Alpini sempre 1925-2025_08 Conegliano città militare - Associazione Nazionale Alpini Sezione di Conegliano

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Alpini sempre 1925-2025_08 Conegliano città militare

ALPINI SEMPRE 1925-2015 - I 90 anni della Sezione di Conegliano
1925-2015
CONEGLIANO città militare
Data la sua posizione d’importanza strategica nel controllo del territorio, essendo al centro di importanti vie di transito, Conegliano fu sempre città murata e fortificata fin da epoca romana e consolidata nel periodo travagliato del medioevo. A testimonianza vi rimangono le mura carraresi e il castello che ancor oggi, con la sua unica torre rimasta, domina la pianura sottostante.
Ma fu sotto la dominazione austriaca che divenne una vera e propria città militare.

L’11 maggio 1815 davanti al Consiglio de’ Savi e al Podestà distrettuale, cancellata definitivamente la Serenissima dal Congresso di Vienna, il N.H. Montalban, i delegati dei possidenti e non possidenti dei comuni del Distretto, nella sala dell’antica residenza municipale di Conegliano furono costretti a giurare fedeltà a Francesco I con la promessa solenne di “promuovere il suo vantaggio, d’impedire ogni detrimento all’impero austriaco, di essere sudditi fedeli e obbedienti. Così Iddio ci ajuti.” Uno dei primi provvedimenti fu l’arruolamento coatto a sorteggio.

Fino al 1860, oltre a presentare una costituzione sana ed esente da difetti fisici: “labbro leporino, calvizie totale, mancanza di denti o di respiro, rivolgimento delle ginocchia, miopia, ernie…” potevano essere reclutati solo i giovani alti almeno 60 pollici(153 cm) nel rapporto di 1 ogni 675 abitanti: il distretto di Conegliano, così, ne doveva fornire e mantenere 95, 194 Treviso, 101 Oderzo, 92 Ceneda, 52 Valdobbiadene, 70 Montebelluna, 71 Asolo e 68 Castelfranco. Verso la metà del secolo, le tensioni irredentiste e i venti di guerra che soffiavano dai confini italiani, balcanici e soprattutto prussiani, costrinsero l’Austria a rafforzare i suoi contingenti militari ampliando la base di reclutamento. I limiti di altezza per essere arruolati vennero ridotti dai 60 pollici, prima a 59 e infine a 56. Pagando però 1200 fiorini “in moneta sonante”, cifra equivalente a due anni di salario di un buon marangone dell’epoca, si poteva ottenere l’esenzione dagli obblighi militari. Conseguentemente, il distretto di Conegliano si vide aumentare il contingentamento fino a 117 reclute annue (1864), ma le statistiche parlano del 30-40 % di refrattari alla leva (molti ripararono in Piemonte aiutati da un Comitato segreto guidato da Defendente Bidasio degli Imberti) alla cui denuncia e cattura veniva corrisposto un premio di ben 24 fiorini. Dopo il congedo, per distinguersi dagli altri, erano soliti portare orgogliosamente al lobo sinistro un piccolo orecchino circolare. Sotto l’Austria, i giovani che per sorteggio venivano chiamati alla leva, restavano in ferma dai 5 agli 8 anni e di solito, inquadrati nel 16° reggimento Reale e Imperiale di Fanteria, venivano stanziati lontano dall’Italia: in Croazia, in Boemia, nella sconosciuta Galizia o in altri luoghi remoti del grande Impero a prevenire e reprimere con la forza le locali rivolte autonomiste di quei popoli, come del resto avveniva nel Lombardo-Veneto, a ruoli invertiti, con i giovani croati, boemi, magiari… L’ultima e sfortunata battaglia combattuta con la divisa bianca austriaca fu a Sadowa (1866), contro i prussiani, in cui morirono molti Veneti. Alcuni anni dopo, quando il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia, la ferma durava in media cinque anni e l’altezza minima era fissata a 156 cm. Quella austriaca fu, comunque, un’amministrazione alla tedesca: severa, a volte dura e spietata con gli irredentisti, ma onesta, precisa ed efficiente tanto che i pubblici impiegati lavoravano anche 12-13 ore al giorno. In quegli anni, oltre alle vaccinazioni obbligatorie e all’istituzione delle prime scuole elementari pubbliche, venne tracciata quella rete di comunicazioni, con Conegliano baricentrica, che ancor oggi rappresenta la spina dorsale dei traffici con la mitteleuropea: nel 1831 vi fu il completamento della strada Maestra postale d’Italia, oggi meglio conosciuta come Statale 13 Pontebbana, verso il Friuli e l’Austria, cui seguirà l’Alemagna nel 1832 che dall’incrocio dei Gai (San Vendemiano) risaliva la valle del Piave, con l’ardita Cavalèra, verso il Cadore e il Tirolo, e nel 1858 la posa della ferrovia Venezia-Udine con la costruzione del lungo ponte sulla laguna. Il ruolo militare della città si rafforzò dopo l’annessione del Veneto all’Italia nel 1866, quale baluardo a difesa degli sbocchi alpini, con la costruzione della ferrovia Conegliano-Vittorio nel 1879 (il tratto Vittorio-Ponte nelle Alpi sarà inaugurato da Mussolini nel 1938). Al plebiscito pro annessione al Regno sabaudo furono chiamati ai seggi tutti i cittadini maschi di età superiore ai 21 anni o inferiore se combattenti. Era la prima volta, e lo resterà fino alla vigilia della Grande Guerra (1911 con Giolitti), che alle urne vennero ammessi tutti i maschi maggiorenni senza lo sbarramento fiscale: nel 1860 aveva diritto al voto solo il 2% della popolazione e le cose cambieranno di poco in seguito con il 7% nel 1882 e il 10% nel 1900. Nel distretto di Conegliano, su una popolazione totale di 42.871 persone, gli aventi diritto furono 11.146 con 10.592 voti validi. Ebbene, tutti optarono per l’annessione all’Italia non verificandosi un solo voto contrario. L’affermazione eclatante, oltre allo spirito italianista e patriottico, fu certamente incentivata dalle velate minacce agli oppositori filoaustriaci contenute nel bando di chiamata alle urne: “È superfluo dirvi che tutti vogliamo essere Italiani, e che nessun altro può essere il nostro Re che Vittorio Emanuele II, colui che soldato valoroso sul campo di battaglia e galantuomo sul trono ha compiuto la redenzione d’Italia. Chi si astiene dal portare nell’urna il proprio voto (una scheda col SI già prestampato), o ardisce contaminare l’espressione unanime con un abominevole NO, è indegno del nome di italiano e lasciar dovrebbe coll’Austria questa Patria. Tutti quelli pertanto nelle cui vene scorre sangue italiano devono recarsi al luogo convenuto portando sul cappello e gettando nell’urna il patriottico SI.”


