesso monte. Numerose furono le ascensioni compiute da tutti i reparti del «Settimo» sulle cime particolarmente impegnative delle Dolomiti.
Il 1958 ha riservato frequenti successi alle squadre del 7° anche nelle competizioni sportive, con la conquista del primo posto nella categoria militare al Trofeo «Reverberi», al Trofeo «Dordi», al Trofeo «A.N.A.», al Trofeo «R. Psaro»,al Trofeo «Silvano Buffa», alla gara nazionale di tiro con carabina cui parteciparono 26 squadre delle tre Forze Armate (la squadra del 7°, composta dal magg. Ortore e dai caporali Libero Rossetti e Lino Laffi, ottenne 435 punti su 450; e il caporale Rossetti fu primo sui duecento concorrenti); tra le competizioni a carattere nazionale è di rilievo il secondo posto della categoria militare conseguito al Trofeo «Divisione Julia» di staffetta alpina.
Mentre il magg. Eros Ortore conseguiva un successo personale classificandosi primo nel campionato nazionale UNUCI di tiro con carabina, svoltosi a Brescia, il Reggimento ottenne altre meritate affermazioni in gare regionali e provinciali con le vittorie nelle gare regionali di tiro con carabina a Verona e a quelle provinciali in Agordo, e nel Trofeo regionale «Favretti», contribuendo infine alla conquista del primo posto nel campionato di calcio del IV Corpo d’ Armata da parte della Brigata «Cadore».
Il 7° Alpini ha quindi continuato ad allevare alpini di ottima qualità per merito - oltre che dei già citati comandanti del reggimento - anche dei bravi comandanti susseguitisi alla guida dei battaglioni e degli altrettanto ammirevoli ufficiali dei reparti.
Al Battaglione Feltre, dopo il comando tenuto dal magg. Eusebio Palumbo dal 1951 al settembre del 1953, giunsero il magg. Silvio Steffensen (fino al 14 settembre 1954), poi il magg. Franco Magnani fino al 31 maggio 1956, e con il passaggio del battaglione al 7° il magg. Virginio Rigi-Luperti fino al 7 novembre 1956, poi il magg. Marino Morosini fino al 1 gennaio 1958 e, da tale data, il ten. col. Augusto Camorani.
Il Battaglione Cadore ebbe quale comandante, dopo il magg. Ortore, il ten. col. Guido Rodorigo dal 30 ottobre 1954, il magg. Rigi-Luperti dal 1° novembre 1955 (poi passato al «Feltre»), il magg. Piero Arnol dal 1 ottobre 1956, il magg. Cristoforo De Hartunghen dal 10 ottobre 1957, e il magg. Enrico Dalmasso dall’11 ottobre 1958.
Abbiamo già ricordato che il Battaglione Belluno ebbe, quale comandante alla ricostituzione, il ten. col. Giuseppe Vinci; gli succedette il magg. Renzo Mazzoncini dal 1 novembre 1954, il magg. Vittorio Dogliani dal 1 novembre 1955, il magg. Giorgio Ridolfi dal 1 novembre 1956, il magg. Amerigo Roatto dal 10 novembre 1957 e il magg. Marcello Berloffa dal 1° novembre 1958.
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Già si disse che il 7° Alpini ha avuto 4.556 Caduti nelle guerre combattute, e ricompense individuali che si concretarono nella concessione di 25 medaglie d’oro, 428 medaglie d’argento, 719 medaglie di bronzo e numerose altre decorazioni al valore militare. La Bandiera è fregiata di due Ordini Militari, otto medaglie d’argento e tre medaglie di bronzo; a queste distinzioni per il valore militare dimostrato si aggiunse l’alto riconoscimento della Medaglia d’Oro al valore civile conferita per le operazioni di soccorso generosamente prestate in occasione della sciagura del Vajont che sconvolse, nell’ottobre del 1963, la zona di Longarone. Fu il 2 giugno del successivo anno a Belluno, che il sottosegretario agli Interni on. Ceccherini appuntò sulla bandiera del 7° Alpini e del 6° Artiglieria da Montagna le medaglie d’oro conferite ai due Reggimenti che sì sono particolarmente distinti nella validissima opera di soccorso, offerta fin dalle prime ore dopo il disastro, con slancio generoso e con assoluto sprezzo del pericolo ancora incombente.
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Le notizie riassuntive sulla storia del reggimento tanto caro alla nostra Sezione si concludono con la presente puntata; c’è già un vuoto tra il 1958 e il frettoloso accenno che abbiamo fatto sull’opera svolta dai bocia del 7° in occasione della disastrosa sciagura del Vajont.
La colpa non è nostra - e forse non è di nessuno - se la rievocazione si deve forzatamente fermare, di fatto, alle notizie prevalentemente pubblicate nel volume che Manlio Barilli ha dato alle stampe nel dicembre del 1958. Ci eravamo proposti di integrare la fatica di questo indimenticabile scrittore alpino con l’aggiornamento delle notizie successive alla data accennata poiché, specialmente ai bocia, avrebbe fatto piacere di vedere ricordate le affermazioni dei reparti nel periodo del proprio servizio militare, e per i veci sarebbe stata una consolante rivelazione nei riguardi dell’andamento ancor oggi encomiabile del reggimento nato a Conegliano.
Se si avesse potuto raccontare la storia del 7° fino ai giorni nostri, le varie puntate della rievocazione (e con questa sono state 28 puntate) avrebbero potuto venire raccolte in un piccolo volume che - riteniamo - sarebbe stato gradito particolarmente ai giovani delle ultime leve.
Non è stato possibile e ce ne duole assai. Da parte nostra abbiamo richiesto le notizie a chi ne è in possesso, e lo abbiamo tatto più volte (dall’agosto del 1968 fino al febbraio di quest’anno) ma senza esito malgrado una prima assicurazione fornitaci in proposito.
Ci saranno motivi di segretezza che noi non conosciamo, ma ci è difficile capire il motivo per cui non si possono pubblicare i nomi dei comandanti del reggimento e dei battaglioni che si sono succeduti negli ultimi dieci anni (e che desideravamo nominare al solo scopo di rendere riconoscimento alla loro opera), e le affermazioni sportive od altro che i bocia hanno saputo ottenere e alle operazioni di soccorso cui hanno partecipato.
E quindi con rammarico che scriviamo FINE.

M. ALTARUI
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