Vicellio Da Rodda - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di CONEGLIANO
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Vicellio Da Rodda

VICELLIO DA RODDA, Reduce ed alfiere di vita
Fiamme Verdi Marzo 2010 di Renzo Sossai

In uno dei rari pomeriggi assolati del lungo inverno ho il piacere di conoscere uno dei reduci alpini più anziani della nostra sezione: Vicellio Da Rodda del gruppo di Ogliano.
Vicellio Da Rodda è nato a Scomigo il 10 febbraio 1915 da una famiglia di mezzadri. La sua infanzia e la sua adolescenza sono sfilate lungo il binario fissato dalla durezza del ventennio fra le due guerre mondiali. Quei momenti li ha saputi superare con serenità facendo leva sulla sua innata umile e dignitosa saggezza contadina.
Nell’ottobre del 1936 Vicellio è chiamato a prestare il servizio militare al 7° Rgt. Alpini a Tai di Cadore, inquadrato nella 75^ compagnia del Btg. Pieve di Cadore. Si adegua alla nuova vita senza eccessive difficoltà, meritando i gradi di caporale per le sue riconosciute capacità.
Alla fine del 1937 è congedato e ritorna dunque in abiti civili alle consuete mansioni. Nella primavera del 1939, complice la miseria e la scarsità di lavoro, deve emigrare in Germania ove lavora per circa 20 mesi come agricoltore. Ritorna in Italia il 4 dicembre 1940, giusto un mese dopo, il 4 gennaio 1941 è richiamato a Tai di Cadore nel 1° Btg. Complementare. Questa volta non è la naja, è la guerra.
Il 17 gennaio mentre fiocca la neve, è fra gli Alpini della 68^ compagnia che vengono salutati alla stazione ferroviaria di Calalo dal Colonnello Campari con un “In bocca al lupo, alpini!” La sera successiva il convoglio arriva alla periferia di Brindisi. La compagnia si accampa sotto un oliveto. Nella stessa serata, un allarme aereo anticipa un bombardamento inglese i cui colpi cadono a soli 70 metri dalle tende. Il 5 febbraio si parte per Valona (Albania), dovendo però rimanere nella baia poiché il barcone su cui sono stati caricati non dispone di mezzi adeguati all’attracco.
L’indomani una barca più grande, il Garigliano, affiancando l’altra e gettando un ponte meccanico, consente finalmente di sbarcare in terra albanese mentre scroscia a dirotto. Così ricorda Vicellio quel giorno: “… ci accampiamo due chilometri fuori di Valona  ancora una volta con le tende sotto un oliveto,  tagliamo alcuni rami degli olivi per pavimentare un po’ il nostro giaciglio. Poco dopo incontro un gruppo di bambini che vendono grappa e così se ne vanno le ultime lire rimaste…”.
Il giorno dopo la compagnia è incolonnata sui camion verso il fronte, poi ancora tre giorni di marcia fino a Bergulas. Verso il 10 febbraio ci sono i primi approcci con la prima linea e comincia il pattugliamento contro i possibili attacchi dei greci.  In quei giorni le felci diventano materasso e cuscino ed i pidocchi cominciano a regnare tra la pelle ed i vestiti. Dopo alcuni giorni di relativa tranquillità in prima linea comincia l’attacco ai Roccioni del Selanj.
Sul Tomori innevato, a 1700 metri d’altitudine, c’è il difficile attraversamento notturno d’un corso d’acqua situato in una posizione che di giorno sarebbe stata visibile dai greci arroccati sul Selanj. Dice Vicellio “… mentre si accende il fuoco di sbarramento del nemico, saliamo di rincalzo noi della 68^, dietro a quelli della 75^ cp. che era di punta verso i roccioni, mentre la 67^ cp. procede all’interno…”. Proprio in questo frangente Vicellio vede cadere il proprio commilitone, è Giuseppe Tubiana di Bagnolo. Vorrebbe d’istinto recuperarne la salma assieme al Ten. Luigi Gerosa ed il suo attendente ma c’è un frastuono terribile, le pallottole sibilano minacciose, sul terreno circostante si abbatte una vera gragnola di colpi. Il tentativo è purtroppo vano e non si riuscirà più a ritrovare il corpo dello sventurato Giuseppe.  
I reparti alpini non riescono ad avanzare, il fuoco nemico li costringe a ritornare indietro fino al corso d’acqua.  Dice Vicellio “… là troviamo distesi colpiti a morte 102 o 103 dei nostri, senza pensare a quelli che non riusciamo a recuperare. Li seppelliamo a Bergulas in un cimitero approntato appositamente…”.
Il 20 febbraio cominciarono a pattugliare la linea del fronte sul Monte Spadarit. Ricorda ancora Vicellio “… sullo Spadarit attraversiamo un fiume che scorre fra due speroni rocciosi, con una fune attaccata ad una carrucola. Io come caposquadra passo per primo, ma la fune non è ben tesa e rischio di finire nelle acque gelide e profonde, per fortuna che i  miei compagni riescono a tirarmi su… .” Dopo alcuni giorni, tornati a Bergulas, alla festa voluta dal Colonnello Fratis, lo coglie un malore, viene prima portato in infermeria e successivamente nell’ospedale della Pusteria a Beret.
Lì rimane 10 giorni, avendo il modo di vedere moltissimi casi di congelamento, con militari italiani a cui vengono amputati piedi o addirittura interi arti. Terminata la convalescenza, Vicellio, è conglobato in un reparto comprendente soldati di vari corpi a Pretrellas circa 10 chilometri da Tirana, pronti per il rimpatrio in Italia. Sono invece caricati su una colonna di automezzi che li porta verso la Jugoslavia.