Conegliano, inizi Novecento. Il Monticano e a dx la caserma San Martino, poi Marras.

A Conegliano, che sul finire dell’Ottocento contava circa 8 mila abitanti, come baricentro logistico vi erano dislocati diversi alloggiamenti per truppa che in alcuni periodi dell’anno, soprattutto d’inverno, potevano ospitare secondo uno studio del Ministero della Guerra 3 mila militari che potevano salire a quasi 4 mila, in caso di mobilitazione bellica, usufruendo anche dei loggiati della Contrada Granda e del Duomo. Ruolo militare favorito da Defendente Bidasio degli Imberti che si attivò con il col. Angelo Fonio, che diventerà il primo comandante del 7°, affinché la città fosse destinata a sede di reparti militari alpini.
Queste caserme vennero ricavate dalla confisca dei beni ecclesiastici soppressi dai Decreti napoleonici del 1806-07 o usufruendo di grandi stabili preesistenti:
- il quattrocentesco convento di San Francesco venne trasformato in edificio militare dagli Austriaci nel 1832 e poi riconvertito ad altri usi sociali: carcere, ospizio, ospedale, scuola…;
- il convento domenicano di San Martino, come sopra, convertito dopo l’annessione nell’omonima caserma San Martino (nel dopoguerra Marras) che s’affacciava sul vecchio Foro Boario, dove nacquero il 6°, il 7° alpini e il “Gruppo Conegliano” del 3°. Oggi le vecchie scuderie, opportunamente restaurate, ospitano il Museo degli Alpini;
- l’ospizio Cà di Dio (santa Caterina), di cui resta un’ala, e i fabbricati Cristofoli-Buratta-Gera, nel 1879 vengono adattati nella caserma Umberto I°, e destinati all'acquartieramento di due batterie di Artiglieria da Montagna, deposito di artiglieria e infermeria;
- il convento dei Frati Minori di Santa Maria delle Grazie e gli adiacenti fabbricati Celotti diventano nel 1888, tra gli archi di San Sebastiano e San Rocco, la grande caserma Vittorio Emanuele II, oggi completamente atterrata, per l’alloggiamento del Reggimento Alpino con attigua la piazza d’armi per le esercitazioni. Qui il 19 giugno 1918 vennero giustiziati per alto tradimento 15 disertori cecoslovacchi, inquadrati nella IV Armata italiana, fatti prigionieri nella Battaglia del Solstizio. Con Delibera Consiliare del 21.10.1968 Conegliano ha dedicato una via ai Martiri Cecoslovacchi. Il Vital di questa grande caserma scrive che è “composta di 4 caserme convergenti in uno spazioso cortile rettangolare, comunica con la piazza d’armi. Nell’atrio trovasi una lapide ricordante gli ufficiali e soldati del 7° Reggimento Alpini caduti ad Abba Carima (Adua-1896). Tutto il quartiere è adorno di graziosi affreschi rappresentanti i principali paesi di montagna dove si trovano le sedi estive del 7°. Il Reggimento ebbe per parecchi anni colonnello il cav. Fonio, il quale per le grandi benemerenze verso il Paese fu dichiarato alla sua partenza cittadino onorario: l’attuale comandante (siamo agli inizi del 1900) cav. Pasquale Oro ne segue le nobilissime tradizioni, ed è in gran parte merito suo se le relazioni tra borghesi e militari possono mantenersi sempre non solo cordiali, ma scambievolmente affettuose.”
- il vecchio opificio enologico Trezza che, dopo opportuni adeguamenti, nel 1885 divenne la caserma San Marco. Fu sede del 7° reggimento Alpini e del comando della Brigata di Artiglieria da Montagna del Veneto dalla sua nascita, nel 1886. Nel 1910 ospitò il 2° Artiglieria da Montagna. Nel 1990, con l’abbandono del 33° btg di guerra elettronica Falzarego, anche questo nato a Conegliano nel 1975, il grande complesso venne definitivamente dismesso a parte la palazzina comando che è sede della Guardia di Finanza. Durante l’occupazione austro-ungarica fu adibita a Ospedale Militare.
- la caserma dei R.R. Carabinieri sorgeva presso il vecchio Ponte della Madonna (1525), fatto saltare dagli italiani dopo Caporetto; quella della Guardia di Finanza in Via delle Teresine, ora Via Manin.


Cartolina commemorativa del 6° Rgt Alpini di stanza a Verona e del 7° di stanza a Conegliano.

Conegliano, proprio in questa particolare veste di città militare, ha avuto il privilegio di tenere a battesimo nella Caserma San Martino ben tre reparti alpini, che poi si sarebbero coperti di gloria e di leggenda:
6° alpini nel 1882
7° alpini nel 1887
Gruppo Conegliano del 3° Artiglieria da Montagna nel 1909.

Caserma Vittorio Emanuele II (viale XXIV maggio), completamente demolita.
Caserma Umberto I°, poi Montello (piazzale Santa Caterina), oggi quasi completamente demolita.

Caserma San Marco, oggi sede della Guardia di Finanza.
Sullo sfondo il Viale dei Passeggi, ora viale Spellanzon.

Caserma Umberto I°, sede del 3° Artiglieria da Montagna.
Mons. Francesco Sartor, classe 1899, arruolato come tenente dell’Exilles nella Grande Guerra e poi primo Cappellano della Sezione, ricorda: “I soldati portavano in città molto fervore, specie nelle sale di spettacolo e negli esercizi pubblici mentre gli ufficiali animavano il Circolo Accademia ed erano ospiti desiderati nelle migliori famiglie. Ogni sera nei vari quartieri, dove fino alle 23 passavano le ronde, s’udivano le trombe squillare per il segnale di ritirata prima, e per il silenzio poi. A Conegliano s’usava allora festeggiare gli Alpini con una fiaccolata serale prima che essi partissero per il campo estivo.”

Dopo Caporetto e con il fronte ancorato sul greto del Piave, Conegliano, proprio per la sua grande capacità recettiva di truppe, divenne uno dei più importanti centri operativi del comando austriaco.

Migliaia furono i civili che cercarono di sfuggire all’avanzata nemica seguendo l’esercito italiano in ritirata: i profughi dell’intero comune furono 3860 su 10 mila residenti. Tra loro anche tutte le autorità civili. L’Amministrazione Comunale di Conegliano, guidata dal Commissario Prefettizio comm. GioBatta Rigato, trovò ospitalità a Firenze, come altre del Distretto: Codognè (avv. Luigi Spagnol); Godega (avv. Lorenzo Rigato); Mareno (avv. Cleanto Boscolo); Santa Lucia (nob. Francesco Gera); San Vendemiano (avv. Giuseppe Rigato); Vazzola (dott. Pietro Mozzetti); a Casteggio di Pavia ripararono invece Farra di Soligo (conte Carlo Brandolini), Refrontolo (cav. Antonio Zava) e Tarzo (Cesare Vettorazzo); a Roma, Gaiarine (cav. Giobatta Davanzo) e San Pietro di Feletto (comm. Francesco Nardari); a Livorno, Orsago (nob. Umberto Piovesana); a Casalecchio di Reno, Pieve di Soligo (cav. Arturo Marchetti) e Susegana (cav. Pietro Buffolo); a Porto Maurizio, dal 1923 Imperia, San Fior (avv. Antonio Bernardi); a Bazzano di Bologna, Sernaglia (Francesco Pillonetto).