Dopo il tragitto in camion ci vogliono tre giorni di cammino per arrivare ad Antivari, un paesino sul mare con un porticciolo controllato da due cacciatorpediniere italiane. Vicino al molo si fermano i pezzi di artiglieria mentre gli alpini proseguono per le asperità che si trovano di fronte al mare. Racconta Vicellio “… troviamo esposte delle lenzuola bianche in segno di resa, delle famiglie del paese che ci offrono addirittura della “rachja”, ma poi saltano fuori i partigiani che ci prendono a fucilate. Noi rispondiamo con le mitragliatrici ed i mortai. Il Colonnello Perico spara un razzo con l’apposita pistola e da così il via al cannoneggiamento pesante da parte delle due cacciatorpediniere. Il comandante della 68^ compagnia si accorge che nel primo pomeriggio ci stanno accerchiando e ordina il ripiegamento. Spariamo e scappiamo, alla fine conteremo almeno cento tra morti e feriti…”. Nello stesso giorno muore con altri due parigrado il Sergente Tarcisio Fossaluzza di Santa Lucia di Piave. Gli alpini si dirigono poi verso Podgorica ove vengono disposti i vari compiti. Devono Passare il ponte sulla Moracea e salire sulle quote assegnate resistendo alle imboscate.  
Nel mese di settembre 1941 giungono a Prjie Polje in Montenegro.  Vicellio ricorda le sparatorie e le scaramucce con i partigiani al Passo di Jabuce, accesso obbligato sulla strada che porta da Prjie Polje a Primovje in Serbia, per bloccare il rifornimento di viveri. Ricorda ancora Vicellio il giorno in cui furono ammazzati in un attentato due alpini che stavano andando in licenza. La bomba lanciata contro il camion militare ne spappola letteralmente i corpi, Vicellio raccoglie tre dita di uno di loro, le incarta e le mette nella tasca del poveretto.  
Ai primi di dicembre i partigiani in massa attaccano il comando di Divisione a Plevja. Bloccano il valico di Jabuce, così il contingente venuto in soccorso soccombe sotto i colpi sparati dalle varie postazioni strategicamente costituite. Ci sono almeno una ventina di morti e tutti gli altri sono fatti prigionieri. Di molti di quest’ultimi non ne sapremo più nulla. L’ordine come al solito era di resistere ad oltranza. In questo frangente Vicellio viene colpito dalla pleurite, forse per la stanchezza causata dai continui combattimenti o per il freddo patito in alta quota. E' ricoverato all’ospedale di Prjie Polje per 35 giorni.
I suoi compagni combattono intanto una dura lotta attorno a Cianice. Dopo 15 giorni di convalescenza torna finalmente in Italia, viene mandato a Tai di Cadore e poi al deposito munizioni a Vigo sul Col Piccolo. Viene intanto composta la 124^ cp. e il nostro caporal maggiore Vicellio Da Rodda entra a farne parte. A Civitavecchia partecipa con profitto al corso per utilizzare il cannone anticarro. Il 1° gennaio 1943 è in Francia in Savoia e poi in Provenza alla Riviere della Durance nella postazione anticarro allo Chateau de Mirabeau.
Nell’estate del ’43 gli è concessa una licenza di 20 giorni. Al ritorno gli ufficiali fanno scendere gli alpini dal treno a Milano perché il battaglione è ora a Mentone. Sale sul convoglio che porta a Genova e Ventimiglia ed infine giunge a destinazione alloggiato nel lussuoso Hotel del Louvre con il bagno in camera, caffé con brioche a colazione. La pacchia è in ogni caso di breve durata perché è imminente l’8 settembre.
Quel giorno fatidico il suo reparto lo passa al Col di Tenda ove consegna le armi alla caserma della Guardia di Frontiera. Dopo tre giorni di marcia Vicellio assieme ad alcuni commilitoni giunge a Montalenghe (Torino) ove studia presso un convento dei salesiani un suo compaesano il quale li rifocilla, li ospita ed infine li porta a prendere una barca per superare il fiume Dora a Livorno Ferrarsi (Vercelli). Ospitati per un giorno in una casa ove vengono sfamati con polenta e formaggio, salgono poi in treno. Nei pressi del Lago di Garda vengono informati dei controlli operati dai tedeschi a Padova e Mestre.
Decidono di scendere a Vicenza. Arrivati a San Martino di Lupari (Pd) aggirano i controlli allungando il tragitto fino a Portegrandi (Ve) ove raccolgono ancora la generosità di una famiglia contadina che li ospita a pane e salame ed un fiasco di vino. Vicellio arriva a casa un mese dopo e per i primi mesi si nasconde dai rastrellamenti. Finita la guerra, si sposa nel 1947 con Erminia Gava con la quale mette al mondo 3 figlie. Lavora prima come manovale e poi alla Carnielli di Vittorio Veneto fino alla pensione. Si è intanto trasferito ad Ogliano. E’ iscritto al Gruppo ANA di Ogliano dal 1937.

Conclusione
Raramente ho trovato in una persona così anziana (95 anni) una memoria ed una lucidità disarmante come in Vicellio. Egli è inoltre dotato di un’ironia ed una arguzia non comuni. Posso dire di aver arricchito la mia persona potendo raccogliere la sua esperienza di vita. Sono sempre più convinto che questi “ragazzi” possono ancora trasmetterci tanto della loro genuina alpinità.
Grazie Vicellio.
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