La Piazza d’Armi della caserma Vittorio Emanuele II.

E la povera gente, abbandonata dalle autorità civili, fu costretta ad affrontare tale drammatica situazione guidata solo dai loro preti i quali, in uno scenario biblico, si ersero in tutta la loro statura morale e carismatica quale ultima fortezza e unico riferimento dei loro smarriti ed impauriti greggi.

La città di Conegliano, al cui governo gli austriaci imposero come sindaci prima mons. Sebastiano Dall’Anese e poi Eugenio Dalla Barba, soprattutto nei primi giorni di occupazione, subì un drammatico saccheggio e molti palazzi del centro vennero dati alle fiamme. Anche l’ospedale non venne risparmiato: tutto il materiale sanitario, scorte di medicinali e cibo, lenzuola e coperte, letti e materassi, accessori di ogni specie e perfino i ferri chirurgici, furono requisiti o rapinati. Anche gli ammalati verranno poi trasferiti a Cordignano, dove molti di loro moriranno d’inedia.

Giugno 1918. Martiri cecoslovacchi giustiziati nella caserma Vittorio Emanuele II.

Così ebbe a denunciare Enrico Bozzoli, addetto all’Ufficio municipale di Conegliano (padre del presidente emerito Battista), allora diciassettenne: “Recatomi per interessi famigliari il giorno 23 giugno 1918 a Cison di Valmarino, ebbi occasione in quel giorno ed anche nel seguente di intervistare persone direttamente interessate le quali mi riferirono testualmente che in uno dei comandi militari residenti a Vittorio Ceneda, si fa pubblica incetta di metalli preziosi: oro e argento tanto in moneta nazionale, nonché e più specialmente di qualsiasi ornamento ed oggetto personale con tali metalli fabbricato. In cambio detti comandi cedono agli offerenti farina di frumento, granoturco, orzo, che provvedono loro stessi da altri paesi e nulla han da che fare col comando direttamente obbligato (ove ed in quanto lo fosse) al mantenimento della popolazione civile che tiene prigioniera, giacché nulla o quasi a tale scopo ha mai distribuito. Ed è perciò che i fortunati detentori di tali oggetti preziosi benedicano alla loro sorte toccata di poter procacciarsi il sostentamento indispensabile, realizzato dal sacrificio di ricordi e regali di per sé sacri nelle famiglie. Se non puossi chiamare requisizione più o meno forzata, l’incetta di tali oggetti rappresenta un ricatto bello e buono che dalle autorità in questo momento governanti le città del Veneto occupate si va perpetrando con illecite speculazioni sulla miseria e sulla fame che oggi più che mai terrorizza la popolazione soggetta. 25 giugno 1918 - 229° giorno occupazione nemica.”

Lo strategico snodo viario e ferroviario di Conegliano fu sovente bersaglio obbligato per l’artiglieria italiana che doveva interrompere i rifornimenti nemici alle prime linee. La stazione venne spesso sconvolta dal bombardamento “amico” che causò, di conseguenza, notevoli danni anche al centro storico della città e molte vittime tra i civili tra cui mons. Sebastiano Dall’Anese, parroco del Duomo, ucciso il 12 giugno 1918 da una granata italiana caduta sulla canonica. Conegliano venne liberata la sera del 29 ottobre da reparti avanzati delle divisioni Bisagno e Sassari. A Costabella di Conegliano morirà il s.ten. Angelo Parrilla, Ragazzo del ’99, ardito aggregato al 5° rgt Alpini, ultima Medaglia d’Oro della Grande Guerra.

Così ebbe poi a ricordare ancora Enrico Bozzoli, che abitava nei pressi. “La mattina del 30 ottobre resi visita di omaggio commosso al Caduto italiano, composto e sereno nella pace eterna, disteso sul pavimento, con a lato due soldati austriaci pure essi morti. Nessuno dei caduti presenteva all’apparenza visiva lacerazione strazio della carne o degli indumenti; le sembianze dei visi, della testa e delle mani, davano positiva dimostrazione che la morte avvenne violenta per proiettile o scheggia di bomba nel tronco, la cui penetrazione difficilmente appariva negli indumenti, anch’essi privi di rilevanti macchie di sangue.”

Nel 1968 il Consiglio Comunale di Conegliano dedicò all’eroe una via della città.

Anche durante il secondo conflitto mondiale, Conegliano dovette subire diversi spezzonamenti e bombardamenti alleati, il più pesante avvenne il 26 dicembre 1944 che provocò ben 77 vittime civili.

1917-18, l’anno della fame. Entrata posteriore della caserma San Marco. Bambini nei pressi delle cucine austriache.
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